Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31503 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31503 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 407/2022 r.g., proposto da
Improta NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 4970/2021 pubblicata in data 26/10/2021, n.r.g. 1259/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/10/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 20/12/2019, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare del 25/11/2019.
Impugnava il licenziamento prospettando vari vizi (mancata affissione del codice disciplinare, tardività del licenziamento, violazione degli artt. 3 e 4 L.
OGGETTO: cartellino marcatempo -abuso – conseguenze
n. 300/1970) e chiedendone quindi l’annullamento, con conseguente tutela reintegratoria e risarcitoria.
2.- A conclusione della fase c.d. sommaria, secondo il rito introdotto dalla legge n. 92/2012, il Tribunale accoglieva parzialmente l’impugnazione, dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria in misura di quindici mensilità di retribuzione.
3.- Sulle opposizioni proposte sia dalla società, sia dal lavoratore, il Tribunale, all’esito della fase a cognizione piena, rigettava l’impugnazione del licenziamento e condannava il lavoratore al rimborso delle spese processuali.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dall’Improta.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
infondato è il motivo di gravame con cui il reclamante si duole della violazione dell’art. 127 c.p.c. per avere il Tribunale non solo ammesso soltanto le prove testimoniali chieste dalla società e negato, invece, quelle chieste dal lavoratore, ma altresì ritenuti provati i fatti contestati nonostante la mancata citazione del teste della società ammesso; il Tribunale, infatti, ha ritenuto sostanzialmente non contestati i fatti addebitati al lavoratore (e da questi ricostruiti solo in una diversa chiave giustificativa), ed ha comunque ritenuto sufficiente la relazione investigativa, le fotografie allegate, il contegno processuale del lavoratore che in udienza, in sede di libero interrogatorio, ha riconosciuto se stesso e la propria autovettura ripresi in quelle fotografie; dunque non occorreva alcuna prova testimoniale;
nessuna violazione dell’art. 116 c.p.c. sussiste, atteso che il Tribunale ha vagliato gli elementi istruttori e li ha considerati nel loro complesso;
legittimo è anche il controllo mediante il ricorso alle investigazioni private, qualora destinato a tutelare il patrimonio aziendale, come affermato dalla Corte di Cassazione;
sul piano della proporzionalità, va ricordato che i fatti contestati sono costituiti dall’essersi allontanato dal luogo di lavoro senza giustificazione in due giorni, sia poco dopo l’inizio del turno, sia un’ora prima della fine del turno, interrompendo il proprio servizio ed intrattenendosi a parlare con soggetti estranei all’azienda e non identificati;
tali fatti, ad una considerazione sia analitica che complessiva, rivelano la loro gravità anche sotto il profilo psicologico e sono tali da precludere alla società la possibilità di riporre affidamento sul puntuale adempimento delle future obbligazioni, trattandosi di un dipendente rivelatosi non ligio agli obblighi di diligenza e di ‘scarsissima affidabilità’;
non si tratta di mera inosservanza dell’orario di lavoro, ma di un intenzionale mancato rispetto dell’orario lavorativo per svolgere faccende private, mediante un comportamento fraudolento tale da consentire al lavoratore di ricevere regolarmente la propria retribuzione per l’intero orario di servizio, invece non spettante, in considerazione di quello che si è rivelato un vero e proprio abbandono del posto di lavoro;
il fatto che tutto ciò si sia verificato in due distinte giornate lavorative lungi dall’essere di limitata rilevanza disciplinare, dimostra al contrario l’evidente perseveranza nella violazione delle regole basilari del rapporto di lavoro, sicché integra la giusta causa di licenziamento;
tali considerazioni consentono di prescindere dall’art. 68 CCNL federambiente, che prevede la sanzione espulsiva per determinati comportamenti (insubordinazione seguita da vie di fatto, furto, condanne per reati infamanti) fra i quali non rientra quello addebitato al lavoratore, considerato che si tratta di previsione meramente esemplificativa e non esaustiva, come espressamente previsto dalle parti sociali nell’art. 68 medesimo;
irrilevante è infine la mancata affissione del codice disciplinare, considerata la natura della violazione commessa e l’immediata percepibilità della stessa come contraria ai doveri del dipendente.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Il ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 127 c.p.c.
