Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10969 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10969 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14230-2024 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ISTITUTO SUPERIORE DI CONCILIAZIONE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 253/2023 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 06/12/2023 R.G.N. 7/2023;
Oggetto
QUALIFICAZIONE
RAPPORTO DI LAVORO
R.G.N. 14230/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Brescia, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto -in parte – la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’associazione Istituto Superiore RAGIONE_SOCIALE accertando il carattere coordinato e continuativo della collaborazione instaurata tra le parti dal marzo 2012 al luglio 2017 (data delle dimissioni), collaborazione peraltro non formalizzata (e quindi priva di progetto), con conseguente applicazione della presunzione assoluta di subordinazione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 e declaratoria della sussistenza -per il periodo innanzi indicato – di un rapporto di lavoro subordinato con orario part time di 20 ore settimanali (essendo pacificamente emerso dall’istruttoria che il COGNOME, parallelamente all’attività espletata per l’associazione, svolgeva anche attività -del tutto differente – per conto degli studi professionali che avevano sede nella strut tura dell’associazione, tra cui lo studio professionale dello stesso Presidente dell’associazione avv. COGNOME nonché per avvocati esterni) e inquadramento nel IV livello di cui al CCNL Studi professionali (essendo stata provata un’attività di segreteria sia per quanto attiene all’attività dei mediatori, sia per quanto attiene all’organizzazione dei convegni o dei corsi di formazione e aggiornamento dei mediatori o degli avvocati); i giudici di merito hanno condannato, inoltre, l’Istituto al pagamento dell e differenze retributive.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’associazione ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c .p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) ed errata applicazione di norma di diritto in relazione alle disposizioni di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, nonché sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, posto che il rapporto tra lavoro a tempo pieno e lavoro a tempo parziale si configura come un rapporto di regola ad eccezione e il CCNL di settore fissa in 40 ore la durata normale dell’orario settimanale.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, errata applicazione di norma di diritto CCNL in relazione all’inquadramento professionale, errata applicazione della norma di cui all’art. 2697 c.c. in punto di prova delle prestazioni rese e di cui all’art. 115 in relazione al principio di non contestazione, posto che alcune attività espletate dal COGNOME (organizzazione di congressi, formazione e marketing ) dovevano essere sussunte nel superiore III livello, trattandosi non solo di attività di segreteria bensì anche di organizzazione di eventi di formazione con i relativi incombenti organizzativi.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
3.1. Questa Corte ha affermato che il comma 1, dell’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003 sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del contratto -ope legis -in un rapporto a tempo
indeterminato, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria (diversamente, il comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti”; cfr. Cass. n. 12820 del 2016; Cass. n. 17127 del 2016; Cass. n. 17707 del 2020; Cass. n. 27543 del 2020; da ultimo, Cass. n. 26826 del 2024).
3.2. La conversione ex lege della collaborazione lavorativa priva di un progetto in un rapporto di lavoro subordinato (comma 1 dell’art. 69 cit.), come anche l’accertato discostamento delle parti dall’assetto di interessi formalmente predisposto (comma 2, dell’art. 69), configurano norme sanzionatorie concernenti il tipo negoziale, ossia l’assetto regolamentare da attribuire al rapporto di lavoro intercorso fra le parti (disposizioni che non violano il principio di indisponibilità del tipo, che opera in senso unidirezionale e che, nel caso di specie, innalzano il livello di tutela del lavoratore, cfr. Corte Cost. n. 115 del 1994);
3.3. La previsione sanzionatoria dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 impone, dunque, alle parti di proseguire il rapporto di lavoro secondo la (diversa) qualificazione civilistica dettata dall’art. 2094 c.c.; la necessaria riconducibilità del la collaborazione ad un progetto comporta l’operatività del meccanismo di conversione anche con riguardo alla porzione di rapporto svoltosi prima dell’accertamento giudiziale, ossia sin dalla costituzione della collaborazione coordinata e continuativa (priva di progetto); con riguardo a questo periodo, la previsione sanzionatoria va coordinata con il principio di corrispettività tra prestazione lavorativa e retribuzione che (salvo specifiche e
determinate previsioni di legge) prevede che l’obbligazione principale del datore di lavoro (il pagamento della retribuzione) sia corrispettiva all’obbligazione (lavorativa) del prestatore, con la conseguenza che i compensi economici da erogare al lavoratore vanno commisurati alla quantità della prestazione offerta.
Deve, pertanto, esprimersi il seguente principio di diritto: la conversione ex lege del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, rappresenta una sanzione concernente il tipo negoziale, che va coordinato, quanto al periodo di svolgimento effettivo della collaborazione (periodo precedente l’applicazione del meccanismo della conversione), con il principio di corrispettività tra obbligazione retributiva e prestazione di lavoro; per tale periodo spettano, pertanto, al lavoratore le (eventuali) differenze retributive da commisurarsi sulla base dell’effettivo orario di lavoro osservato.
4.1. Il principio di diritto innanzi formulato non si pone in conflitto con la statuizione di questa Corte secondo cui, nel caso del comma 1 di cui all’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, ‘la contribuzione previdenziale vada senz’altro parametrata all’orario proprio del tempo pieno, restando affatto irrilevante la tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti’ (Cass. n. 32160 del 2021), in quanto l’imponibile previdenziale persegue diversi e ulteriori obiettivi di carattere solidaristico (art. 38 Cost.) che tendono a far riferimento alla retribuzione effettiva solamente se non inferiore a determinati livelli (c.d. imponibile teorico), al fine di garantire prestazione (previdenziali) adeguate.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel convertire -ai sensi del comma 1, dell’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003 – la collaborazione coordinata e continuativa priva di progetto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (peraltro, già risolto tra le parti), ha accertato l’osservanza, da parte del collaboratore, di un orario di lavoro pari a 20 ore settimanali, e, dunque, l’accordo per facta concludentia -di un impegno orario parziale del prestatore di lavoro; in conformità al principio di diritto innanzi esposto, i giudici di merito hanno correttamente determinato le differenze retributive richieste sulla base della prestazione lavorativa effettivamente offerta dal prestatore di lavoro.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1. Le argomentazioni concernenti la ricostruzione dei compiti e delle incombenze affidati al COGNOME sollecitano, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento; si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014) sostanziali censure ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., a monte non consentite dall’art. 348-ter, commi 4 e 5, c.p.c., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa il contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore.
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso; le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 marzo