Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27307 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27307 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12043/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE GIUDICE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 995/2018, depositata il 4/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. Nel 1998 NOME COGNOME, a nome anche del fratello NOME COGNOME, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Messina NOME COGNOME, deducendo: di avere promesso in permuta al convenuto un terreno per la realizzazione di un complesso residenziale articolato in quattro palazzine e che, come corrispettivo della cessione, il convenuto si era impegnato a trasferire agli attori due piani di una delle palazzine, quella denominata A; che era previsto che il trasferimento del terreno dai COGNOME al convenuto e degli appartamenti dal convenuto ai COGNOME sarebbe avvenuto mediante la stipulazione di separati atti pubblici e che COGNOME si era impegnato a consegnare e a trasferire gli appartamenti entro il termine di ventiquattro mesi dal rilascio della concessione edilizia; che il convenuto, preso possesso del terreno e ottenute le concessioni amministrative, aveva sospeso la costruzione della palazzina A e che quindi gli era stata rivolta una diffida stragiudiziale ad adempiere. COGNOME chiedeva quindi al Tribunale di ‘1. assegnare un termine perentorio entro il quale il convenuto dovrà ultimare i lavori secondo il progetto approvato, consegnare gli appartamenti promessi in permuta, pagare le penali maturate ; 3. dichiarare risoluto il contratto alla scadenza del termine di decadenza fissato qualora non vengano consegnati gli appartamenti’, oltre al risarcimento del danno subito. Si costituiva il convenuto, che chiedeva di rigettare le domande degli attori. Decedeva NOME COGNOME e intervenivano volontariamente i suoi eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME, facendo proprie le domande del loro dante causa.
Il Tribunale di Messina, qualificato l’atto concluso tra le parti quale preliminare di permuta di cosa futura, ha dichiarato l’inammissibilità della domanda sub 3 di risoluzione del contratto per incompatibilità rispetto alla domanda sub 1. Tale domanda -ha osservato il Tribunale -‘è sostanzialmente una domanda di esecuzione forzata in forma specifica ex art. 2932 c.c., così interpretandosi la locuzione inserita nell’atto di citazione’. La domanda ha proseguito il Tribunale -è fondata, sussistendo i relativi presupposti, ossia la mancata stipulazione del contratto definitivo, l’inadempimento di COGNOME che non ha mai completato gli appartamenti, l’adempimento degli attori, che hanno consegnato il terreno. Con la sentenza n. 2296/2016, il Tribunale ha quindi condannato il convenuto ‘a realizzare e/o completare e rifinire a regola d’arte’ gli immobili previsti dal preliminare di permuta, fissando il termine di sei mesi per l’ultimazione dei medesimi e ‘visto l’art. 2932 c.c.’, ha trasferito gli immobili medesimi in favore di NOME COGNOME per il 50% e degli intervenuti per il restante 50%.
2. La sentenza del Tribunale è stata impugnata da COGNOME, che ha anzitutto lamentato la pronuncia ultra petita del primo giudice, che ha accolto una domanda, di esecuzione dell’obbligo di contrarre, che non era stata proposta, avendo COGNOME chiesto la fissazione di un termine per l’adempimento, ossia per il completamento degli immobili. La Corte d’appello di Messina ha reputato fondata la doglianza e ha statuito che la decisione sulla domanda sub 1, come qualificata dal primo giudice, ‘deve essere riformata, rigettando tale domanda; né può accedersi all’accoglimento di essa nei termini in cui era stata formulata (come domanda di fissazione del termine perentorio) perché in tal senso non riproposta in questa sede dagli appellati’. Con la sentenza n. 995/2018 la Corte d’appello ha quindi, in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettato tutte le domande degli attori.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resiste con controricorso NOME Lo COGNOME.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti e dal controricorrente.
