Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15407 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15407 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
Oggetto: Professioni.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15942/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) (P_IVA) , in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, con procura speciale rilasciata in calce al ricorso con separato foglio, dall’AVV_NOTAIO del foro di Santa Maria Capua Vetere ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo RAGIONE_SOCIALE dell’AVV_NOTAIO del foro di Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) (P_IVA), in persona del RAGIONE_SOCIALE rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, con procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO del foro di Roma, presso il cui RAGIONE_SOCIALE è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Napoli n. 1417/2021 relativa al giudizio R.G. n. 8166/2017, depositata il 29 aprile 2021 e notificata il 30 aprile 2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
lo RAGIONE_SOCIALE chiedeva ed otteneva dal Giudice di pace di Caserta l’emissione di n. 29 decreti ingiuntivi per crediti professionali maturati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per avere espletato per suo conto gli incarichi di cui alla convenzione stipulata dalle parti il 19.07.2007 di durata annuale, rinnovata tacitamente, decreti avverso i quali la pretesa debitrice proponeva separate opposizioni, poi riunite, deducendo che era stato elaborato un nuovo testo contrattuale di cui alla Convenzione del 2013, che disciplinava diversamente i rapporti economici fra le parti, adattandoli alle variegate realtà presenti su tutto il territorio nazionale, accordo sottoscritto dall’AVV_NOTAIO il 14.03.2013 e in ordine al quale pendeva controversia avanti al Tribunale di Milano per definirne la portata, per cui eccepiva il difetto di competenza del giudice adito in monitorio per continenza con il giudizio pendente a Milano, in subordine, chiedeva la sospensione dei giudizi ex art. 295 c.p.c.; aggiungeva che non era stata fornita la prova delle prestazioni eseguite e che aveva omesso di applicare i criteri quantitativi previsti dalla Convenzione del 2013, oltre ad avere abusato del proprio diritto di credito per avere illegittimamente frazionato le proprie pretese creditorie in plurime procedure monitorie;
instaurato il contraddittorio, nella resistenza dello RAGIONE_SOCIALE intimante, il giudice adito, con sentenza n. 957/2017, nell’accogliere
parzialmente l’opposizione, riteneva l’applicabilità della Convenzione del 2013 e in ragione del pagamento stragiudiziale intervenuto, revocava i ventinove decreti ingiuntivi, considerando che l’importo versato per ciascuno di essi fosse superiore al dovuto, compensate le spese processuali;
– sul gravame interposto dallo RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 1417 del 2021, rigettava l’appello e per l’effetto confermava la sentenza del Giudice di pace di Caserta, seppure con parziale correzione della motivazione, compensate le spese del grado.
A sostegno di tale decisione il giudice adito premetteva che la revoca dei decreti ingiunti doveva ritenersi effettuata non in ragione del pagamento della sorte capitale avvenuto in corso di causa, ma innanzitutto in ragione del riconoscimento di un importo minore a titolo di corrispettivo dovuto per l’attività espletata dallo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; sottolineava, nel merito, che andava condivisa e non incorreva nel vizio ultrapetizione la statuizione del giudice di prime cure secondo cui nella specie trovava applicazione la convenzione del 2013 per il calcolo dei compensi spettanti all’associazione RAGIONE_SOCIALE, in primo luogo per avere la RAGIONE_SOCIALE posto la questione già con le prime difese e comunque si trattava di una mera difesa come tale pienamente ammissibile al di là di eventuali domande riconvenzionali. Aggiungeva che andava anche condivisa la conclusione secondo cui l’AVV_NOTAIO aveva concluso la convenzione del 2013 per conto della medesima RAGIONE_SOCIALE, come del resto affermato anche dal Tribunale di Milano (sentenza n. 625/2017), che non faceva stato tra le parti ma aveva rilevanza quanto alle prove e all’interpretazione della convenzione, trattandosi del medesimo atto, in quanto alla clausola di cui all’art. 7.2 era espressamente previsto che l’accordo annullava e sostituiva i precedenti e tra l’AVV_NOTAIO, persona fisica, e la RAGIONE_SOCIALE non intercorrevano precedenti rapporti. Inoltre, detta clausola stabiliva che l’applicazione dei nuovi parametri
aveva ad oggetto anche tutte le cause in corso. Né poteva trovare accoglimento la deduzione relativa alla mancata condanna dell’assicurazione al pagamento degli interessi e delle spese dei procedimenti monitori a seguito della revoca dei decreti ingiuntivi in assenza di uno specifico motivo d’impugnazione sul punto, essendo l’atto di appello fondato sulla negazione della validità della Convenzione del 2013 posta a fondamento del riconoscimento del minor importo. Neanche poteva essere effettuata la quantificazione del minore importo dovuto in appello in ragione del divieto di riforma in peius . Riteneva, inoltre, di confermare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado per la sussistenza di giusti motivi, compensate anche quelle di appello in virtù della riforma della sentenza impugnata in punto di motivazione;
avverso la citata sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi, articolati i primi due in sub-censure, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE;
fissata adunanza camerale per il 17 maggio 2023, il procedimento -stante l’istanza di parte controricorrente ai sensi degli artt. 273 e/o 274 c.p.c., ribadita anche dal ricorrente nella memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. – è stato rinviato a nuovo ruolo per connessione con quello R.G. n. 14014/2021, pendente fra le medesime parti ed avente ad oggetto la sentenza n. 825/2021 del medesimo ufficio giudiziario, chiamato alla stessa udienza, con l’ordinanza interlocutoria n. 22672/2023 del 26.07.2023, per valutare la riunione anche rispetto ad un diverso gruppo di procedimenti trattati sempre da questa Sezione all’udienza dell’8 marzo 2023, al fine di assicurare omogeneità di giudizio e comunque in attesa della definizione dei procedimenti predetti;
-in prossimità dell’ulteriore adunanza camerale fissata per il 21.11.2023, parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c.
