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Controllo email dipendenti: quando è illecito?

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso di una società che aveva utilizzato le email personali di ex dipendenti come prova in una causa per concorrenza sleale. La Suprema Corte ha stabilito che l’accesso a caselle di posta elettronica personali, anche se configurate su server aziendali e protette da password, costituisce una violazione della privacy e un illegittimo controllo email dipendenti. Di conseguenza, le prove così ottenute sono state ritenute inutilizzabili nel processo, in quanto il controllo datoriale deve rispettare i principi di finalità, proporzionalità e previa informazione, non potendo tradursi in un monitoraggio massivo e indiscriminato.

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Controllo Email Dipendenti: I Limiti del Potere del Datore di Lavoro secondo la Cassazione

Il confine tra la tutela del patrimonio aziendale e il rispetto della privacy dei lavoratori è sempre più sottile nell’era digitale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: fino a che punto un datore di lavoro può spingersi nel controllo email dipendenti per provare un illecito? La risposta della Suprema Corte riafferma la preminenza del diritto alla riservatezza, stabilendo che le prove ottenute attraverso un accesso indiscriminato alle comunicazioni personali sono inutilizzabili.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dei programmi di fidelizzazione citava in giudizio tre suoi ex dipendenti, accusandoli di concorrenza sleale. Secondo l’azienda, i lavoratori, ancora in costanza di rapporto, avrebbero costituito una società concorrente, sviando clientela e opportunità commerciali. Come prova regina, la società produceva in giudizio una serie di comunicazioni email, estratte da account di posta elettronica personali che i dipendenti utilizzavano sui computer aziendali.

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente le richieste dell’azienda, condannando gli ex dipendenti al risarcimento del danno. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava completamente la decisione. I giudici di secondo grado ritenevano che l’acquisizione delle email fosse avvenuta in violazione della privacy dei lavoratori, rendendo la consulenza tecnica e le prove documentali inutilizzabili. L’azienda, non rassegnata, proponeva quindi ricorso per Cassazione.

Il Controllo Email Dipendenti e la Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando in toto la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione è l’illegittimità del metodo con cui le prove sono state raccolte. Secondo gli Ermellini, l’accesso del datore di lavoro ad account di posta personali, sebbene inseriti su un server aziendale ma protetti da password, costituisce una violazione del diritto alla riservatezza della corrispondenza, tutelato anche a livello europeo dall’art. 8 della CEDU.

La Corte ha sottolineato come la nozione di “vita privata” e “corrispondenza” si estenda anche all’ambito professionale. Le comunicazioni via email, anche se inviate dal luogo di lavoro, godono di una tutela fondamentale che non può essere sacrificata sull’altare delle esigenze di controllo datoriale, se non a condizioni ben precise.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su principi ormai consolidati, richiamando la celebre giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (caso “Barbalescu”). Le motivazioni della Cassazione si articolano su tre pilastri fondamentali:

1. Principio di Finalità e Proporzionalità: Qualsiasi forma di controllo sulle attività dei dipendenti deve essere giustificata da motivi legittimi e gravi. Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a scegliere le modalità meno invasive possibili. Un monitoraggio massivo e generalizzato, come quello avvenuto nel caso di specie, è considerato sproporzionato.

2. Obbligo di Informazione Preventiva: I lavoratori devono essere chiaramente e dettagliatamente informati in anticipo sulla possibilità, le forme e le modalità di eventuali controlli. In assenza di una policy aziendale trasparente, che regoli l’uso degli strumenti informatici e le condizioni di monitoraggio, il controllo è da considerarsi illecito.

3. Distinzione tra Controlli Difensivi e Indagini Esplorative: Sebbene i controlli “difensivi” (finalizzati a proteggere il patrimonio aziendale da specifici illeciti) siano ammessi, essi non possono tradursi in un’indagine esplorativa sulla vita personale e sulle comunicazioni del lavoratore. Nel caso esaminato, l’accesso è avvenuto dopo le dimissioni dei dipendenti, su account personali protetti da credenziali, configurando un’attività di indagine postuma e non un controllo difensivo legittimo.

La Corte ha concluso che, mancando i presupposti di legittimità (informazione, proporzionalità, necessità), l’acquisizione delle email era illecita e, di conseguenza, le prove derivanti da tale attività non potevano essere utilizzate per fondare la richiesta di risarcimento.

Le Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un importante principio a tutela dei lavoratori: il diritto alla privacy non si ferma alle porte dell’ufficio. I datori di lavoro che intendono proteggere i propri asset aziendali devono farlo attraverso strumenti legittimi. È indispensabile dotarsi di policy aziendali chiare e conformi alla normativa sulla privacy (incluso il GDPR), che informino i dipendenti sui limiti di utilizzo degli strumenti informatici e sulle eventuali forme di monitoraggio. L’accesso indiscriminato alla corrispondenza, anche se su dispositivi aziendali, costituisce una violazione dei diritti fondamentali del lavoratore e rende le prove così ottenute inutilizzabili in un eventuale giudizio.

Un datore di lavoro può controllare le email personali di un dipendente utilizzate sul PC aziendale?
No, non può farlo in modo indiscriminato. La sentenza stabilisce che l’accesso a caselle di posta elettronica personali, protette da password, anche se utilizzate su dispositivi aziendali, costituisce una violazione della privacy. Tale accesso è illegittimo se non rispetta i principi di necessità, proporzionalità e previa informazione al lavoratore.

Il controllo sulle comunicazioni dei dipendenti è sempre vietato?
No, non è sempre vietato, ma è strettamente regolamentato. È ammesso solo se giustificato da gravi motivi (finalità legittima), se vengono adottate le misure meno invasive possibili (proporzionalità) e se i dipendenti sono stati preventivamente e dettagliatamente informati di tale possibilità. I controlli massivi e generalizzati sono considerati illeciti.

Le prove raccolte violando la privacy del lavoratore possono essere usate in un processo?
No. La sentenza conferma che le prove ottenute attraverso un controllo illegittimo, in violazione delle norme a tutela della riservatezza del lavoratore, sono inutilizzabili nel processo civile. Pertanto, non possono essere poste a fondamento di una richiesta di risarcimento danni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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