CONSIDERATO CHE
Precede la trattazione dei motivi del ricorso un paragrafo intitolato ‘In via preliminare – Intervenuto passaggio in giudicato del capo di sentenza, non impugnato da COGNOME, con il quale il Tribunale ha acquisito e ritenuto ammissibili le domande formulate dagli attori in primo grado con la comparsa conclusionale del 1015/2/2016 e quella dell’8/3/2007 Acquiescenza del relativo capo ex art. 329 c.p.c.’. Al riguardo va osservato che il Tribunale non ha affatto ritenuto ammissibili ‘le domande formulate’ con le comparse conclusionali, ma ha ricavato la proposizione della domanda ex art. 2932 c.c. dall’atto di citazione e ha trovato una coincidenza tra tale domanda e ‘quella di cui al n. 3 della seconda comparsa conclusionale dell’attore laddove è stato chiesto di ‘ (v. pag. 6 della sentenza di primo grado). La causa in esame è stata iniziata secondo i ricorrenti nel 1998 (pag. 3 del ricorso), quindi successivamente alla entrata in vigore della riforma introdotta con la legge n. 353/1990, che ha previsto barriere preclusive per la proposizione delle domande, che comunque, anche prima della riforma del 1990, non potevano essere proposte con la comparsa conclusionale, che ha sempre assolto ‘unicamente una funzione illustrativa delle domande e delle eccezioni ritualmente introdotte nel giudizio’ (così Cass. n. 315/2012).
Il ricorso è articolato in sette motivi.
Il primo motivo contesta nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.: la Corte d’appello ha erroneamente affermato che gli attori non avrebbero mai formulato una domanda ex art. 2932 c.c., quando invece tale domanda è stata formulata nelle
comparse conclusionali dell’8 marzo 2007 e del 10 -15/2/2016, con accettazione del contraddittorio da parte del convenuto.
Il motivo non può essere accolto. I ricorrenti sostengono che la domanda di cui all’art. 2932 c.c. è stata proposta nelle comparse conclusionali, ma -come si è sopra sottolineato -la comparsa conclusionale non può contenere domande nuove.
Il secondo motivo contesta anch’esso nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto con il motivo di appello controparte non aveva censurato la domanda ex art. 2932 c.c., ma l’interpretazione giuridica data alla domanda dal primo giudice.
Il motivo non può essere accolto. Il secondo motivo d’appello (riassunto dalla Corte d’appello alla pag. 4 della sentenza e trascritto dal controricorrente alle pagg. 9 e 10 del controricorso) ha in modo specifico censurato l’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. perché diversa dalla domanda proposta, così violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La Corte d’appello, verificando quale sia stata la domanda proposta in primo grado e appurando che il giudice di primo grado si era pronunciato su una diversa domanda, non ha quindi violato -come sostengono i ricorrenti -l’art. 112 c.p.c.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono tra loro strettamente connessi:
il terzo lamenta l’omesso esame di fatti storici, in quanto nel ritenere inadempienti i COGNOME la Corte d’appello non ha considerato l’offerta di adempimento contenuta nella diffida stragiudiziale, con la quale ‘NOME non solo ha invitato, ma ha addirittura diffidato formalmente COGNOME a stipulare il rogito di trasferimento del terreno’, l’adempimento da parte di COGNOME di tutte le altre obbligazioni a suo carico, la circostanza che gli atti di trasferimento del terreno e quelli degli edifici potevano essere contestuali e che COGNOME non ha mai chiesto a NOME il trasferimento del terreno;
b) il quarto denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2932 e 934 c.c., in quanto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, sussistevano tutti i presupposti per l’applicabilità dell’art. 2932 c.c. e il fatto che il terreno fosse ancora di proprietà dei COGNOME non era ostativo alla esecuzione in forma specifica degli edifici costruiti da terzi e con materiali di terzi, la stipula del rogito relativo al trasferimento del terreno era stata formalmente offerta ed equivaleva pertanto ad esatto adempimento; inconferente poi è il richiamo all’istituto dell’accessione, ‘in quanto non invocato dalle parti, non applicabile d’ufficio né evincibile dal titolo’;
c) il quinto contesta ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione alla domanda di trasferimento degli immobili’, in quanto gli attori avevano comunque avanzato richiesta di ‘trasferimento degli immobili, anche sotto il profilo meramente traslativo nella comparsa conclusionale del febbraio 2016’; inoltre è da ritenersi implicita nella domanda di esecuzione specifica del preliminare la richiesta di reintegrazione per equivalente pecuniario, così che la Corte d’appello avrebbe dovuto ‘comunque confermare la statuizione di trasferimento degli immobili, anche eventualmente a diverso titolo rispetto a quello attribuito dal Tribunale ex art. 2932 c.c.’.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello ha basato la propria conclusione circa la proposizione da parte dei ricorrenti di una domanda di adempimento dell’obbligazione di completamento dei lavori mediante la fissazione di un termine per l’esecuzione dei medesimi, sulla base del chiaro tenore della domanda (‘assegnare un termine perentorio entro il quale il convenuto dovrà ultimare i lavori secondo il progetto approvato, consegnare gli appartamenti promessi in permuta, pagare le penali maturate’) e sulla proposizione della diversa domanda ritenuta
inammissibile dal primo giudice -di risoluzione del contratto preliminare ove controparte non avesse terminato i lavori nel termine assegnato.
La Corte ha poi formulato una serie di argomentazioni ulteriori, rafforzative, concernenti la mancanza, in ogni caso, dei presupposti per l’emanazione di una sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà degli appartamenti. Il giudice ha così osservato come l’esecuzione del contratto preliminare prevedesse la stipulazione di due distinti atti definitivi di compravendita, aventi ad oggetto il primo il terreno e il secondo i due piani della palazzina che Lo COGNOME avrebbe costruito sul medesimo terreno e come, alla data della introduzione del processo, non vi fosse ancora stata la prima compravendita, così che i COGNOME, essendo ancora proprietari del terreno, non potevano pretendere l’esecuzione dell’obbligo di vendere gli appartamenti da parte di COGNOME, che non era proprietario di tali bene, essendo questi di proprietà dei COGNOME, in base al principio di accessione.
I tre motivi sono diretti nei confronti di tali argomentazioni, contestandole, ma non considerano come la questione della proponibilità della domanda ex art. 2932 c.c. sia una questione unicamente teorica, affrontata ad abundantiam dal giudice, in quanto tale domanda -secondo l’affermazione della Corte d’appello, non scalfita dai primi due motivi di ricorso non è stata proposta dai ricorrenti, così che i motivi sono privi di interesse.
Il sesto motivo denuncia ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., erronea qualificazione giuridica delle statuizioni ritenute conseguenti e del relativo titolo fondante’: i capi di sentenza che la Corte d’appello ha dichiarato conseguentemente decaduti ‘non sono correlati unicamente alla domanda di esecuzione dell’obbligo di contrarre, ma vanno ricollegati al contratto di permuta oggetto di causa, alla mancata costruzione della palazzina A oggetto della controprestazione e al
risarcimento del danno’, così che la Corte d’appello avrebbe dovuto ‘comunque pronunciarsi motivatamente sugli stessi’.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha sottolineato come la domanda di fissazione del termine perentorio per l’ultimazione degli appartamenti, non esaminata dal giudice di primo grado, non sia stata riproposta in appello dai ricorrenti, così che non poteva essere da essa esaminata. L’affermazione non contestata dai ricorrenti -è coerente con l’orientamento di questa Corte. Come hanno precisato le sezioni unite, ‘nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza’ (Cass., sez. un., n. 7940).
Una volta riformato il capo relativo all’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. -e in mancanza della riproposizione della domanda di esecuzione degli appartamenti -correttamente la Corte d’appello ha affermato che ‘decade la non richiesta condanna al completamento degli appartamenti’, così come la condanna al pagamento del conguaglio. Quanto invece alla condanna di COGNOME al pagamento della penale, la Corte d’appello si è pronunciata al riguardo, accogliendo il gravame di COGNOME sul punto, non ritenendo addebitabile a quest’ultimo il mancato trasferimento degli appartamenti a fronte del mancato trasferimento del terreno, ritenendo non provato che egli si fosse rifiutato di stipulare il relativo contratto.
Infine, indicato come settimo motivo di ricorso, vi è il rilievo che l’accoglimento del ricorso ‘comporterà la riforma del capo di sentenza relativo alle spese di lite e CTU’.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 6.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda