Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26921 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26921 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7090/2023 R.G. proposto da:
ACCETTA NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso l’avvocato COGNOME (EMAIL), che li rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrenti
–
contro
COGNOME NOME, in proprio e in qualità di procuratore di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso l’AVV_NOTAIO (EMAIL) e l’AVV_NOTAIO (EMAIL), che lo rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al controricorso.
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 87/2023 depositata il 02/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
COGNOME NOME, in proprio ed in qualità di procuratore di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, con atto di precetto notificato intimava a COGNOME NOME ed a COGNOME NOME il rilascio del fondo detenuto in affitto dal de cuius COGNOME NOME sul presupposto che – con sentenza della Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Vibo Valentia n. 280/2010, pubblicata il 12.05.2010, resa nella causa N.R.G. 3560/2007 promossa da esso COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, contro COGNOME NOME – era stato dichiarato che il contratto di affitto intercorrente tra le parti era scaduto al termine dell’annata agraria 2020, ed era stato ordinato per tale data il rilascio.
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME proponevano opposizione al precetto, deducendo che il loro dante causa COGNOME NOME, aveva eseguito dei miglioramenti sul fondo oggetto di rilascio, per cui chiedevano che i concedenti fossero condannati al pagamento della relativa indennità e dichiaravano di esercitare il diritto di ritenzione fino all’avvenuta liquidazione della stessa.
Si costituiva, resistendo all’opposizione a precetto, NOME COGNOME, in proprio e in qualità di procuratore di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
1.1. Il Tribunale di Vibo Valentia, Sezione Specializzata Agraria, sollevava d’ufficio la questione dell’improponibilità della domanda per irrituale esperimento del tentativo di conciliazione, stante la mancanza di identità soggettiva tra le parti del giudizio e quelle risultanti dal verbale conciliativo, e con sentenza n. 306/2022, del 20 aprile 2022, dichiarava improponibile la domanda proposta dagli opponenti al precetto, condannandoli al pagamento delle spese di lite.
Avverso questa sentenza proponevano appello COGNOME NOME, COGNOME
NOME e COGNOME NOME; si costituiva resistendo al gravame lo COGNOME, in proprio ed in qualità di procuratore di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
2.1. Con sentenza n. 87/2023 del 2 febbraio 2023 la Corte d’Appello di Catanzaro, Sezione Specializzata Agraria, rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste COGNOME NOME, in proprio ed in qualità di procuratore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con controricorso anche contenente ricorso incidentale, affidato a tre motivi, espressamente qualificandolo come condizionato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 46 della legge n. 203/82, art. 615, 623, 624, art. 342 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché violazione delle norme costituzionali artt. 3 e 24’.
Deducono che è pur vero che ai sensi dell’art. 46 della L. n. 203/82, chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ad una controversia agraria è tenuto ad espletare il tentativo di conciliazione, ma, nel caso di specie, risulta essere stata formulata la richiesta della sospensione provvisoria dell’esecuzione di rilascio del fondo, che in quanto tale non configura una ‘domanda’ di riconoscimento di un diritto relativo ad un contratto agrario, bensì una istanza di adozione di una misura cautelare affinché non venga frustrato e vanificato il diritto che si intende valere.
Si dolgono quindi del fatto che la corte territoriale non ha considerato che la richiesta di provvedimenti cautelari non deve essere necessariamente preceduta dall’espletamento del tentativo di conciliazione, per cui ha erroneamente considerato improcedibi le l’opposizione all’esecuzione ex art.
615 cod. proc. civ. da loro proposta.
Lamentano inoltre che, incorrendo in palese violazione di legge, i giudici di merito hanno ritenuto improcedibile non solo l’opposizione all’esecuzione, ma anche l’istanza di sospensione dell’esecuzione, sul rilievo che funzionalmente competente sulla stes sa sarebbe il giudice dell’esecuzione, senza considerare l’effetto devolutivo dell’appello nell’ambito dei motivi proposti e senza considerare che l’istanza di opposizione all’esecuzione doveva essere accolta alla luce del diritto di ritenzione di cui essi ricorrenti, in allora appellanti, avevano la titolarità.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, 20 della legge n. 203/1982, art, 615 e 623 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.’.
