Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 547 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 547 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18684/2023 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che lo rappresenta e difende ex lege ;
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 162/2023 depositato il 9.2.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso del 31.8.2022 COGNOME NOME e numerosi altri soggetti che erano stati parti del medesimo giudizio davanti al TAR del Lazio n. 9044/2011 RG (introdotto l’11.10.2011 e definito con la sentenza del TAR del Lazio n. 1151/2019 del 19.9.2019, appellata da Roma Capitale il 29.11.2019 davanti al Consiglio di Stato, che aveva pronunciato la sentenza n. 1903/2022 del 16.3.2022 di rigetto dell’appello), chiedevano alla Corte d’Appello di Roma di ingiungere al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento di un indennizzo per la durata irragionevole di € 6.020,00 ciascuno. Il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Roma, dopo aver chiesto ed ottenuto chiarimenti sulla difformità rilevata d’ufficio nel cognome del ricorrente tra quanto riportato nel ricorso ex art. 3 della L. n. 89/2001 e nella relativa procura alle liti, in cui era indicato col cognome COGNOME e quanto riportato nella sentenza del TAR del Lazio n. 1151/2019, nel ricorso introduttivo del procedimento amministrativo davanti al TAR del Lazio n. 9044/2011 RG e nell’iscrizione a ruolo, in cui figurava come COGNOME NOME, col decreto n. 2015/2022 del 17.11.2022, mentre accoglieva la domanda di indennizzo degli altri ricorrenti, respingeva quella avanzata da COGNOME NOME, ritenendo che non vi fosse prova che COGNOME NOME fosse stato parte del giudizio presupposto, essendo riportato sia nel ricorso introduttivo del medesimo, sia nella menzionata sentenza del TAR del Lazio il diverso cognome NOME
Avverso tale decreto proponeva opposizione ex art. 5 ter L.n.89/2001 COGNOME NOMECOGNOME reiterando la domanda di indennizzo
per irragionevole durata, nel contempo avanzando separata istanza di correzione di errore materiale al TAR del Lazio per essere stato per mera svista trascritto il cognome COGNOME anziché COGNOME, alla pagina 5 del ricorso dell’11.10.2011 introduttivo del procedimento n. 9044/2011 RG del TAR del Lazio, alla pagina 31 della procura in calce a quel ricorso ed alla pagina 2 dell’intestazione della sentenza del TAR del Lazio n.11151/2019, istanza che veniva poi accolta con ordinanza del 6/16.2.2023.
La Corte d’Appello di Roma, in composizione collegiale, nella contumacia del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con decreto n. 162/2023 del 6/9.2.2023, disattesa l’istanza dell’opponente di concessione di un breve rinvio per la produzione dell’ordinanza di correzione, rigettava l’opposizione, nulla disponendo per le spese processuali.
Nella motivazione del decreto collegiale, la Corte d’Appello sosteneva che dal contenuto del ricorso al TAR del Lazio dell’11.10.2011 (proc. n. 9044/2011 RG) e dall’indicazione contenuta nella procura alle liti per esso rilasciata, risultava che al giudizio presupposto aveva partecipato COGNOME Andrea e non COGNOME Andrea, ossia il soggetto che aveva poi richiesto l’indennizzo per irragionevole durata di quel procedimento, come asseritamente ammesso dallo stesso ricorrente e verificato prima dal Consigliere delegato e poi dal collegio in sede di opposizione, e riteneva che la difformità non potesse essere sanata dalla presentazione dell’istanza di correzione al TAR del Lazio dopo l’emissione del decreto di rigetto, tanto più che pacificamente analoga istanza di correzione non era stata presentata dall’opponente per emendare l’identico errore contenuto anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1903/2022.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso a questa Corte il COGNOME, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’8.9.2023, affidato ad un unico motivo, producendo unitamente l’ordinanza di
correzione della sentenza n. 1151/2019 del TAR del Lazio da quest’ultimo emessa il 6/16.2.2023; resiste il Ministero con controricorso notificato il 26.9.2023.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. e la causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 9.7.2024.
Con l’unico motivo fatto valere, COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo n. 3) e n. 5) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 111 della Costituzione, dell’art. 1 bis comma 2 e dell’art. 2 della L. n.89/2001 e degli articoli 287 e 288 c.p.c., dolendosi dell’illegittimo diniego del suo diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata del giudizio amministrativo sopra indicato per il mancato riconoscimento dell’efficacia sanante dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale che era contenuto nella sentenza del TAR del Lazio n. 1151/2019, per lui conclusiva del giudizio presupposto.
Rileva il ricorrente che, per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione di una sentenza, è considerata come un mero errore materiale, emendabile con la procedura di correzione di cui agli articoli 287 e 288 c.p.c. quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità delle parti (Cass. n. 22275/2017; Cass. n. 11972/2003), e che se la correzione dell’errore materiale in ordine all’identificazione di una delle parti interviene ad opera del giudice che ha commesso l’errore dopo oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza e dalla proposizione dell’appello, in assenza di specifica impugnazione sul punto, la sentenza corretta si considera emessa ex tunc nei confronti della parte effettiva (Cass. n. 5888/1999).
Sulla base di questi principi, poiché il cognome COGNOME risultava chiaramente dalla firma della procura ad litem conferita per il procedimento amministrativo n. 9044/2011 RG davanti al TAR del
Lazio, nonché dall’indicazione nella suddetta procura dell’esatto codice fiscale di COGNOME NOME, CODICE_FISCALE poiché COGNOME NOME dopo la pronuncia conclusiva di quel procedimento n. 1151/2019 del 19.9.2019 del TAR del Lazio non l’aveva appellata davanti al Consiglio di Stato e non si era costituito come appellato in secondo grado, sicché era del tutto ininfluente la circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato n. 1903/2022 del 16.3.2022 contenesse ancora l’erronea intestazione a COGNOME NOME e che per essa il ricorrente non avesse chiesto la correzione, poiché il ricorrente non aveva mai ammesso che al giudizio presupposto avesse partecipato una diversa persona fisica, di nome NOME NOME, soggetto del tutto inesistente, e poiché in sede di legittimità è stata prodotta l’ordinanza di correzione della sentenza n. 1151/2019 del 19.9.2019 del TAR del Lazio del 6/16.2.2023, che non si era potuta depositare in sede di opposizione perché non ancora pubblicata alla data dell’udienza in cui la causa era stata trattenuta in decisione; dall’efficacia retroattiva della correzione derivava che la sentenza conclusiva del giudizio presupposto doveva considerarsi pronunciata nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME la cui domanda di equa riparazione meritava quindi accoglimento.
Il motivo è fondato e merita accoglimento per le considerazioni che seguono.
Anzitutto deve ritenersi ammissibile, in deroga all’art. 372 c.p.c., la produzione da parte del ricorrente dell’ordinanza di correzione di errore materiale del TAR del Lazio del 6/16.2.2023 della sentenza n. 1151/2019 del 19.9.2019 dallo stesso emessa a conclusione, per il ricorrente, del giudizio presupposto, che pacificamente non l’ha appellata, né si è costituito come appellato nel giudizio di appello davanti al Consiglio di Stato promosso da Roma Capitale.
Tale ordinanza ha riconosciuto che per mera svista la sentenza suindicata è stata pronunciata nei confronti di COGNOME NOME, anziché della parte effettiva COGNOME NOME.
Tale prova documentale, pubblicata e resa disponibile dopo la pubblicazione del decreto della Corte d’Appello di Roma impugnato del 6/9.2.2023, può essere prodotta in questa sede, in quanto prova di un fatto sopravvenuto incidente sulla situazione giuridica controversa costituita dalla spettanza o meno a COGNOME NOME del diritto all’equa riparazione per durata irragionevole del procedimento amministrativo presupposto, conclusosi per il ricorrente con la sentenza corretta, e quindi equiparabile anche in considerazione del principio della ragionevole durata del processo, costituzionalmente garantita, allo ius superveniens, (vedi in tal senso in materia di sopravvenienza di un provvedimento amministrativo di espropriazione nei giudizi di risarcimento danni per occupazione Cass. 24.11.2020 n. 26757; Cass. 17.4.1982 n. 2341; Cass. 14.5.1981 n. 3173; Cass. 26.3.1980 n. 2010), in quanto la correzione è un atto dovuto assimilabile ad un atto amministrativo e non è espressione di un potere giurisdizionale, tanto che nel relativo procedimento di norma non si provvede sulle spese processuali (Cass. 29.9.2023 n. 27681; Cass. 22.6.2020 n.12184; Cass. 6.11.2019 n. 28610; Cass. 19.3.2018 n. 6701; Cass. 22.2.2017 n. 4610; Cass. 18.11.2016 n. 23578; Cass. 4.1.2016, n. 14; Cass. 17.9.2013, n.21213; Cass. 28.3.2008, n.8103).
L’ordinanza di correzione, ora acquisita, peraltro, è potuta intervenire in quanto già nella procura ad litem rilasciata per il giudizio presupposto (il procedimento amministrativo n. 9044/2011 RG davanti al TAR del Lazio), al di là dell’erronea intestazione della procura, così come del ricorso introduttivo e dell’iscrizione a ruolo della causa, a COGNOME NOME, vi era la leggibile sottoscrizione di COGNOME NOME, del quale peraltro era riportato esattamente nella procura e nell’intestazione del ricorso il codice fiscale CODICE_FISCALE che consentiva di identificare in modo certo
la parte effettiva del giudizio in COGNOME NOME e non in COGNOME NOME.
Il ricorrente, peraltro, nel richiedere l’indennizzo per equa riparazione, ha fatto presente le sviste che erano state commesse nel giudizio presupposto nell’intestazione del ricorso, della procura e dell’iscrizione a ruolo della causa, e conseguentemente nella sentenza conclusiva del procedimento n. 9044/2011 RG del TAR del Lazio, ma non ha mai sostenuto che a quel procedimento avesse effettivamente partecipato una persona fisica diversa, di nome NOME NOME, del tutto inesistente e non corrispondente al codice fiscale identificativo sopra indicato riportato nella procura e nell’intestazione del ricorso, che è l’unico che garantisce l’identificazione sicura della parte e per questo motivo figura tra i requisiti dell’atto di citazione all’art. 163 n. 2) c.p.c., valevoli anche per il ricorso, prima ancora dell’indicazione del nome e del cognome.
Quanto alla circostanza che COGNOME NOME non abbia chiesto la correzione anche della sentenza del Consiglio di Stato n. 1903/2022 del 16.3.2022 di rigetto dell’appello di Roma Capitale avverso la sentenza del TAR del Lazio corretta, è ininfluente, dato che l’impugnazione di Roma Capitale è stata respinta, ed in quanto una volta che sia intervenuta la correzione della sentenza di primo grado dopo che sia decorso oltre un anno dalla pubblicazione della stessa e dall’appello e senza che l’errore emendato sia stato fatto oggetto d’impugnazione, la correzione produce effetto retroattivo e fa sì che la sentenza corretta si consideri emessa ex tunc nei confronti della parte effettiva (vedi in tal senso Cass. Sez. lav. n.5888/1999), ossia di COGNOME NOME, che peraltro nella specie non ha appellato, né si è costituito nel giudizio amministrativo di secondo grado.
Il ricorso va accolto e il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa l’impugnato decreto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che