Il motivo è inammissibile , attesi, da un lato, la sua genericità, dall’altro l’assorbente rilievo che l’attività istruttoria rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che ha ritenuto sufficientemente istruita la causa, attraverso le stesse difese del lavoratore, la relazione investigativa, la non contestazione dei fatti nella loro oggettiva consistenza. E’ pertanto evidente che, a fronte di tali molteplici elementi probatori a sostegno della contestazione disciplinare, a giudizio della Corte territoriale la prova testimoniale -e soprattutto il suo esito in termini di decadenza per mancata citazione del testimone -si manifestava irrilevante.
Analoga conclusione va affermata con riguardo all’asserita contestazione dei fatti da parte del lavoratore, erroneamente ritenuti ammessi dal Tribunale con valutazione confermata dalla Corte territoriale. Infatti, anche a prescindere dalla non contestazione, i giudici d’appello hanno ritenuto sufficienti i rilievi fotografici allegati alla relazione investigativa, debitamente mostrati in udienza al lavoratore, il quale in sede di libero interrogatorio aveva riconosciuto sia se stesso, sia come propria l’autovettura ivi raffigurata.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 116, 117 c.p.c. e 5 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro invece non assolto.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, interdetto in sede di legittimità. E comunque, contrariamente all’assunto del ricorrente, il convincimento dei giudici di merito si è formato non soltanto sulla relazione investigativa, ma soprattutto sugli allegati rilievi fotografici e sul loro riconoscimento da parte
del lavoratore in sede di libero interrogatorio.
Va quindi ribadito che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Diversamente, qualora si deduca che il giudice abbia solamente esercitato male il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. sez. un. 30/09/2020, n. 20867).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 3 e 4 L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile il controllo operato dalla datrice di lavoro tramite agenzia investigativa.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato che i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo (Cass. ord., n. 15094/2018; Cass. n. 12810/2017). Quindi i controlli a mezzo di investigazioni sono senza dubbio ammessi, quando volti a preservare il patrimonio aziendale e a prevenire la commissione di reati (truffa), come nel caso di specie, nel quale -come accertato dalla Corte territoriale -il controllo è stato destinato non a verificare l’adempimento della prestazione lavorativa, bensì l’abbandono del posto di lavoro mediante mezzi fraudolenti volti a conservare il diritto all’intera retribuzione giornaliera.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3),
c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 18 L. n. 300/1970, 68 e 36, co. 4, CCNL servizi ambientali -utilitalia per avere la Corte territoriale ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva ed escluso la riconducibilità del fatto ad una sanzione conservativa prevista dal medesimo CCNL.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché il ricorrente non indica quale sarebbe la clausola del CCNL che per fatti identici a quelli a lui addebitati preveda -in ipotesi -la sanzione conservativa.
Il motivo è poi infondato in considerazione del principio di diritto -più volte affermato da questa Corte -secondo cui la previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., ossia alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, sebbene la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisca uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, ossia utilizzata dall’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021).
Viceversa, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato e tipizzato dal contratto collettivo o dal codice disciplinare come infrazione meritevole solo di una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione, che quindi è vincolante, poiché condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della legge n. 604/1966, a meno che accerti che le parti abbiano previsto, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 14811/2020) e ritenga che il fatto concretamente accertato presenti questa connotazione di maggiore gravità.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 68 CCNL servizi ambientali -utilitalia e 2119 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento dei fatti come accertati, interdetto in sede di legittimità.
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 36 0, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 7 L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante la mancata affissione del codice disciplinare.
Il motivo è inammissibile perché la decisione dei giudici del reclamo è conforme ad un pluriennale e consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione ( ex pluribus Cass. n. 6893/2018; Cass. n. 16291/2004).
7.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in