Invocano l’art. 17, co.4 della L. n.203/82, secondo cui ‘All’affittuario compete la ritenzione del fondo fino a quando non gli sia stata versata dal locatore l’indennità fissata dall’Ispettorato oppure determinata con sentenza definitiva dall’autorità giudiziaria’; nonché l’art. 20, che prevede: ‘Se nel giudizio di cognizione o nel processo di esecuzione è fornita prova della sussistenza in generale delle opere di cui al primo comma dell’art. 16, all’affittuario compete la ritenzione del fondo fino a quando non sia stato soddisfatto il suo credito …’; rilevano, sulla base di tali disposizioni, che la tutela processuale di cui all’art. 615 e segg. cod. proc. civ. può essere esercitata sia nel processo di cognizione che in quello di esecuzione, avviato per il rilascio del fondo occupato dall’affittuario, dato che tale tutela mira a rafforzare e garantire all’affittuario il pagamento dell’indennizzo e conferisce carattere reale, e non soltanto personale, al diritto dell’affittuario mediante il godimento del fondo.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione dell’art. 20 e 46 L. n.203/82 in relazione all’art. 360, co.1, n. 3; contrasto con il giudicato del precedente giudizio, omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti’.
Deducono che, rispetto alla opposizione a precetto, non era necessario il previo esperimento del tentativo di conciliazione, dato che il giudizio costituiva
una prosecuzione del precedente giudizio agrario, definito dalla sentenza n. 280/2010 del Tribunale di Vibo Valentia.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione art. 48 L. N. 203/82 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.’.
Deducono che la corte di merito ha errato nel non ritenere valido ed efficace, perlomeno, il tentativo di conciliazione esperito da o nei confronti di un solo o di alcuni componenti della famiglia coltivatrice. La corte avrebbe trascurato che, ai fini proc essuali, alla ‘famiglia coltivatrice’ si può applicare la regola della rappresentanza disgiuntiva di ciascuno dei componenti prevista dall’art. 48 della legge n. 203 del 1982, tant’è che, salvo patto contrario, tutti i familiari rispondono personalmente e solidalmente per i rapporti ed obbligazioni assunte nello svolgimento del rapporto agrario.
Richiamano la giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass., 18/02/2000, n. 1872), secondo cui è valido il tentativo di conciliazione proposto da un componente della famiglia, anche in mancanza della espressa spendita del nome degli altri partecipanti, perché il rapporto agrario è unico, di cui è titolare il gruppo famigliare, e ogni componente della famiglia agisce nell’interesse di tutti.
Citano inoltre l’ulteriore principio per cui è procedibile la controversia preceduta dal tentativo di conciliazione effettuato nei confronti di un solo componente della famiglia coltivatrice, perché, come per la società semplice, in mancanza di nomina di un rappresentante, ciascun partecipante ne ha l’amministrazione disgiuntiva (vengono richiamate Cass., 14/042000, n. 4859 e Cass., 23/03/1998, n. 3068).
In disparte il non marginale rilievo per cui è carente l’esposizione dei fatti essenziali all’illustrazione dei motivi di ricorso, con conseguente violazione dell’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., il primo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la controversia relativa all’indennità per i miglioramenti apportati ad un fondo agricolo, oggetto di contratto di affitto di azienda agricola, rientra nella competenza esclusiva delle sezioni specializzate agrarie, essendo attribuite a detto giudice tutte le controversie in materia di contratti agrari, sia sotto il profilo della genesi del
rapporto che del suo funzionamento o della sua cessazione, anche ove la decisione venga assunta sulla base delle norme generali del codice civile (Cass., n. 9781 del 25/03/2022).
Infatti, i primi due commi dell’art. 11 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in piena continuità con quanto già previsto dall’abrogato art. 9, comma 1, della legge 14 febbraio 1990, n. 29, confermano l’attribuzione in modo generalizzato di tutte le controversie in materia di contratti agrari alla competenza delle sezioni specializzate agrarie: ne resta in tal modo confermato l’orientamento giurisprudenziale (tra le altre, Cass., 12/11/2010, n. 22944) che riconosce, in linea generale, che la competenza funzionale inderogabile di tali sezioni specializzate agrarie si estende a tutte le controversie che implicano l’accertamento, positivo o negativo, di rapporti soggetti alle norme vigenti in materia di contratti agrari e, in particolare, a quelle che richiedono l’accertamento delle caratteristiche e della natura del rapporto, essendo il giudice specializzato chiamato a conoscere anche delle vicende che richiedano l’astratta individuazione delle caratteristiche del rapporto in contestazione, a nulla rilevando che il giudizio si risolva in una negazione della natura agraria della instaurata controversia (Cass., 11/07/2014, n. 15881; Cass., 30/01/2012, n. 1304).
Alla stregua della nozione onnicomprensiva di controversia ‘in materia di contratti agrari’ del richiamato art. 11, anche la competenza a decidere l’opposizione a precetto per il rilascio di un fondo rustico spetta alla sezione specializzata agraria se, in relazione ai motivi, è qualificabile ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ.; la cognizione, invece, spetta al giudice dell’esecuzione se investe il quomodo dell’azione esecutiva ed è quindi qualificabile come opposizione agli atti esecutivi, materia questa estranea a quella agraria (Cass., 11/10/1995, n. 10602; Cass., 15/07/2003, n. 11080).
Correttamente, quindi, nel caso di specie è stata adita la sezione specializzata agraria della corte d’appello catanzarese, giusta la sua competenza a decidere l’opposizione a precetto per il rilascio di un fondo rustico con la quale si è fatto valere il d iritto di ritenzione ai sensi dell’art. 20, c. 2, l. n. 203/82, ricollegato all’indennità per i miglioramenti di cui all’art. 16
della medesima legge (Cass., 16/07/1999, n. 7518).
Si è inoltre rilevato, alla luce dell’art. 11 d.lgs. n. 150/2011, che riproduce la formulazione letterale del precedente art. 46, comma 1, l. n. 203/82, che in tema di controversie agrarie, l’opposizione al precetto intimato per il rilascio di fondo rustic o dev’essere preceduta dall’esperimento del tentativo di conciliazione (Cass., 25 luglio 2023, n. 22330; Cass., 11/112022, n. 33379), e si è peraltro precisato (v. Cass., 25/07/2023, n. 22330) che detto tentativo di conciliazione -la cui legittimità è stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 73 del 14 gennaio 1988, a seguito della collocazione della disciplina originariamente contenuta nell’art. 46 della legge n. 203/1982 all’interno dell’art. 11 d.lgs. n. 150/2011 – opera, con specifico riguardo all’opposizione all’esecuzione, e data la sua struttura necessariamente bifasica, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, a partire da Cass., sez. 3, 11/10/2018, n. 25170, limitatamente alla sola fase di merito e, dunque, non per la fase sommaria del procedimento di opposizione al rilascio che si svolge davanti al giudice dell’esecuzione, riservata alla sua competenza funzionale, ma per quella successivamente instaurata davanti al giudice competente per il merito, che introduce un processo di cognizione vero e proprio, come tale caratterizzato dall’applicazione delle ordinarie regole di competenza.
T anto conferma che è soggetta all’onere conciliativo anche l’opposizione a precetto (Cass., 21/04/2005, n. 8370; Cass., 10/07/2014, n. 15761, in motivazione), la quale, a differenza dell’opposizione prevista dal comma secondo del medesimo art. 615 cod. proc. civ., non è articolata sulla vista duplicità di fasi.
5.1. Nel caso di specie, in cui il giudice di merito è stato investito della domanda di accertamento di miglioramenti fondiari e di condanna al pagamento della relative indennità introdotta con l’opposizione a precetto (di consegna o rilascio), correttamente la sezione specializzata agraria della corte catanzarese ha pronunciato secondo i suindicati orientamenti di legittimità ed ha rigettato il motivo di gravame con cui gli appellanti lamentavano che il Tribunale avesse ritenuto che l’esame dell’istanza pr eliminare di sospensione
dell’esecuzione fosse precl uso dal mancato esperimento del tentativo di conciliazione, da un lato ritenendo il motivo inammissibile nella misura in cui intendeva riproporre l’istanza di sospensione dell’esecuzione sulla quale è funzionalmente competente il giudice dell’esecuzione ex ar t. 624 cod. proc. civ., dall’altro ritenendolo infondato nella misura in cui l’istanza risultava proposta nel contesto dell’opposizione a precetto avente ad oggetto il diritto di ritenzione ma tuttavia non preceduta dal regolare esperimento del tentativo di conciliazione sulla domanda relativa ai miglioramenti.
Il motivo, là dove confusamente afferma l’esclusione della procedibilità della fase di sospensione, è dunque privo di fondamento.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il motivo di impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto di impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, poiché per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto di impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere (Cass., 22/04/2020, n. 8036; il principio era già stato affermato da Cass., n. 359 del 2005 e ribadito da Cass., Sez. Un., n. 16598 e n. 22226 del 2016).
