Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3427 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 3427 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso 14204-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
Oggetto
TRASPORTO SPEDIZIONE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/11/2023
PU
RAGIONE_SOCIALE in persona del Legale Rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
NOME, NOME COGNOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 108/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/11/2023 dal AVV_NOTAIO; viste le conclusioni del P.M., che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 6.6.2014, la società RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE per sentire accertare l’ins ussistenza di qualsivoglia ragione di credito della convenuta con riguardo alla richiesta stragiudiziale di adeguamento tariffario per i trasporti eseguiti, su incarico della cooperativa attrice, dal giugno 2009 al dicembre 2010.
La convenuta rimase contumace, ma agì in sede monitoria, ottenendo, nei confronti della cooperativa, un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per il pagamento di 78.311,34 euro a titolo di differenze fra quanto percepito per i trasporti effettuati nel periodo giugno 2009/dicembre 2010 e i corrispettivi minimi previsti dall’art. 83 bis D.L. n. 112/2008.
La CAF propose opposizione e i due giudizi vennero riuniti, previa sospensione della provvisoria esecutorietà del d.i. opposto.
Con sentenza n. 1901/2016, il Tribunale di Ancona accolse la domanda della CAF, dichiarandolo l’ insussistenza di qualsiasi ragione creditoria della CG e revocando, per l’effetto, il decreto ingiuntivo opposto; rilevò che la CRAGIONE_SOCIALEU.E aveva riconosciuto la possibilità di determinare liberamente i corrispettivi relativi ai trasporti, affermando l’incompatibilità della normativa italiana di cui all’art. 83 bis D.L. n. 112/08 con il diritto della UE, in quanto incidente sulla concorrenza nel mercato interno.
La Corte di Appello di Ancona ha riformato la decisione di primo grado, rigettando l’opposizione e confermando il decreto opposto, con condanna della CAF al pagamento della metà RAGIONE_SOCIALE spese del doppio grado di giudizio.
La Corte ha rilevato che -con sentenza del 4.9.2014- la Corte di Giustizia UE aveva affermato l’incompatibilità con le norme comunitarie della disciplina nazionale che demandava la determinazione dei costi minimi dei trasporti ad un Osservatorio composto principalmente da rappresentanti di associazioni di
categoria di vettori e committenti, mentre, con successiva ordinanza del 21.6.2016, aveva ritenuto compatibili con la normativa comunitaria le disposizioni che demandavano al RAGIONE_SOCIALE di individuare , nelle more dell’entrata in funzione dell’Osservatorio, le modalità di determinazione dei costi; ha rilevato altresì che, con sentenza n. 47/2018, la Corte Costituzionale aveva dichiarato la legittimità costituzionale di tale disciplina transitoria (giacché non favoriva accordi tra imprese che potessero restringere la concorrenza, bensì prevedeva determinazioni della pubblica autorità volte a tutelare rilevanti interessi pubblici); tanto premesso, ha concluso che, per il periodo in discussione, restavano valide ed efficaci le tariffe determinate dal RAGIONE_SOCIALE e che risultava irrilevante l’abrogazione della normativa intervenuta con l. n. 190/2014, in quanto la causa concerneva fatti verificatisi in precedenza.
Ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi (il terzo e il quarto articolato in più ordini di censure); ha resistito, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
Fis sata l’odierna pubblica udienza, il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, la ricorrente denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto : cessazione della materia del contendere e/o improcedibilità/inammissibilità del giudizio di appello in conseguenza della sopravvenuta inesistenza giuridica della RAGIONE_SOCIALE nelle more del procedimento di primo grado (art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 2484, 2490, 2495, 2555 e 2556 c.c. ed all’art. 40 del D.L. 76/2020)».