Considerato che:
-va pregiudizialmente rigettata l’istanza di riunione avanzata dalla controricorrente in data 11 novembre 2022 con riferimento al ricorso recante numero R.G. 14014/2021, proposto avverso la sentenza n. 825/2021 del 30 marzo 2021, resa dallo stesso Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, giudizio che si assume abbia già ricostruito la convenzione del 2013 sulla determinazione dei compensi professionali e relativo alla. La riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove esse investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ma a condizione che i ricorsi, seppur proposti contro provvedimenti diversi, siano fra loro connessi, nel senso che la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, ovvero siano ravvisabili ragioni di economia processuale o profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (cfr Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013 n. 1521), laddove, nel caso in esame, le prospettate ragioni di connessione tra i due ricorsi (identità soggettiva dei giudizi, con riferimento alle persone dei professionisti legali ed alla società cliente, unitarietà del rapporto di assistenza RAGIONE_SOCIALE, pur nella diversità delle specifiche prestazioni oggetto delle distinte cause, e presumile analogia di alcune delle questioni di diritto implicate) non appaiono tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto;
-passando al merito, con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione e di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per avere fatto applicazione della convenzione del 2013 ‘per la parametrazione dei compensi
professionali’ spettanti all’opposta associazione, avendo ritenuto erroneamente rituale ed ammissibile la domanda di riparametrazione del credito. Di converso l’opponente nell’atto di citazione aveva solo richiamato la Convenzione 2013, peraltro a tutti altri fini con riguardo ad eccezioni di rito, senza al contempo individuare un conteggio o una proposta di conteggio alternativo a quello indicato nei decreti opposti.
Da siffatti argomenti si fa discendere, nel secondo sub-motivo, la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., oltre a violazione degli artt. 112 e 163 e/o 39 c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost.
Insiste, inoltre, nell’erroneo utilizzo a fini decisori della interpretazione della sentenza milanese.
Il motivo è infondato.
La richiesta di annullamento e/o revoca delle ingiunzioni emessa a seguito della domanda monitoria del professionista era stata proposta già nell’atto di opposizione laddove era stata denunciata l ‘ esistenza della Convenzione 2013 con la quale erano stati rideterminati i compensi spettanti al professionista, ‘anche in relazione agli incarichi pregressi già affidati’ , come previsto espressamente dall’art. 7.2 dell’accordo, sottoscritto dallo stesso AVV_NOTAIO (v. alle pagine 2 e 3 dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo), per cui ‘in diritto’ veniva chiesto l’annullamento ovvero la revoca del provvedimento in monitorio per avere lo RAGIONE_SOCIALE ‘omesso di applicare i criteri quantitativi previsti nella Convenzione 2013’ (v. pag. 4 dello stesso atto di citazione).
Inoltre, l’esame del la questione circa la applicabilità della Convenzione del 2013 è stato devoluto al giudice del gravame dalla stessa RAGIONE_SOCIALE con il primo motivo di appello, come mostrato dalle ragioni di contestazione puntualmente riprodotte dalla medesima sentenza impugnata (v. pagg. 5 e 7 della decisione), evidenziando che l’RAGIONE_SOCIALE aveva insistito per la
non applicabilità della Convenzione del 2013 individuando le possibili conseguenze di una tale scelta processuale.
La richiesta di revoca dei provvedimenti monitori non introduceva pertanto alcuna modifica delle conclusioni già formulate, né sostanziava una domanda nuova, considerato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente riveste la qualità di convenuto sostanziale e, ove si limiti a chiedere il rigetto o l’inammissibilità della domanda monitoria, non formula domande in senso tecnico, ma mere difese o eccezioni, deducibili in appello (Cass. n. 24815 del 2005 e Cass. n. 16011 del 2003) e il giudice di appello, pertanto, non è incorso nel denunciato vizio di ultrapetizione;
– con il primo motivo sub-B (seconda censura) lo RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 101, comma 2 c.p.c. e 111 Cost. per avere il giudice di prime cure trattenuto la causa a decisione ponendo a fondamento del proprio convincimento la sentenza del Tribunale di Milano, depositata dall’assicurazione solo unitamente alla comparsa conclusionale in data 13.03.2017, senza riaprire l’istruttoria o provocare il contraddittorio fra le parti.
Il motivo è infondato, in quanto non si è in presenza di una pronuncia assunta a sorpresa, in violazione del contraddittorio, apparendo la riconduzione dell’accordo allo schema del contratto normativo del 2013 frutto di una mera qualificazione giuridica, che non andava previamente segnalata o proposta all’esame delle parti , avendo peraltro costituito il punto nodale del contraddittorio fra le parti. Da una tale omissione, inoltre, non derivava la configurazione di altro vizio processuale diverso dall'”error iuris in iudicando” ovvero dall'”error in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto sussistente (Cass. n. 11440 del 2021; Cass. n. 11308
del 2020; Cass. n. 17473 del 2018; Cass. n. 11453 del 2014; Cass., Sez. Un., n. 20935 del 2009);
– con il secondo motivo sub-A (prima censura) lo RAGIONE_SOCIALE lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione degli artt. 1388, 1399 e 2233 c.c. per essere stato stabilito in sentenza che i crediti ingiunti dovevano essere calcolati sulla base dei criteri di cui alla successa convenzione 2013 seppure tale accordo non risultasse sottoscritto dall’RAGIONE_SOCIALE ma dal solo AVV_NOTAIO. Il Giudice del merito era giunto a siffatta conclusione senza neanche confrontare i testi delle due convenzioni e i sottoscrittori delle medesime.
Aggiunge, altresì, che il pagamento stragiudiziale effettuato nel 2016 costituiva una ricognizione del debito del compenso 2007. il Giudice dell’appello ha fatto riferimento per la prima volta alla clausola contrattuale 7.2 della convenzione 2013.
Con il secondo motivo sub-B (seconda censura) la stessa ricorrente denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento agli artt. 1388, 1399, 2233, 2721, 2722 e 2729 c.c. per non avere tenuto neanche conto del dato testuale della documentazione prodotta dall’RAGIONE_SOCIALE, laddove la convenzione del 2007 risultava sottoscritta dalla ricorrente e quella del 2013 dal solo AVV_NOTAIO. In altri termini, la contemplatio domini è stata desunta dal giudice del merito in assenza della spendita del nome del rappresentato e tenuto conto che si trattava di accordo tariffario, per il quale l’art. 2233, comma 3 c.c. richiede la forma scritta ad substantiam .
La censura, in entrambe le sue articolazioni, è priva di pregio.
Il perfezionamento di un contratto normativo trova riscontro nella principale finalizzazione dell’accordo, volto a fissare le condizioni di futuri incarichi, non essendo escluso dal fatto che le parti avessero
inteso regolare anche le attività precedentemente svolte (fatturate successivamente), sempre nell’ambito di una relazione unitaria.
L’attrazione di tali rapporti pregressi nell’alveo della successiva convenzione tariffaria costituisce un effetto della scelta -rimessa all’autonomia delle parti – di applicare retroattivamente le condizioni economiche, essendo peraltro indubbio che -per la parte che qui interessa -il credito di cui si discute scaturisse da attività professionali successive, espletate nel pieno vigore della convenzione. Tale regolamentazione unitaria, anche se assunta ex post , dava conto proprio dell’omogeneità e della (già in essere) unitarietà dei rapporti, nei termini evidenziati.
Non era in alcun caso esclusa l’applicazione delle norme del contratto d’opera RAGIONE_SOCIALE per gli aspetti e le questioni regolati dall’accordo (quanto, ad es., alla possibilità di stabilire un compenso diverso da quello tariffario: art. 2233, comma primo, c.c.; alla necessità dell’accordo scritto sul corrispettivo: art. 2233, comma terzo, c.c.; alla regolazione del diritto di recesso: art. 2237 c.c.), né può dirsi che il Tribunale abbia fatto ricorso all’analogia in assenza dei relativi presupposti giustificativi.
Fatte tali precisazioni, è invece decisivo evidenziare che -ai fini di cui si discute -non vengono in considerazione né eventuali patologie negoziali della convenzione, né la qualificazione dell’accordo come contratto RAGIONE_SOCIALE o normativo, ma solo il dato fattuale della riconducibilità ed omogeneità dei singoli incarichi nell’ambito di una relazione unitaria svoltasi nel tempo (e peraltro anche giuridicamente sancita proprio con la convenzione di cui si discute). Ciò supera anche la deduzione circa la rilevanza della circostanza che la Convenzione del 20013 sia stata sottoscritta dall’AVV_NOTAIO senza spendita del nome dell’RAGIONE_SOCIALE rappresentata.
Peraltro, nelle decisioni più recenti di questa Corte, al contrario, si è affermato che lo RAGIONE_SOCIALE, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei
fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di RAGIONE_SOCIALE rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall’art. 36 c.c. (Cass. n. 17683 del 2010; conf., Cass. n. 22439 del 2009; Cass. n. 24410 del 2006; e, prima ancora, Cass. n. 4628 del 1997), e poiché l’art. 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello RAGIONE_SOCIALE, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici, rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi (Cass. n. 15694 del 2011; conf. Cass. n. 15417 del 2016; Cass. n. 8768 del 2018 che ha ribadito l’assimilazione della figura in esame alle associazioni non riconosciute; Cass. n. 17718 del 2019; Cass. n. 2332 del 2022).
Inoltre, questa Corte ha ripetutamente affermato che l’esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato, purché il comportamento del rappresentante sia tale, per univocità e concludenza, da portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente. L’accertamento circa la sussistenza o meno della spendita del nome del rappresentato è, poi, compito devoluto al giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori
di diritto (Cass. n. 15235 del 2001; conf. Cass. sez. un. n. 22234 del 2009; Cass. n. 13978 del 2005).
Nei contratti a forma libera, al fine di manifestare il potere rappresentativo non è necessario che il rappresentante usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l’attività negoziale e dalla struttura e dall’oggetto del negozio i terzi possano riconoscerne l’inerenza all’impresa sociale sì da poter presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l’attività è espletata nella qualità di rappresentante di altro soggetto (Cass. n. 23131 del 2010). La contemplatio domini non esige, dunque, l’impiego di formule solenni o l’osservanza di un preciso rituale, e può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto concluso sono destinati a prodursi direttamente (Cass. n. 13978 del 2005; Cass. n. 22333 del 2007). Del resto le associazioni non riconosciute, ancorché sfornite di personalità giuridica che deriva dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 (regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto), sono però dotate di soggettività giuridica in relazione a plurime situazioni giuridiche in ragione di specifiche disposizione di legge (art. 38 c.c. per i rapporti obbligatori; art. 2659 c.c. per i rapporti reali; dotate di soggettività giuridica in relazione a plurime situazioni giuridiche in ragione di specifiche disposizioni di legge (art. 38 c.c. per i rapporti obbligatori; art. 2659 c.c. per i rapporti reali; art. 600 e 786 c.c. per le disposizioni testamentarie e le donazioni). In particolare, per i rapporti obbligatori l’art. 38 c.c. prevede che per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul
fondo comune; delle obbligazioni così assunte dall’associazione non riconosciuta rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. Questa fattispecie di autonomia patrimoniale imperfetta, che si ritrova riprodotta in termini similari ma non identici anche per le società sfornite di personalità giuridica, presuppone che un soggetto abbia agito in nome e per conto dell’associazione vuoi secondo lo schema tipico della rappresentanza (talché potrebbe trattarsi anche di un soggetto estraneo all’associazione ovvero di un soggetto affiliato sì, ma che non ricopra alcuna carica sociale), vuoi secondo lo schema dell’immedesimazione organica ove si tratti di un soggetto che secondo l’ordinamento interno dell’associazione e quindi secondo gli accordi degli associati (art. 36 c.c.) – sia abilitato a manifestare la volontà dell’associazione. Nell’uno e nell’altro caso occorre è richiesto soltanto che questo potere rappresentativo sia regolato dallo statuto dell’associazione;
– con il terzo motivo il ricorrente -in via subordinata – lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 345 c.p.c. con riferimento agli artt. 1341 c.c. e 13 bis legge n. 247 del 2012 per non avere il Giudice di merito preliminarmente verificato la validità anche ai sensi dell’art. 13 bis, c.d. legge sull’equo compenso, della convenzione. Ad avviso dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la nullità della convenzione avrebbe dovuto essere rilevata dal Giudice a quo non trovando applicazione l’art. 345, comma 1 per le eccezioni rilevabili di ufficio. Si insiste nella nullità della clausola 7.2 della convenzione, anche in combinato disposto con la clausola 2.2 in quanto violerebbe in radice lo stesso sinallagma contrattuale quanto ai profili di applicabilità della stessa ratione temporis.
Anche la terza censura non può trovare ingresso.
L’invocato art. 13-bis della legge n. 247 del 2012 è stato introdotto dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito con modificazioni dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172, quindi dopo la stipulazione della convenzione di cui trattasi – che entrambe le parti hanno indicato esser avvenuta nel 2013.
La norma specificamente prevede (per quanto interessa), da un lato, che le convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività esclusive di AVV_NOTAIO (art. 2, quinto e sesto comma, stessa legge) in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361-CE della Commissione, del 6 maggio 2003, si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese suddette (salva prova contraria); e dall’altro che, ai fini della stessa norma, si considerano vessatorie le clausole contenute nelle ripetute convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’AVV_NOTAIO.
Anche a volere assumere la forza retroattiva in virtù dell’avvenuta eliminazione, nella versione originaria della norma stessa, della clausola di decadenza in ordine alla proposizione dell’azione di nullità entro il termine di ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni (art. 1, comma 487, della I. n. 205 del 2017), l’assunto è del tutto infondato, poiché la stessa versione originaria, in quanto successiva alla convenzione di cui è causa, non poteva applicarsi retroattivamente. Né la norma introdotta dal d.l. n. 148 del 2017 ha valenza interpretativa, per farne discendere l’effetto dell’ applicabilità retroattiva in mancanza dell’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica e dei presupposti di incertezza applicativa di norme anteriori, che ne avrebbero giustificato l’adozione (v. in termini, Cass. n. 7904 del 2020);
-con il quarto motivo il ricorrente nel lamentare la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione degli artt. 88, 91 e 92 c.p.c., evidenzia che il Giudice del gravame nel confermare l ‘ integrale compensazione delle spese avrebbe disapplicato il principio di causalità della casa e il principio della prevalenza degli oneri, per avere comunque la RAGIONE_SOCIALE pagato nel corso del giudizio.
La doglianza è infondata.
Occorre premettere che nella specie trova applicazione, ratione temporis, l’art. 92 , comma 2 c.p.c. come sostituito dall’art.13 d.l. 12 settembre 2014 n. 132 conv. con mod. dalla legge 10 novembre 2014 n.162. In forza di tale disposizione il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, solo se vi è soccombenza reciproca o nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o ‘qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’, a seguito della sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale. La disposizione costituisce norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla a speciali situazioni, non esattamente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa dal giudice di merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. n. 7992 del 2022); le gravi ed eccezionali ragioni non possono essere illogiche ed erronee, altrimenti si configura il vizio di violazione di legge (Cass. n. 9977 del 2019) e, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa, il sindacato della Cassazione non può giungere fino a misurare ‘gravità ed eccezionalità’ delle ragioni (Cass. n. 15495 del 2022). Nella motivazione della sentenza n.77/2018 della Corte Costituzionale si rileva che la compensazione delle spese di lite deve dirsi ragionevolmente disposta ove ricorra soccombenza reciproca e in caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o in ipotesi di sopravvenienze relative al quadro di riferimento della controversia, che presentino la stessa gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 co.2 cod. proc. civ.; quindi, anche l’oggettiva opinabilità delle questioni affrontate o l’oscillante soluzione a esse data in giurisprudenza integra la nozione (Cass. 7992/2022 cit.).
Nella fattispecie, essendo indubbio che la soccombenza in giudizio non osta alla possibilità di compensare le spese processuali, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, agganciata ai presupposti dell’art. 92 c.p.c., la censura si limita ad una generica contestazione, esclusivamente volta a sostenere che le spese andavano poste a carico della RAGIONE_SOCIALE in ragione della circostanza che la debitrice aveva corrisposto quanto dovuto solo nel corso del giudizio. La compensazione appare, per contro, adottata alla luce delle particolarità del caso concreto, da cui sono stati ravvisati i giusti motivi, almeno nel giudizio di prime cure, per cui la motivazione appare corretta. Quanto alla compensazione delle spese del grado di appello, la compensazione è stata legittimamente argomentata con la modifica della motivazione, neanche censurata in questa sede.
In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda