Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16723/2024 R.G. proposto da : COMUNE DI POLIGNANO A MARE, elettivamente domiciliato in BARI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in VALMONTONE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 668/2024 depositata il 09/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Monopoli, aveva rigettato la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, finalizzata alla condanna del Comune di Polignano a Mare al pagamento della somma di € 166.396,71, oltre accessori di legge, a titolo di oneri aggiuntivi che la predetta società aveva dovuto sostenere nell’ambito del contratto di appalto stipulato con la predetta amministrazione comunale, avente ad oggetto il pubblico servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In particolare, il Comune di Polignano aveva richiesto, dopo solo un anno dall’inizio dell’appalto, l’ampliamento del servizio, e, segnatamente, il lavaggio di 118 cassonetti in esubero rispetto al numero massimo pattuito per il periodo contrattuale nonché la riparazione ed il ripristino di 126 cassonetti vetusti e fuori uso.
Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che le pretese attoree trovassero ostacolo nella pattuizione del corrispettivo a corpo, con la conseguenza che il diritto ad un compenso ulteriore fosse configurabile solo per i servizi aggiuntivi eseguiti su richiesta del committente o per effetto di varianti in corso d’opera.
La Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 668/2024 del 9.4.2024, in accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ha condannato il Comune di Polignano al pagamento della somma complessiva di € 166.396,71, oltre accessori di legge.
Il Giudice di secondo grado ha evidenziato che, a fronte di una duplice modifica ampliativa delle obbligazioni contrattuali poste a carico della società appaltatrice, quest’ultima aveva giustamente invocato un equo adeguamento delle concordate remunerazioni, onde aggiornare le stesse alle mutate circostanze sopravvenute al contratto originario d’appalto. Né la pattuizione del corrispettivo dell’appalto a corpo era ostativa alla richiesta di adeguamento, essendo principio consolidato del Giudice di legittimità (cfr. Cass. n. 22268/2017) quello secondo cui l’appaltatore ha diritto ad un com-
penso ulteriore per i lavori aggiuntivi di rilevante entità determinati -come nel caso di specie -da carenze quantitative e qualitative della progettazione originaria dell’appalto.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Polignano a Mare.
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso.
Il Consigliere Coordinatore ha formulato, in data 12.12.2024, proposta di definizione anticipata della causa.
Il Comune di Polignano, in data 17.12.2024, ha formulato, ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2° c.p.c., istanza di decisione.
Il Comune ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con proposta di definizione anticipata del 12.12.2024 il Consigliere Coordinatore ha così osservato:
‘ Il Comune ricorrente impugna con quattro motivi la sentenza del 9.4.2024, notificata il 15.5.2024, con cui la Corte di appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in riforma della decisione di primo grado, lo ha condannato al pagamento della somma di € 166.396,71, oltre accessori e spese del doppio grado di giudizio.
Resiste con controricorso la COGNOME NOME.
Con il primo motivo dedotto ex art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c. il ricorrente denuncia difetto assoluto di giurisdizione per violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 del d.lgs. n. 104/2010.
Il motivo appare palesemente inammissibile per la formazione del giudicato interno sulla giurisdizione del giudice ordinario, che non risulta contestata dal Comune di Polignano a mare in primo grado ed è stata implicitamente ritenuta dal Tribunale, che ha pronuncia-
to nel merito, rigettando la pretesa di parte attrice, con statuizione non censurata con appello incidentale condizionato da parte del Comune.
Ex multis: Il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicché non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perché tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice. (Sez. U, n. 10265 del 27. 4.2018).
Con il secondo motivo proposto ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c. il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1467 e 1664 c.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il motivo appare inammissibile perché il ricorrente mescola all’interno dello stesso motivo sia la doglianza di «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», sia quella di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti un fatto controverso e decisivo per il giudizio». Non è infatti consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez. 3, 23.6. 2017 n. 15651; Sez. 6, 4.12.2014 n. 25722; Sez. 2, 31.1.2013 n. 2299; Sez. 3, 29.5.2012 n. 8551; Sez. 1, 23.9.2011 n. 19443; Sez. 5, 29.2.2008 n. 5471). In tal modo l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultan-
ze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, n. 19443 del 23.9. 2011).
Le deduzioni critiche inoltre appaiono inscindibili e inestricabili fra loro.
V’è da aggiungere che il ricorrente non individua un preciso fatto storico decisivo (e non una mera argomentazione) che non sia stato esaminato dalla Corte territoriale, come è necessario fare ai fini della denuncia del vizio motivazionale.
Per altro verso, il ricorrente contesta l’interpretazione offerta dalla Corte di appello agli artt. 6, lett. c) e 8, punto 5, del capitolato speciale di appalto, mentre per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del
15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 6-3, n. 2988, del 7.2.2013).
Infine la doglianza relativa alla violazione dell’art. 1664 c.c. e alla irrilevanza delle variazioni inferiori al 10%, si appunta su di una argomentazione collaterale della sentenza impugnata (per vero scarsamente pertinente visto che la norma citata si riferisce ad aumenti o diminuzioni imprevedibili nel costo di materiali e manodopera e non a lavorazioni aggiuntive richieste dal committente).
La sentenza impugnata si regge invece su altra ratio decidendi (suffragata dal richiamo della giurisprudenza di legittimità) e cioè che il corrispettivo pattuito a corpo può essere modificato in presenza di una modifica dell’oggetto del contratto scaturente dalla richiesta di lavorazioni aggiuntive determinate da carenze nella progettazione originaria dell’appalto, comportanti un significativo aumento dei lavori (pag.10-11)
Il terzo motivo denuncia ulteriore violazione art. 360, comma 1, n. 5 e lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, perché la sentenza gravata sarebbe erronea ed ingiusta nella parte in cui la Corte ha ritenuto che «entrambe le voci del richiesto pagamento extracontrattuale (…), risultano supportate da incontestabili evidenze documentali e probatorie».
Il motivo appare inammissibile perché non individua un fatto storico preciso di cui sia stata omessa la valutazione e richiede invece al giudice di legittimità una non consentita rivalutazione delle risultanze istruttorie e dell’accertamento dei fatti.
È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019).
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5, violazione degli artt. 1467 e 1664 c.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe erronea ed ingiusta nella parte in cui ha travisato le dichiarazioni rese dai testi attribuendo alle stesse una valenza probatoria che, invece, è del tutto inesistente perché, a ben rileggere le deposizioni rese dai testi invocati, non sarebbe difficile giungere a conclusioni diametralmente opposte a quelle a cui è inspiegabilmente pervenuta la Corte.
Al motivo, che non è promiscuo perché la violazione di legge denunciata in rubrica non è neppur argomentata, manca comunque l’individuazione di un fatto storico decisivo discusso fra le parti e non esaminato; soprattutto, come sopra osservato, il motivo si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione delle richieste istruttorie’.
Questo Collegio non può che confermare e far proprie le argomentazioni e le conclusioni della proposta di definizione anticipata, la quale ha analiticamente indicato le ragioni di inammissibilità ed infondatezza del ricorso.
La questione di giurisdizione è stata sollevata per la prima volta in sede di ricorso per cassazione dopo che si era già formato il giudicato interno sulla stessa questione, avendo il giudice di primo grado pronunciato nel merito, così affermando implicitamente la propria giurisdizione, e non avendo il Comune di Polignano a Mare impugnato la sentenza con un ricorso incidentale condizionato, così prestando acquiescenza a tale statuizione (cfr. Cass., S.U., n. 24883/2008).
Condivisibile è, inoltre, l’osservazione del Consigliere Coordinatore secondo cui la ricorrente, ha, provveduto, nel secondo motivo, ad un’inammissibile mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impu-
gnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., con la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio: tale formulazione non è consentita in quanto mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr., recentemente, Cass. n. 3397/2024).
Inoltre, nell’invocare il travisamento delle disposizioni contrattuali, come ben evidenziato nella proposta di definizione anticipata, la ricorrente ha inammissibilmente contestato l’interpretazione offerta dalla Corte d’Appello del capitolato speciale d’appalto, senza neppure invocare la violazione delle norme di interpretazione contrattuale e senza precisare in quale modo il giudice di merito si sarebbe discostato dai canoni di interpretazione contrattuale.
La ricorrente ha erroneamente invocato la violazione dell’art. 1664 c.c., non cogliendo la ratio decidendi , come correttamente individuata dal Consigliere Coordinatore nella proposta di definizione anticipata a pag. 4, ovvero non considerando che la domanda della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non aveva ad oggetto l’adeguamento del corrispettivo dell’appalto alle variazioni intervenute nel costo dei materiali e della manodopera a causa di circostanze imprevedibili (art. 1664 cod. civ.), ma il riconoscimento del maggior corrispettivo dovuto per lavori ordinati dal committente in aggiunta a quelli originariamente previsti dal contratto.
Infine, le ulteriori censure della ricorrente sono, parimenti, inammissibili sia perché, con la reiterata apparente deduzione dell’o-
messo esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., ha, in realtà richiesto una non consentita rivalutazione delle risultanze istruttorie, sia perché, con la dedotta erronea valutazione dei testi, ha richiesto una inammissibile rivisitazione delle questioni di merito.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., devono essere applicati come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo (che si stima pari a quella quantificata a titolo di spese di lite), nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass., Sez. U, 27/9/2023 n. 27433 e Cass., Sez. U, 13/10/2023 n. 28540, l’art. 380-bis, co. 3, cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Peraltro, se è pur vero che di una siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Cass., Sez. U, 27.12.2023 n. 36069), nondimeno nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è evidente la complessiva piena «tenuta» del sin-
tetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Condanna il ricorrente ex art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. al pagamento di € 5 .200,00,00 a favore della controricorrente di € 2.500,00 a favore della cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.5.2025