La ricorrente assume che, nelle more del giudizio di primo grado, era sopravvenuta l’inesistenza giuridica della RAGIONE_SOCIALE , che, fin
dal 2007, non aveva più redatto e depositato i propri bilanci e aveva successivamente cessato la propria partita IVA (dal 30.6.2014) e ceduto (il 15.4.2015) la propria intera azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE, di talché «dal punto di vista sostanziale e venuta meno come soggetto giuridico», stante l’impossibilità di conseguire il proprio oggetto sociale; conclude che «l’intervenuta cessazione di fatto dell’azienda e con essa la sopravvenuta inesistenza della società» comportavano la necessità di «dichiarare la cessazione della materia del contendere, avendo la società RAGIONE_SOCIALE con la propria condotta manifestato una volontà contraria a proseguire il giudizio».
Col secondo motivo, la CAF denuncia «nullità della sentenza di secondo grado in conseguenza della sopravvenuta inesistenza giuridica della RAGIONE_SOCIALE nelle more del procedimento di primo grado ed inesistenza di valida procura ad litem per il grado di appello (art. 360 n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 125, 156, 299, 300, 302, 305, 310 e 338 c.p.c.)».
La ricorrente sostiene che, poiché la società si era estinta già nel corso del giudizio di primo grado, restavano valide la costituzione svolta in detto grado e la sentenza pronunciata dal Tribunale, mentre la nuova procura rilasciata per il giudizio di appello doveva considerarsi inesistente (in quanto proveniente da soggetto giuridico non più esistente); aggiunge che, ad analoghe conclusioni doveva giungersi considerando che la RAGIONE_SOCIALE «era comunque inesistente ben prima della costituzione in giudizio di appello».
2.1. I due motivi -che possono essere esaminati congiuntamente- sono inammissibili, in quanto:
deducono questioni nuove, che non risultano trattate dalla sentenza impugnata e rispetto alle quali la ricorrente non ha dedotto se, come e quando siano state introdotte nei gradi di merito;
prospettano l’estinzione della società sull’assunto di una pluralità di elementi fattuali il cui esame comporterebbe un preventivo accertamento di merito che è inibito alla Corte di legittimità;
ne consegue che non è scrutinabile neppure la dedotta inesistenza della procura alle liti rilasciata per il giudizio di appello giacché è postulata sul presupposto di un accertamento in fatto precluso a questa Corte.
Col terzo motivo, la ricorrente denuncia cinque profili di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c.; più precisamente: «A) illegittimità dei costi minimi portata vincolante della giurisprudenza comunitaria ed effetti nel diritto interno (art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 83 bis, co. IV, D.L. 112/08 allora vigente) -B) sussistenza di contratto scritto tra le parti e conseguente inapplicabilità dei costi minimi (art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 6 D. Lgs 286/05 ed all’art. 83 bis D.L. 112/08 al lora vigente) -C) intervenuta prescrizione dell ‘ avversa pretesa (art. 360 n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 6 D. Lgs. 286/05, all’art. 2951 c.c., nonché all’art. 83 bis, co. VII, D.L. 112/08 allora vigente) D) contratto di trasporto come contratto a favore di terzo e conseguente carenza di legittimazione passiva del mittente per effetto dell’intervenuta adesione del destinatario ricevitore (art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1411 e 1678 e ss. c.c., nonché agli artt. 100, 101 e 111 c.p.c.) -E) illegittimità del decreto ingiuntivo per intervenuta irrituale integrazione probatoria nella fase monitoria disposta motu proprio dal giudice adito ed in assenza del contraddittorio -inopponibilità RAGIONE_SOCIALE risultanze della consulenza d’ufficio redatta in fase monitoria e conseguente avversa mancata prova del credito rivendicato (art. 360 n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 101, agli artt. 640, 633 e ss. c.p.c., art. 115 c.p.c. ed all’art. 2697 c.c.)».
