Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18868 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18868 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
1.La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere l’accertamento dell’inefficacia dei contratti di lavoro a tempo determinato intercorsi con il Centro Regionale S. Alessio Margherita di Savoia per i ciechi e del carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso con il medesimo Centro dal 1999, nonché la conversione del rapporto, la reintegrazione nel posto di lavoro con contratto a tempo indeterminato, il pagamento delle differenze retributive a decorrere dalla data di assunzione e la condanna al risarcimento del danno ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 e ex art. 8 legge n. 604/1966 nella misura di 12 mensilità.
La ricorrente aveva dedotto di avere stipulato con il Centro, dal 1999 senza soluzione di continuità, una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa di durata annuale per lo svolgimento di attività in qualità di operatore per l’assistenza didattica post -scolastica (domiciliare) e in seguito di operatore di assistenza specialistica tiflologica scolastica; aveva sostenuto il carattere subordinato del suddetto rapporto di lavoro.
La Corte territoriale all’esito dell’istruttoria testimoniale ha escluso il carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, avendo rilevato il difetto di prova di un reale vincolo di assoggettamento gerarchico della lavoratrice al Centro la mancanza di poteri disciplinari da parte del medesimo.
Ha inoltre rilevato che con l’atto di appello la COGNOME aveva indicato quale nuova causa petendi l’assenza di uno specifico progetto, prospettata solo implicitamente nel ricorso introduttivo per la sola allegazione della natura subordinata del rapporto, ed aveva così introdotto un nuovo tema di indagine, in violazione dell’art. 437 cod. proc. civ.
A fronte della natura pubblica del Centro Regionale S. Alessio, il giudice di appello ha comunque escluso la possibilità di convertire i contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti di lavoro subordinato.
Ha pertanto ritenuto infondata anche la pretesa risarcitoria.
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Il Centro ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 345, 346 e 112 cod. proc. civ., anche in relazione agli artt. 1362 cod. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto nuova la deduzione relativa all’assenza di un progetto.
Lamenta l’omessa pronuncia e la mancata disamina del ricorso di primo grado; richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la novità di una questione sussiste solo qualora l ‘esame della censura implichi un nuovo accertamento di merito con ampliamento del thema probandum estraneo al giudizio, e non invece qualora la domanda venga accolta in ragione di una diversa qualificazione giuridica degli stessi fatti già implicitamente o esplicitamente acquisiti al processo.
Evidenzia che nel ricorso di primo grado la COGNOME aveva dedotto che in mancanza di un progetto, programma o fase dello stesso, il rapporto si converte ai sensi dell’art. 69 d.lgs. n. 276/2003 ed aveva chiesto la conversione del rapporto anche in ragion e dell’assenza di un progetto.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto l’illegittimo ampliamento del thema probandum in relazione alla dedotta insussistenza di un progetto.
Insiste nel sostenere che lo sviluppo in appello di un’argomentazione giuridica che non implica un’attività istruttoria preclusa non determina alcuna mutatio libelli ; evidenzia che i contratti a progetto a decorrere dal 2003 erano stati prodotti ed acquisiti nel giudizio di primo grado.
I primi due motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione logica, sono inammissibili.
Le censure non adempiono agli oneri previsti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., in quanto nel prospettare che nel ricorso di primo grado la COGNOME
aveva chiesto la conversione del rapporto anche in ragione dell’assenza di un progetto e nel sostenere che i contratti a progetto stipulati dal 2003 (di cui riportano contenuti specifici) erano stati allegati al ricorso, non ne riportano il contenuto per intero; inoltre non localizzano il ricorso di primo grado, né i contratti a progetto.
Peraltro il ricorso non indica alcun documento allegato, ma si limita a rimandare ad un indice esterno.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., degli artt. 1 e 2 d. lgs. n. 368/2001, dell’art. 36 d. lgs. n. 165/2001 e dell’art. 112 Cost., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la natura pubblicistica dell’ente ostasse alla conversione del rapporto di lavoro.
Sostiene l’ammissibilità della conversione in ragione della gravità delle violazioni e dell’abuso e che la nozione di ‘worker’ è ricompresa nell’ambito della Direttiva 1999/70/CE.
5. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha da tempo chiarito che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti dell’articolo 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale. (Cass. Sez. L., 18/04/2018, n. 9591)
Nel pubblico impiego privatizzato, alla violazione di disposizioni imperative che riguardino l’assunzione, sia a seguito di pubblico concorso sia attingendo alle liste di collocamento, non può mai far seguito la costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato, atteso che la “ratio” dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, non risiede esclusivamente nel rispetto delle regole del pubblico concorso, ma anche, più in generale, nel rispetto del principio cardine del buon andamento della P.A., che
sarebbe pregiudicato qualora si addivenisse all’immissione in ruolo senza alcuna valutazione dei fabbisogni di personale e senza seguire le linee di programmazione nelle assunzioni, che sono indispensabili per garantire l’efficienza dell’amministrazione pubblica ed il rispetto delle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica. (v. per tutte Cass. Sez. L., 30/12/2021, n. 42004).
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2094, cod. civ., 112 cod. proc. civ., dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1 d.lgs. n. 368/2001 e dell’art. 1362 cod. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente respinto la domanda di risarcimento del danno eurounitario.
Lamenta l’ omessa pronuncia sulle domande relative al riconoscimento dell’anzianità maturata e della professionalità acquisita, delle differenze di retribuzione e del risarcimento del danno; evidenzia che tali domande presuppongono l’accertamento del carattere subordinato del rapporto, ma sono indipendenti da quella di conversione del rapporto.
Sostiene che l’omessa disamina di tali domande era dipesa dal rilievo del carattere pubblico dell’ente.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 112 414 e 437 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto dirimente il divieto di conversione del rapporto ai fini della statuizione sulle domande che postulano la natura subordinata del rapporto e l’abuso del contratto a tempo determinato ai fini del risarcimento.
Evidenzia che la Corte territoriale ha implicitamente ipotizzato una carenza di interesse o un’irrilevanza della censura relativa al mancato accoglimento delle domande relative alle differenze di retribuzione e al risarcimento del danno.
Lamenta la mancata disamina delle suddette domande (erroneamente ritenute assorbite) che avrebbero dovuto essere accolte, a fronte dell’assenza di un progetto.
Sostiene che l’indennizzo ex art. 32 legge n. 183/2010 deve essere riconosciuto anche in presenza di un abusivo ricorso a contratti di lavoro a progetto con durata temporale.
8. Il quarto ed il quinto motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili, in quanto non colgono il decisum .
La Corte territoriale ha disatteso le domande volte ad ottenere l’accertamento del carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti; non era dunque tenuta ad esaminare le domande relative al riconoscimento dell’anzianità maturata e della professionalità acquisita, alle differenze di retribuzione e al risarcimento del danno, che presuppongono il carattere subordinato del rapporto e l’abusiva reiterazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME