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Controllo investigativo dipendente: i limiti del datore

La Corte di Cassazione conferma l’illegittimità di un licenziamento basato sulle prove raccolte tramite un’agenzia investigativa. Il caso riguarda un controllo investigativo dipendente focalizzato sul rispetto dell’orario di lavoro, considerato una violazione dello Statuto dei Lavoratori. La Corte ha stabilito che tali controlli non possono avere ad oggetto la verifica della prestazione lavorativa, ma solo la prevenzione di illeciti. Le prove raccolte sono state dichiarate inutilizzabili, rendendo il licenziamento nullo e disponendo la reintegrazione del lavoratore.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Controllo Investigativo Dipendente: la Cassazione Fissa i Paletti

Il tema del controllo investigativo dipendente è da sempre al centro di un delicato equilibrio tra il diritto del datore di lavoro a tutelare il proprio patrimonio aziendale e il diritto del lavoratore alla riservatezza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7685 del 2024, torna sulla questione, offrendo chiarimenti cruciali sui limiti invalicabili dei controlli a distanza. La sentenza conferma che le indagini private non possono mai trasformarsi in uno strumento per monitorare l’esecuzione della prestazione lavorativa, pena l’inutilizzabilità delle prove raccolte e l’illegittimità del licenziamento.

I Fatti del Caso: Il Licenziamento Basato su Indagini Private

La vicenda ha origine dal licenziamento per giusta causa intimato da un istituto bancario a un proprio dipendente. L’azienda contestava al lavoratore di aver svolto attività estranee a quelle lavorative durante l’orario di servizio e di aver falsamente attestato la propria presenza. Tali accuse si basavano interamente sulle risultanze di un’attività investigativa affidata a un’agenzia esterna.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, dando il via a un complesso iter giudiziario. Inizialmente, i giudici di merito avevano dato ragione alla banca, ma la Corte di Cassazione, con una prima pronuncia, aveva cassato la decisione, rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

La Decisione della Corte d’Appello e il Nuovo Ricorso

In sede di rinvio, la Corte d’Appello, uniformandosi ai principi stabiliti dalla Cassazione, ha dichiarato illegittimo il licenziamento. I giudici hanno ritenuto che l’attività investigativa fosse stata disposta per verificare il rispetto dell’orario di lavoro e l’esecuzione della prestazione, configurando così un controllo a distanza vietato dallo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970). Di conseguenza, le prove raccolte erano inutilizzabili e il fatto contestato insussistente. La Corte ha quindi ordinato la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro.

Contro questa nuova sentenza, la banca ha proposto un ulteriore ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse interpretato erroneamente i principi di diritto e travisato i fatti, in quanto l’indagine mirava a scoprire un illecito (la falsa attestazione della presenza) e non a monitorare la prestazione lavorativa.

I Limiti al Controllo Investigativo Dipendente secondo la Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha rigettato definitivamente il ricorso della banca. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale: i controlli da parte di personale esterno, come le agenzie investigative, sono legittimi solo se finalizzati a verificare comportamenti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale. In altre parole, è possibile indagare su un dipendente per sospetti di furto, concorrenza sleale o altri reati, ma non per controllare se sta lavorando, per quanto tempo o con quale diligenza.

Il controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa, infatti, è riservato direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori gerarchici e deve avvenire nel rispetto delle garanzie previste dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori. Affidare a un’agenzia esterna il compito di monitorare il rispetto dell’orario di lavoro significa eludere queste garanzie, trasformando l’investigatore in un controllore occulto della normale attività lavorativa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha chiarito che l’oggetto della contestazione disciplinare, come emergeva dagli atti, era duplice: lo svolgimento di attività extra-lavorative durante l’orario di servizio e la falsa attestazione della presenza. Entrambi gli aspetti sono intrinsecamente legati all’adempimento della prestazione lavorativa. L’incarico conferito all’agenzia investigativa era esplicitamente finalizzato alla “verifica del rispetto dell’orario di lavoro”.

Questa finalità ha reso l’attività di indagine illegittima, poiché si è tradotta in un controllo diretto sulla prestazione lavorativa, vietato dalla legge. La conseguenza diretta dell’illegittimità del controllo è stata l’inutilizzabilità, ai fini disciplinari, dei suoi risultati. Senza queste prove, le accuse mosse al dipendente sono rimaste prive di fondamento, determinando l’insussistenza del fatto contestato e, di conseguenza, l’illegittimità del licenziamento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Datori di Lavoro e Lavoratori

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza. Per i datori di lavoro, emerge la necessità di definire con estrema precisione l’oggetto di un eventuale incarico investigativo. Le indagini sono ammissibili solo per accertare condotte illecite che esulano dal semplice inadempimento contrattuale. Qualsiasi controllo che sconfini nella vigilanza sulla modalità di esecuzione del lavoro è illegittimo.

Per i lavoratori, la sentenza rappresenta una forte tutela contro forme di controllo a distanza invasive e non conformi alla legge. Viene riaffermato che la sorveglianza sulla prestazione lavorativa deve seguire i canali e le garanzie previste dallo Statuto dei Lavoratori, proteggendo il dipendente da monitoraggi occulti e indiscriminati.

Un datore di lavoro può usare investigatori privati per controllare se un dipendente rispetta l’orario di lavoro?
No. La Corte ha stabilito che un controllo investigativo esterno non può avere ad oggetto il mero adempimento dell’obbligazione lavorativa, come il rispetto dell’orario, poiché ciò costituisce una violazione degli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Qual è la conseguenza se le prove a carico del dipendente sono state raccolte in modo illegittimo?
Le prove raccolte tramite un controllo illegittimo sono inutilizzabili ai fini disciplinari. Di conseguenza, il fatto contestato al lavoratore viene considerato insussistente, portando all’illegittimità del licenziamento.

Quando è considerato legittimo un controllo investigativo su un dipendente?
Il controllo è legittimo solo se si limita ad accertare atti illeciti del dipendente che non siano riconducibili al mero inadempimento della prestazione lavorativa. Deve quindi riguardare comportamenti che vanno oltre la semplice esecuzione del contratto di lavoro, come ad esempio furti o atti di concorrenza sleale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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