3.1. In relazione alla censura sub. A), la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata costituisce il frutto di un’errata interpretazione
della giurisprudenza euro-unitaria, la quale ha comunque rilevato che è l’intero assetto normativo dei costi minimi a porsi i n contrasto con i principi di libera concorrenza;
3.1.1. La censura è infondata in quanto basata su una lettura parziale (e quindi erronea) RAGIONE_SOCIALE pronunce della C.G.U.E., che hanno ravvisato la non conformità dell’art. 83 bis D.L. n. 112/08 alle norme sovranazionali unicamente sotto il profilo dell’attribuzione della determinazione dei costi ad un organismo (l’Osservatorio), in quanto «composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati», riconoscendo -viceversa- la compatibilità con l’ordinamento euro -unitario della determinazione dei costi minimi demandata ad un’amministrazione nazionale, come nel caso -che qui interessa ratione temporis –RAGIONE_SOCIALE determinazioni provenienti dal RAGIONE_SOCIALE nelle more dell’entrata in funzione dell’Osservatorio.
3.2. Le censure sub B) e sub C) investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che «poiché il contratto di trasporto di cui si tratta è soggetto a prescrizione quinquennale e non annuale, data la mancanza dei requisiti essenziali del contratto in forma scritta di cui alle lettere c), d), ed e) dell’art. 6 l. m. 286/2005, è accertato che, per il periodo in discussione, restano valide ed efficaci le tariffe minime determinate dal RAGIONE_SOCIALE».
La ricorrente contesta che il contratto intercorso fra CAF e CG non avesse forma scritta e che, dunque, fosse escluso dalla libera determinabilità dei corrispettivi e sottoposto -invece- al regime del ‘costi minimi’: assume, infatti, che gli elementi di cui alla ‘Convenzione di Servizi’ stipulata inter partes nel settembre 2009 venivano integrati, prima dell’effettuazione di ciascun trasporto, dalle informazioni fornite alla CG dall’ufficio traffico della CAF e dai dati di cui alla lettere di vettura; conclude che, a fronte di un contratto concluso in forma scritta, il termine prescrizionale applicabile era
quello annuale, con la conseguenza che detto termine doveva considerarsi irrimediabilmente decorso al momento del primo atto interruttivo, pervenuto soltanto in data 23.5.2014.
3.2.1. Le censure sono inammissibili perché postulano la violazione RAGIONE_SOCIALE norme richiamate sulla base di una lettura della scrittura contrattuale diversa da quella compiuta dalla Corte e sull’assunto della necessità considerare tale scrittura in uno con la documentazione concernente i singoli trasporti; in tal modo, tuttavia, sollecitano a questa Corte una non consentita lettura alternativa degli atti a prescindere da una pertinente denuncia di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale; per di più, la deduzione che il contratto sarebbe risultato integrato, di volta in volta, con le indicazioni richieste dall’art. 6 del D. Lgs. n. 286/05 è compiuta in termini meramente assertivi, senza ottemperare all’onere di specificità richiesto dall’art. 366, n. 6 c.p.c. e senza adeguatamente argomentare sul fatto che le informazioni dell’ufficio traffico della CAF e le indicazioni contenute nella lettera di vettura costituissero effettive integrazioni del contratto (sulla base di un accordo intervenuto di volta in volta, anche in relazione alla misura del corrispettivo) e non mere indicazioni unilaterali della CAF.
3.3. Con la censura sub D), la ricorrente rileva che «il trasporto si configura come contratto (tra mittente e vettore) a favore di terzi (destinatario/ricevitore) nel quale l’accettazione della merce determina l’adesione del terzo al patto contrattuale», con la conseguenza che «le pretese di credito del vettore a titolo di corrispettivo e trasporto (come pure a titolo di differenze tariffarie), ad esito d ‘ intervenuta riconsegna del carico, debbono essere rivolte al solo destinatario»; assume pertanto che la Corte territoriale «avrebbe dovuto accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva della CAF, con ogni consequenziale statuizione, ivi compresa l’estromissione ex art. 111 c.p.c.»;
3.3.1 Il motivo è inammissibile, atteso che la questione della legittimazione passiva (sostanziale) costituisce questione nuova, non trattata dalla sentenza impugnata e rispetto alla quale la ricorrente non deduce se, come e quando l’abbia precedentemente dedotta; il suo scrutinio comporterebbe, peraltro, la necessità di un accertamento di merito, non consentito a questa Corte, circa l’esistenza di accordi concernenti il pagamento del corrispettivo volti a derogare alla previsione dell’art. 83 bis D.L. n. 112/08 , che onera del pagamento il mittente.
3.4. Con le censure sub E), la ricorrente lamenta che «il provvedimento monitorio emesso a favore della RAGIONE_SOCIALE è stato assunto in assenza dei presupposti normativi», poiché il giudice, anziché invitare il ricorrente a fornire ulteriore supporto probatorio, aveva irritualmente provveduto a nominare un esperto cui aveva affidato la redazione di una perizia avente ad oggetto il conteggio dei costi minimi reclamati (e non dimostrati) dalla RAGIONE_SOCIALE; conteggio che (oltre a fornire dati parziali e neppure corretti) non era opponibile alla CAF poiché eseguito irritualmente nella fase sommaria e in assenza di qualsivoglia contradittorio.
3.4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto introduce una questione che non risulta precedentemente dedotta e che, comunque, è superata dal fatto che il decreto ingiuntivo della cui irritualità si tratta risulta assorbito dalla sentenza che ha statuito sull’opposizione (che, pur concludendosi con una statuizione di conferma dell’ingiunzione, ha accertato funditus e all’esito di una cognizione piena la fondatezza della pretesa della RAGIONE_SOCIALE); è pacifico, infatti, che «l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, inteso ad accertare la pretesa fatta valere e non se l’ingiunzione fu legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge» (Cass. n. 15037/2005, cfr. Cass. n. 419/2006 e Cass. n. 16767/2014).
Del tutto nuova, oltre che generica, risulta altresì la deduzione circa la non correttezza del calcolo concernente le differenze tariffarie riconosciute alla RAGIONE_SOCIALE, all’esito di un doppio grado di merito in cui non si è discusso del loro ammontare, ma della loro spettanza in relazione all’applicabilità dell’art. 83 bis D.L. n. 112/08 e dell’art. 6 D. Lgs. n. 286/2005.
Col quarto motivo, la CAF denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio : A) illegittimità dei costi minimi, portata vincolante della giurisprudenza comunitaria ed effetti nel diritto interno (art. 3 60 n. 5, c.p.c. in relazione all’art. 83 bis D.L. 112/08 allora vigente) -B) sussistenza di contratto scritto in presenza di tutti gli elementi ex lege richiesti (art. 360 n. 5, c.p.c. in relazione all’art. 6 D. Lgs. 286/05)».
La ricorrente deduce che la Corte di Appello ha omesso di valorizzare il fatto che tanto il M.I.T. che l’Osservatorio avevano sempre elaborato le tabelle dei costi minimi sulla scorta dei medesimi criteri di calcolo; lamenta, inoltre, il mancato esame del fatto della sussistenza di contratto scritto risultante dalla ‘convenzione di servizi di trasporto’ come integrata dai dati contenuti nelle lettere di vettura.
4.1. Il motivo è inammissibile, in relazione ad entrambe le censure, giacché:
non coglie la ratio della sentenza impugnata (e RAGIONE_SOCIALE pronunce della C.G.U.E.) che, senza prendere in considerazione gli specifici criteri di calcolo, hanno individuato il criterio dirimente nella circostanza che i costi fossero determinati dal RAGIONE_SOCIALE anziché da un Osservatorio composto prevalentemente dai rappresentanti RAGIONE_SOCIALE associazioni di categoria interessate;
la seconda censura ripropone la doglianza di cui alla lett. B) del terzo motivo sotto il non pertinente profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo; ciò facendo, peraltro, in termini meramente assertivi e -anche in questo caso- in difetto di specificità (ex art. 360 n. 6 c.p.c.).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della CAF al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
S ussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, 15.11.2023