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Conversione collaborazione: part-time e retribuzione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10969/2025, ha stabilito che la conversione collaborazione coordinata e continuativa senza progetto in un rapporto di lavoro subordinato non implica automaticamente il riconoscimento di un orario full-time. Ai fini delle differenze retributive, si deve applicare il principio di corrispettività, calcolando la paga in base all’orario di lavoro effettivamente svolto dal lavoratore. Nel caso specifico, essendo stato accertato un impegno part-time, la richiesta del lavoratore di un riconoscimento full-time è stata respinta. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo a un inquadramento professionale superiore, in quanto implicava una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità.

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Conversione Collaborazione: La Cassazione chiarisce Retribuzione e Orario

La gestione delle collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.) prive di un progetto specifico è da tempo un tema centrale nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 10969/2025, offre un chiarimento cruciale sulla conversione collaborazione in rapporto di lavoro subordinato, specificando come debbano essere determinate le differenze retributive. La decisione sottolinea che la conversione non comporta automaticamente il diritto a una retribuzione full-time, ma deve basarsi sull’orario di lavoro effettivamente prestato.

Il Caso: Dalla Collaborazione alla Causa in Tribunale

Un lavoratore aveva intrattenuto per diversi anni un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con un’associazione. Tale rapporto, tuttavia, non era mai stato formalizzato con uno specifico progetto, come richiesto dalla normativa all’epoca vigente (d.lgs. 276/2003). I giudici di primo e secondo grado avevano accertato la natura subordinata del rapporto, applicando la presunzione legale di subordinazione. Avevano però stabilito che l’orario di lavoro fosse part-time, pari a 20 ore settimanali, poiché era emerso che il lavoratore svolgeva parallelamente altre attività professionali. Di conseguenza, l’associazione era stata condannata al pagamento delle differenze retributive calcolate su tale orario parziale. Insoddisfatto, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, chiedendo il riconoscimento di un rapporto a tempo pieno e di un inquadramento professionale superiore.

Conversione Collaborazione e Orario di Lavoro: Il Principio di Corrispettività

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda la quantificazione delle spettanze economiche derivanti dalla conversione del rapporto. La Corte ha rigettato la richiesta del lavoratore di un riconoscimento full-time, enunciando un importante principio di diritto. La conversione collaborazione ex lege è una sanzione per il datore di lavoro che ha utilizzato una forma contrattuale impropria. Tuttavia, per il periodo di lavoro già svolto, deve prevalere il principio di corrispettività tra prestazione e retribuzione.

Questo significa che la retribuzione deve essere commisurata alla quantità di lavoro effettivamente offerta. Se, come nel caso di specie, è stato provato che il lavoratore ha osservato un orario part-time, le differenze retributive devono essere calcolate su quella base e non su un orario a tempo pieno teorico. La Corte specifica che questo principio non entra in conflitto con altre decisioni relative alla contribuzione previdenziale, che può essere parametrata al tempo pieno per finalità solidaristiche e di garanzia di prestazioni adeguate.

Inquadramento Professionale e Limiti del Ricorso in Cassazione

La Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, con cui il lavoratore contestava il livello di inquadramento (IV livello CCNL Studi Professionali) e ne chiedeva uno superiore (III livello) in virtù di mansioni organizzative e di marketing. I giudici supremi hanno ribadito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. La richiesta del lavoratore implicava una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Inoltre, la decisione era supportata da una “doppia pronuncia conforme”, ovvero due sentenze di merito (Tribunale e Corte d’Appello) che erano giunte alla stessa conclusione basandosi sulle medesime ragioni di fatto, circostanza che limita ulteriormente la possibilità di censurare l’accertamento fattuale.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la natura sanzionatoria della conversione del contratto e le sue conseguenze economiche per il passato. La legge (art. 69, d.lgs. 276/2003) impone la trasformazione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato come deterrente contro l’abuso delle collaborazioni. Tuttavia, per il periodo precedente all’accertamento giudiziale, il sinallagma contrattuale (il legame di reciprocità tra le prestazioni) richiede che la retribuzione sia il giusto corrispettivo del lavoro effettivamente svolto. Imporre un pagamento basato su un orario full-time non lavorato costituirebbe un arricchimento ingiustificato per il lavoratore. La Corte ha quindi stabilito che, accertato tramite accordo per facta concludentia (fatti concludenti) un impegno orario parziale, i giudici di merito hanno correttamente calcolato le differenze retributive su tale base.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 10969/2025 consolida un orientamento di fondamentale importanza pratica. La conversione collaborazione in rapporto di lavoro subordinato protegge il lavoratore per il futuro, ma non altera la realtà delle prestazioni passate ai fini retributivi. Per datori di lavoro e collaboratori, questa sentenza ribadisce che, anche in caso di riqualificazione del rapporto, la determinazione delle spettanze economiche pregresse dipenderà sempre da una prova rigorosa dell’effettivo impegno orario e delle mansioni svolte.

Se una collaborazione senza progetto viene convertita in lavoro subordinato, il rapporto è automaticamente full-time ai fini della paga?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per calcolare le differenze retributive passate, si applica il principio di corrispettività. La paga deve quindi essere commisurata all’orario di lavoro che è stato effettivamente svolto, anche se part-time.

Perché la Cassazione ha respinto la richiesta di un inquadramento professionale superiore?
La richiesta è stata dichiarata inammissibile perché implicava una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività che non è consentita nel giudizio di Cassazione. Inoltre, esisteva una “doppia pronuncia conforme” dei giudici di merito che aveva già stabilito le mansioni svolte.

Il principio della retribuzione basata sulle ore effettive vale anche per i contributi previdenziali?
La Corte chiarisce che il suo principio di diritto sulla retribuzione non si pone necessariamente in conflitto con la giurisprudenza in materia previdenziale. La contribuzione, infatti, persegue finalità solidaristiche e può essere parametrata a un imponibile teorico (come quello full-time) per garantire prestazioni adeguate al lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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