Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4292 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4292 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28005/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di VENEZIA n. 1906/2020 depositata il 23/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 1956/2010, la Corte d ‘ Appello di Venezia, riformando la sentenza di primo grado, accolse la domanda di riscatto agrario proposta da COGNOME NOME contro COGNOME NOME e COGNOME NOME; per l ‘ effetto, dichiarò il COGNOME sostituito ex lege al COGNOME nella posizione di acquirente di alcuni beni immobili; il tutto dietro corresponsione a favore del COGNOME del prezzo già da costui versato, pari a complessivi euro 38.734,27, da eseguirsi al passaggio in giudicato della sentenza.
Detta sentenza, integralmente confermata da questa Corte, passò in giudicato il 13/03/2015.
Dovendo provvedere al versamento del prezzo del riscatto entro il successivo 13 giugno, pena la decadenza dal diritto, il COGNOME invitò inutilmente il AVV_NOTAIO a recarsi da un AVV_NOTAIO, per ricevere la somma e rilasciare relativa quietanza. Indi promosse il procedimento di offerta reale del prezzo con il AVV_NOTAIO del AVV_NOTAIO di Padova, conclusosi con il deposito della somma presso un istituto di credito bancario.
Il COGNOME ricorse poi al Tribunale di Padova per l ‘ accertamento della validità dell ‘ offerta reale e del successivo deposito del prezzo del riscatto di cui alla sentenza n. 1956/2010 della Corte d ‘ Appello di Venezia.
Il giudizio, svoltosi nella contumacia del COGNOME, si concluse l ‘ accoglimento delle domande del COGNOME.
Il AVV_NOTAIO propose appello avverso la suddetta ordinanza, lamentando che la mancata partecipazione al giudizio era dipesa da un ‘ disguido nella ricezione dell ‘ atto ‘ .
Il COGNOME si costituì chiedendo il rigetto dell ‘ appello e opponendosi all ‘ ammissione delle prove documentali, orali e alla CTU ex adverso formulate.
Con sentenza n. 2826/2018 la Corte d ‘ Appello di Venezia rigettò l ‘ appello.
Successivamente all ‘ udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, ma prima della pubblicazione della sentenza, il COGNOME promosse pignoramento della somma depositata a titolo di offerta reale, a fronte di altri crediti che vantava nei confronti del COGNOME, e all’esito -ne ottenne l’assegnazione.
NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, proposero opposizione all’esecuzione avverso il pignoramento e opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione (procedimenti tuttora pendenti).
Il COGNOME, invece, agì in revocazione avverso la sentenza n. 2826/2018 della Corte d ‘ Appello di Venezia, chiedendo: (i) in via rescindente, di accertarsi e dichiararsi la revocazione, ai sensi dell ‘ art. 395, 1° co., n. 3, c.p.c. e/o ai sensi dell ‘ art. 395, 1° co., n. 4, c.p.c., della predetta sentenza; (ii) in via rescissoria, in totale riforma dell ‘ ordinanza 10/2/2016 resa ex art. 702 ter c.p.c. nella causa n. 6790/2015 dinnanzi al Tribunale di Padova, di respingere le domande proposte dal COGNOME e, in particolare la domanda di accertamento di validità dell ‘ offerta reale, con conseguente accertamento della mancata liberazione del COGNOME dall ‘ obbligazione di pagamento di cui alla sentenza della Corte d ‘ appello di Venezia n. 1956/2010.
Con sentenza n. 1906/2020, depositata in data 23/07/2020, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di Venezia ha rigettato la revocazione, condannando il AVV_NOTAIO alla rifusione delle spese del grado.
La Corte ha respinto entrambi i motivi -con cui il COGNOME aveva evidenziato che il deposito era venuto meno prima della pubblicazione dela sentenza di appello- rilevando che «è dirimente la circostanza che il venir meno del deposito non è un fatto decisivo per la revocazione della sentenza d’appello in quanto ciò è avvenuto per fatto imputabile solo al AVV_NOTAIO».
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui NOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
Parte controricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., nn. 3 e 4, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 395 c.p.c. -nonché dell ‘ art. 112 c.p.c. – con riferimento all ‘ oggetto del vizio revocatorio di cui ai nn. 3-4 dell ‘ art. 395 c.p.c. stesso, da ricondurre ad un fatto obiettivo, ed al conseguente contenuto del procedimento decisorio sulla relativa domanda ‘ , lamentando che la Corte territoriale, pur recependo i documenti formatisi prima della sentenza impugnata per revocazione, e pur dando atto che tali documenti conducono ad una realtà diversa da quella ritenuta dalla sentenza gravata, concretandosi così i vizi di cui al n. 3 e al n. 4 dell ‘ art. 395 c.p.c., ha respinto la domanda di revocazione sul presupposto di un argomento di diritto inconferente nella fase rescindente del giudizio e, comunque, del tutto errato e privo di fondamento.
A detta del ricorrente, il vizio denunciato con il motivo in esame integra non solo una violazione dell ‘ art. 395 c.p.c., ma anche una violazione dell ‘ art. 112 c.p.c., poiché nel caso di specie sussisterebbe un chiaro ‘ vizio del ragionamento logico decisorio ‘ , che conduce ad una sostanziale non corrispondenza tra quanto il ricorrente ha chiesto con la domanda di revocazione e quanto il giudice ha pronunciato con la propria sentenza (così a p. 15 del ricorso).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto tra le parti, consistente nel venire meno del
deposito’ , lamentando che la Corte territoriale, investita della domanda di revocazione e accertato il venir meno del deposito prima della sentenza revocanda, avrebbe dovuto affrontare il fatto del venir meno del deposito e calare lo stesso nell’ambito della controversia per la convalida del deposito, ciò che non ha fatto.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 2740 c.c. nell’attribuzione al creditore della responsabilità per le conseguenze dell’esecuzione forzata conseguente all’inadempimento del debitore; violazione e falsa applicazione degli artt. 12101213 c.c.’, lamentando che la Corte territoriale ha violato l’art. 2740 c.c., secondo il quale il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri. In particolare – deduce il ricorrente – la Corte territoriale, finendo per ritenere che il venir meno del deposito si ritorca non nei confronti del depositante, ma del soggetto a cui era destinata la somma depositata, integra una violazione degli artt. 1210 e 1213 c.c.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione, dell’art. 395, co. 1 n. 3 c.p.c. con riferimento alle valutazioni espresse circa i documenti funzionali ad integrare i vizi revocatori ‘, lamentando che la sentenza impugnata avrebbe errato laddove ha ritenuto che i documenti prodotti dal ricorrente non rientrassero nel novero dei documenti idonei a fondare il vizio revocatorio ex art. 395, n. 3, c.p.c. Al riguardo il ricorrente es pone che l’errore in questione consiste nell’aver ritenuto esistente un deposito che di contro non esisteva più, come si desume dai documenti che dovevano entrare nel processo, e che la Corte ha ritenuto di non considerare.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 395, co. 1 n. 3 c.p.c. con riferimento alla fonte dell’errore di fatto revocatorio’ , lamentando che la Corte territoriale avrebbe errato
nel ritenere che i documenti prodotti non sarebbero stati idonei a fondare il vizio revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., poiché il venir meno del deposito non risultava dagli atti e documenti prodotti nel giudizio di appello. Il ricorrente sostie ne che l’errore revocatorio si presenta ogni qual volta la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, e che tale è la fattispecie in questione, nella quale i documenti attestano in modo inequivoco la insussistenza del deposito, ossia la contrarietà al vero del presupposto di fatto posto a base della sentenza gravata.
Esaminati congiuntamente i cinque motivi, il ricorso va disatteso, in quanto le censure non sono idonee ad intaccare la ratio fondante della decisione, basata sul rilievo che «il deposito non era venuto meno per fatto del debitore, bensì del creditore», con la conseguenza il venir meno del deposito non costituiva fatto decisivo ai fini della revocazione.
Al riguardo va considerato che:
il giudizio di convalida dell’offerta reale e del successivo deposito è diretto ad accertare la ritualità dell’offerta e la rispondenza della somma depositata a quella dovuta e comporta l’effetto che, una volta passata in giudicato la relativa sentenza, il debitore non può più ritirarlo ed è liberato dalla sua obbligazione (art. 1210 c.c.);
l’oggetto di tale giudizio è pertanto «la verifica della ritualità di tutte le modalità, formali e temporali, prescritte dalla relativa disciplina normativa, affinché il debitore si liberi della sua obbligazione» (Cass. n. 21757/2021);
da ciò consegue che, mentre il ritiro della somma da parte del debitore comporterebbe l’impossibilità di convalidare il deposito, risulta invece del tutto irrilevante ai fini della convalida e nell’ottica di tale giudizio- la circostanza che la somma depositata sia stata aggredita in via esecutiva dal creditore; l’esecuzione non incide, infatti, sulla ritualità del deposito e sulla sua idoneità a determinare
la liberazione del debitore dall’obbligazione per la quale è stato effettuato e tale effetto non può essere posto nel nulla dal creditore mediante un’iniziativa esecutiva diretta a soddisfare altri crediti.
Tanto rilevato, appaiono prive di pregio le censure volte a contestare la mancata considerazione della non persistenza del deposito e l’omessa valutazione dei documenti -successivi alla rimessione in decisione della causa di convalida- attestanti il venir meno di tale deposito, tenuto conto che la sentenza qui impugnata ha ritenuto comunque «dirimente» la circostanza che il venir meno del deposito non è un fatto decisivo in quanto imputabile unicamente al COGNOME.
Atteso che le doglianze svolte in sede di revocazione hanno trovato risposta (nei termini sopra indicati) da parte della Corte di Appello, risulta infondata la censura ex art. 112 c.p.c. (di cui al primo motivo).
Parimenti infondata è la censura di omesso esame di fatto decisivo, dato che la Corte ha considerato la circostanza del venir meno del deposito (per fatto del creditore) e l’ha ritenuta priva di rilevanza agli effetti del giudizio di convalida.
Inconferente è la censura deducente la violazione dell’art. 2740 c.c. in quanto l’aver ritenuto irrilevante, ai fini della sua convalida, il fatto che il deposito sia stato sottoposto ad esecuzione (per altri debiti del COGNOME) dal medesimo creditore in favore del quale era stato effettuato non comporta violazione della responsabilità generale gravante sul patrimonio del debitore.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023.