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Controlli investigativi dipendente: quando sono leciti?

Un’azienda di trasporti licenzia un dipendente per assenteismo fraudolento, provato tramite un’agenzia investigativa. Il lavoratore contesta la legittimità del licenziamento. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i controlli investigativi sul dipendente sono ammessi quando vi sia il sospetto di comportamenti illeciti che ledono il patrimonio aziendale e il rapporto di fiducia, come nel caso dei cosiddetti ‘furbetti del cartellino’, e non per un mero controllo sulla prestazione lavorativa.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Controlli investigativi sul dipendente: la Cassazione fissa i paletti

L’uso di agenzie investigative per monitorare i lavoratori è un tema delicato, che bilancia il diritto del datore di lavoro a proteggere il proprio patrimonio e la necessità di tutelare la privacy e la dignità del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che regolano i controlli investigativi sul dipendente, chiarendo quando questi sono da considerarsi legittimi. Il caso riguarda il cosiddetto fenomeno dei ‘furbetti del cartellino’, una condotta che va ben oltre il semplice inadempimento contrattuale.

I fatti del caso: licenziamento dopo le indagini

Una società di trasporti aveva licenziato un proprio dipendente per giusta causa. L’accusa era grave: il lavoratore, pur timbrando regolarmente il cartellino, si allontanava sistematicamente dal posto di lavoro per dedicarsi ad attività personali. Per accertare questa condotta, l’azienda si era avvalsa di un’agenzia investigativa, le cui indagini avevano confermato i sospetti.

Il Tribunale, in primo grado, aveva annullato il licenziamento, ordinando la reintegra del lavoratore. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, ritenendo legittimo il licenziamento. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta del dipendente aveva causato una lesione irreparabile del rapporto fiduciario, integrando anche un illecito penale. Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la legittimità dei controlli e l’utilizzo delle prove raccolte.

L’analisi della Corte sui controlli investigativi sul dipendente

Il dipendente ha basato il suo ricorso su sette motivi, incentrati principalmente su tre aspetti: l’illegittimità dell’uso di investigatori privati per controllare l’adempimento lavorativo, l’inattendibilità delle prove raccolte e vizi procedurali. La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto ogni motivo, fornendo chiarimenti cruciali.

La legittimità dei controlli difensivi

Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra controlli sulla prestazione lavorativa e controlli difensivi. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato: lo Statuto dei Lavoratori (artt. 2 e 3) vieta i controlli a distanza volti a verificare esclusivamente il corretto adempimento della prestazione lavorativa (controllo qualitativo o quantitativo).

Tuttavia, sono pienamente legittimi i cosiddetti ‘controlli difensivi’, ovvero quelli finalizzati a verificare comportamenti del dipendente che possano configurare illeciti o attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro. Il caso dei ‘furbetti del cartellino’ rientra perfettamente in questa categoria, poiché non si tratta di un semplice inadempimento, ma di una condotta fraudolenta che può integrare il reato di truffa aggravata.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha stabilito che il ricorso a un’agenzia investigativa era giustificato dal solo sospetto che fossero in corso degli illeciti. Il controllo non era ‘esplorativo’ né mirato a valutare la diligenza del lavoratore, ma a verificare una specifica e grave condotta fraudolenta.

In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito che la decisione della Corte d’Appello non si basava unicamente sulla relazione investigativa, ma su un quadro probatorio più ampio, che includeva la testimonianza diretta dell’investigatore in giudizio e la valutazione dell’inattendibilità dei testi e dei documenti portati dal lavoratore. Pertanto, non vi è stata alcuna inversione dell’onere probatorio.

Infine, i giudici hanno respinto le censure procedurali. Hanno confermato che nel rito del lavoro il giudice d’appello può esercitare i propri poteri istruttori d’ufficio, disponendo l’audizione di testimoni non indicati dalle parti se ritenuto necessario per completare il quadro probatorio. Le critiche sulla valutazione della testimonianza sono state giudicate inammissibili, in quanto tentativi di ottenere un nuovo esame del merito, precluso in sede di legittimità.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che un datore di lavoro può legittimamente utilizzare agenzie investigative per accertare condotte illecite dei propri dipendenti che ledono il patrimonio aziendale. La linea di demarcazione è netta: il controllo non può riguardare il ‘come’ si lavora, ma deve essere attivato dal sospetto di un ‘illecito’ commesso durante il lavoro. La condotta di chi timbra e si assenta integra un comportamento fraudolento che giustifica pienamente sia i controlli difensivi sia, se provata, il licenziamento per giusta causa. La decisione rafforza gli strumenti a disposizione delle aziende per contrastare abusi, ribadendo al contempo che la prova in giudizio deve essere solida e formarsi nel contraddittorio tra le parti.

È legittimo per un datore di lavoro assumere un’agenzia investigativa per controllare un dipendente?
Sì, è legittimo a condizione che il controllo non sia finalizzato a verificare il mero adempimento della prestazione lavorativa, ma a accertare sospetti comportamenti illeciti, fraudolenti o penalmente rilevanti che possono arrecare un danno all’azienda.

La relazione di un investigatore privato è sufficiente a provare la giusta causa di licenziamento?
No, da sola non ha valore di prova piena. Tuttavia, la decisione del giudice può basarsi su di essa se le sue risultanze sono corroborate da altre prove, come la testimonianza in giudizio dell’investigatore stesso, e se il quadro probatorio generale conferma i fatti contestati.

Il giudice può sentire come testimone un investigatore privato se non è stato indicato nella lista testi dalla parte?
Sì, nel rito del lavoro il giudice, anche in appello, ha poteri istruttori d’ufficio. Può quindi disporre l’audizione di testimoni, inclusi gli autori di una relazione investigativa, se lo ritiene necessario per la decisione, a prescindere da una richiesta formale delle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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