Il motivo svolge soltanto generiche deduzioni in relazione alle due norme di legge invocate, ma non indica la motivazione dell’impugnata sentenza a cui si dovrebbe riferire e che intenderebbe censurare.
Né, invero, il motivo avrebbe potuto indicarla, dato che l’impugnata sentenza ha confermato la ritenuta improponibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, statuizione questa che ha precluso l’esame della ragione di opposizione su cui ora si argomenta nel motivo.
7. Il terzo motivo è inammissibile.
Lo è, in primo luogo, perché, in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., omette di trascrivere il contenuto della sentenza n. 280/2010 nella parte che qui interessa e non indica dove sono stati prodotti l’istanza di tentativo di conciliazione sui pretesi miglioramenti ed il relativo verbale.
In secondo luogo, perché non è correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza.
Il tribunale in primo grado aveva affermato che in quel giudizio era parte, in veste di affittuario, COGNOME NOME e non gli odierni ricorrenti e che inoltre, sul piano oggettivo, l’oggetto della sentenza n. 280/2010 non coincideva con quello del presente procedimento, per come è dato evincere dal contenuto della decisione, in cui si fa riferimento alla cessazione del contratto di affitto e al rilascio del fondo, mentre la domanda di liquidazione delle indennità per i miglioramenti del fondo risulta essere stata rigettata per difetto dei presupposti, poiché al momento della sua proposizione il rapporto era cessato.
Tale motivazione è stata richiamata e confermata dalla corte di merito, che ha anche aggiunto che in quel giudizio i miglioramenti dei quali si chiedeva l’indennizzo non comprendevano l’impianto di 60 alberi da frutta, indicato, invece, nel presente giudizio.
Ebbene, nessuna critica specifica viene svolta a tale motivazione, e, dunque, il motivo, ignorando la motivazione della sentenza, è inidoneo allo scopo, atteso che il motivo di impugnazione deve correlarsi alla motivazione della decisione impugnata.
8. Il quarto motivo è inammissibile.
Non coglie le rationes decidendi della impugnata sentenza che, nel confermare la sentenza del tribunale, attribuisce rilievo, per un verso, al fatto che la famiglia coltivatrice può essere rappresentata da uno dei suoi membri a condizione che ne faccia richiesta il concedente; per altro verso al fatto che ‘di tale eventuale rappresentanza non è stata fornita la prova in giudizio’.
Anche in questo caso il motivo non risulta correlato alla motivazione resa dalla sentenza impugnata.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il resistente denuncia
‘Violazione o falsa applicazione art. 329 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.’.
Si duole, in sintesi, del rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello sul rilievo della acquiescenza alla sentenza di primo grado a motivo dell’avvio di nuovo tentativo di conciliazione.
Sostiene che tale eccezione, per quanto veicolata come motivo di impugnazione incidentale condizionata, richiede un esame prioritario rispetto allo scrutinio del ricorso principale.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale il resistente denuncia ‘Violazione art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. -nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della produ zione documentale in appello’.
Censura la sentenza della corte di merito sotto il profilo della omessa pronuncia sulla relativa eccezione di inammissibilità della produzione documentale in appello.
Deduce che i documenti, inammissibilmente prodotti in appello, in quanto nuovi, sono stati tuttavia valutati dal giudice a quo , sia pure per confutarne la rilevanza, per cui la sentenza sarebbe nulla per error in procedendo .
11 . Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia ‘Violazione art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della produzione documen tale in appello’.
Per l’ipotesi in cui non fosse accolto il precedente motivo di critica alla impugnata sentenza nella parte in cui dimostrava di aver apprezzato il documento tardivamente prodotto e qualora si assegnasse il valore di mero obiter dictum alla relativa motivazione (v. p. 6 dell’impugnata sentenza: ‘Va poi aggiunto che, diversamente da quanto vorrebbero sostenere gli appellanti, il tentativo di conciliazione esperito da COGNOME NOME non può venire in rilievo ai fini della procedibilità anche di questo giudizio, non foss’altro perché, nell’istanza allora avanzata , i miglioramenti di cui si chiedeva l’indennizzo non comprendevano l’impianto di 60 alberi da frutta, indicato, invece, nel presente giudizio’), il ricorrente deduce che la sent enza
sarebbe comunque nulla per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della produzione di documenti in appello, eccezione peraltro rilevabile d’ufficio.
L’esito negativo del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato, il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza, che è riferibile a parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile