Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2565 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 2565  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 617-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato  in  ROMA  INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo  studio dell’avvocato NOME  COGNOME,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4936/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/10/2021 R.G.N. 116/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/11/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 617/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/11/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 22 ottobre 2021, ha riformato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 19 dicembre 2019 che aveva accolto la domanda di reintegra nel posto del lavoro di COGNOME NOME.
In particolare, la Corte dopo  aver  accertato  che  il lavoratore durante l’orario di lavoro si dedicava ad altre attività, pur  risultando  timbrato  il  cartellino,  ha  ritenuto  adeguata  la sanzione irrogata del licenziamento in tronco in ragione della lesione irrimediabile del rapporto fiduciario, integrante anche un illecito penale e ha rigettato il ricorso di primo grado, condannando il reclamato al pagamento delle spese processuali.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il COGNOMECOGNOME con sette motivi, cui resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE;  entrambe  le  parti  hanno  depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è ris ervato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
4.- I motivi di ricorso possono essere così sintetizzati:
4.1. con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) e dell’art. 2043 c.c. In particolare, sostiene che la Corte di Appello di Napoli avrebbe ritenuto erroneamente legittimo il ricorso da parte della RAGIONE_SOCIALE ad un’agenzia investigativa per accertare il corretto adempimento della prestazione lavorativa, laddove il ricorso a tale forma di controllo è ammesso dalla giurisprudenza solo in caso di fondato sospetto dell’esecuzione di illeciti, e non a fini esplorativi (ossia per verificare l’allontanamento dalla sede di lavoro, che costituisce un mero inadempimento).
Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 257 -bis c.p.c., dell’art. 5 della legge 604 del 1966, degli artt. 2697, 115 e 116 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, contestando l’utilizzo della relazione investigativa come fonte di prova della giusta causa del licenziamento. Avrebbe errato la Corte di Appello di Napoli, basando la propria decisione su un erroneo utilizzo della relazione investigativa, non adeguatamente corroborata dalla prova testimoniale e nel contraddittorio, e contrastante con documentazione quali i rapporti giornalieri di verifica e le cedole di servizio, che attesterebbero la presenza del lavoratore nei luoghi di lavoro. Avrebbe altresì errato la corte valorizzando la mancata specifica contestazione delle risultanze della relazione investigativa, da parte del lavoratore, che -comunque- non avrebbe confutato con i propri testimoni le dichiarazioni ivi contenute. Per tal via la corte, nella prospettazione difensiva, avrebbe invertito l’onere probatorio trasferendo sul lavoratore l’onere di provare la illegittimità della sanzione. Sottolinea ancora il ricorrente che la relazione investigativa, proveniente da un terzo, non assume il valore di prova piena, ma di mera scrittura privata con valore meramente indiziario.
Con il terzo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 432, 436 e 437, comma 2, c.p.c., dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavorat ori (L. 300/1970) e dell’art. 2697 c.c. in cui sarebbe incorsa la corte, disponendo d’ufficio l’audizione come testimoni dei sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME, autori delle indagini oggetto della relazione investigativa, sopperendo alla colpevole inerzia della società, che non aveva formulato la richiesta istruttoria e
violando il principio del tantum devolutum quantum appellatum nonchè il principio dispositivo della prova.
Con il quarto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, l. 604 del 1966, dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello di Napoli, ritenendo raggiunta la piena prova dei fatti contestati al lavoratore sulla base della testimonianza del sig. NOME COGNOME, escusso in sede di giudizio d’appello, autore della relazione investigativa, il quale si sarebbe limitato a una generica conferma del rapporto investigativo, senza riferire fatti specifici, circostanziati e chiari relativi alle tre giornate oggetto di contestazione, senza ricordare dettagli essenziali, come le date precise dei presunti episodi contestati, né fornire elementi probatori chiari che potessero essere oggetto di verifica.
Con il quinto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte attribuendo valore probatorio pieno alla testimonianza del sig. NOME COGNOME e alla relazione investigativa da lui redatta, nonostante la loro manifesta inattendibilità e le numerose contraddizioni emergenti dagli atti del processo.
Con il sesto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa  applicazione  degli  artt.  53  e  54  del  Regio  Decreto  n. 148/1931, nonché dell’art. 18, commi 1, 2 e 6, della legge n. 300/1970, poiché sarebbe stato disposto il licenziamento dalla società datrice di lavoro senza il coinvolgimento del Consiglio di disciplina, come richiesto dalla normativa di settore.
Con il settimo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 del Regio Decreto n. 148/1931 in cui sarebbe incorsa la Corte, non attribuendo rilevanza alla omissione da parte della società datrice di lavoro delle attività di indagine tramite i propri funzionari, della relazione scritta prevista dalla normativa speciale per gli autoferrotranvieri e, comunque, alla mancata osservanza dell’iter procedur ale disciplinare prescritto.
Il ricorso è infondato.
10.1 Infondato il primo motivo con cui il ricorrente si duole che la  Corte  territoriale  abbia  fondato  la  propria  decisione  sulla legittimità  dei  controlli  operati  dall’agenzia  investigativa  per verificare i comportamenti del lavoratore, richiamandosi ad un orientamento  giurisprudenziale  che  autorizza  l’uso  di  agenzie investigative  per  finalità  difensive,  quando  siano  in  gioco  atti illeciti o fraudolenti e non il mero adempimento delle obbligazioni lavorative.
Ed infatti, come questa Corte ha più volte evidenziato, tramite la giurisprudenza richiamata dallo stesso ricorrente nonché correttamente -dalla sentenza impugnata, i controlli investigativi posti in essere dal datore di lavoro tramite agenzie investigative non sono vietati, purché siano finalizzati a verificare comportamenti del dipendente che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro, mentre non possono essere diretti a verificare esclusivamente il corretto adempimento dell’obbligazione contrattuale, in ossequio al divieto sancito dagli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori (Cass. n. 15094/2018; conf. Cass. n. 3590/2011). Inoltre, è giustificato il ricorso a tali strumenti investigativi in presenza del solo
sospetto  o  della  mera  ipotesi  che  illeciti  siano  in  corso  di esecuzione (Cass. n. 3590/2011).
Nel caso di specie, appunto, la sentenza impugnata chiarisce che il controllo investigativo fu disposto non già per verificare genericamente l’adempimento della prestazione lavorativa, ma proprio rilevare e verificare le (sospette) ‘condotte fraudolente dei propri dipendenti, tra cui il reclamato che marcavano la loro presenza  in  ufficio  mentre  in  realtà  non  lavoravano:  i  cd. ‘furbetti del cartellino’)’.
Pertanto sussistevano pienamente i presupposti per legittimare l’utilizzo dell’agenzia investigativa, poiché, ed è appena il caso di sottolinearlo, la condotta di chi procede alla timbratura del cartellino senza essere presente o trattenersi sul luogo di lavoro e/o si allontana per svolgere attività personali, oltre a violare i doveri contrattuali, con rilevanza anche sotto il profilo disciplinare, costituisce un comportamento fraudolento, idoneo ad integrare un’ipotesi di truffa aggravata, (Cass. n. 17637/2016; Cass. N. 8426/2014).
10.2 Del pari infondato il secondo motivo, con cui, contestando il valore di piena prova attribuito alla relazione investigativa, il ricorrente mostra di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto fondati gli addebiti non solo sulla base della detta relazione, ma anche sulla base della testimonianza resa in giudizio dall’investigatore e sul generale quadro probatorio (approfondendo le contraddizioni e l’inattendibilità dei testi introdotti dal lavoratore e la scarsa rilevanza probatoria dei documenti prodotti).
Né inficia  la  ripartizione  degli  oneri  probatori  l’avere  la  corte valorizzato,  quale  elemento  accessorio  della  motivazione,  la mancata specifica  contestazione  da  parte  del  ricorrente  delle risultanze dell’indagine investigativa. La Corte ha correttamente ritenuto che il datore di lavoro non fosse tenuto a mettere a
disposizione del lavoratore, già in fase disciplinare, le fonti di prova su cui aveva basato il provvedimento di licenziamento, né risulta  che  tale  richiesta  sia  stata  formalmente  avanzata  dal ricorrente in sede di procedimento disciplinare.
Parte ricorrente, in sostanza, con il motivo proposto, sostanzialmente, sembra richiedere una rivalutazione del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità. Come ribadito da questa Corte Questa corte, anche a sezioni unite (Cfr. SSUU 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.
10.3 Infondato anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente contesta  la  decisione  della  Corte  di  Appello  di  Napoli  che  ha disposto d’ufficio l’audizione degli autori della relazione investigativa,  non  indicati  dalla  parte  appellante  nella  lista testimoniale, né oggetto di alcuna specifica richiesta in appello, in violazione  della disciplina regolante  l’utilizzo dei poteri istruttori d’ufficio (art. 437, comma 2, c.p.c.).
Ed infatti,  in  conformità  con  gli  insegnamenti  di  questa  corte (Cass. n. 26597/2020), la Corte territoriale ha adeguatamente motivato la propria decisione di attivare i propri poteri officiosi per completare il quadro probatorio rettificando la decisione del giudice di primo grado che aveva escluso l’utilizzo degli stessi poteri, su opposizione della difesa della società.    Come
evidenziato nella sentenza impugnata, nel rito del lavoro l’esercizio dei poteri istruttori del giudice può essere utilizzato anche in appello a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti, quando vi sia una semiplena probatio o una pista probatoria e si renda necessaria una conferma indispensabile alla decisione, nel caso di specie ricorrente alla luce del materiale documentale (relazione investigativa), e delle dichiarazioni inattendibili di alcuni testimoni (Cass. N. 17683/2020 , N. 11845 del 2018 N. 28134 del 2018 )
10.4 Il quarto motivo, con cui il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, l. 604 del 1966, dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) in merito alla valutazione della testimonianza del sig. NOME COGNOME, autore della relazione investigativa, è inammissibile. Sul punto la Corte ha evidenziato come il teste ha ‘riconosciuto il COGNOME presente in aula. Ha confermato di averlo visto uscire, durante l’orario di lavoro, con il figlio, dove abitava, che automobile avesse, di che colore, in quali posti si fosse recato. Rispetto a queste circostanze precise, specifiche e chiare, nulla ha potuto obbiettare e contestare , come già scritto il COGNOME. Ad esempio, se l’auto non fosse quell a marca e quel tipo con quel colore, che la persona con la quale si accompagna non era il figlio, che non era stato nei luoghi in cui lo aveva visto il teste che non abitava in quella via. Il teste non conosceva prima il COGNOME né era della zona dove lo stesso viveva e lavorava. Pertanto vi è, a seguito della testimonianza del COGNOME , la prova piena della condotta fraudolenta del COGNOME che attraverso altre persone aveva timbrato il cartellino della presenza in ufficio ma nei tre giorni contestati non era al lavoro ma in giro o a casa per svolgere sue attività private.’ La corte ha pure chiarito che le contestazioni del COGNOME, senza cogliere
il nucleo essenziale della deposizione si erano concentrate su aspetti di contorno e irrilevanti, peraltro, puntando su uno solo degli episodi contestati. A fronte di tali puntuali e coerenti osservazioni, il motivo, come emerge dalla mera lettura del ricorso (cfr. pagina 91 ove si evidenzia che la testimonianza del COGNOME non è in grado di provare i fatti posti a base del recesso), a dispetto della dichiarata deduzione di una violazione di legge, introduce in realtà una sollecitazione a questa corte volta a rivalutare le affermazioni contenute in sentenza circa il contenuto della deposizione e l’attendibilità del teste NOME, la cui valutazione rientra nei poteri del giudice del merito.
Contrasta dunque con il ripetuto insegnamento delle Sezioni unite che hanno sottolineato l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
12. Analogamente inammissibile il quinto motivo, con cui il ricorrente propone la censura alla valutazione della testimonianza del medesimo teste COGNOME e alla sua relazione investigativa, con riferimento al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ritenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nel non esaminare adeguatamente le emergenze probatorie prodotte dal ricorrente, tra cui la denuncia-querela presentata contro il sig. COGNOME per falsa testimonianza, depositata presso la Procura della Repubblica e prodotta nel
giudizio di appello, i verbali di udienza e le cedole di servizio, che dimostrano la presenza effettiva del ricorrente sul luogo di lavoro nei giorni contestati, la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata  che  evidenzia  le  contraddizioni  nelle  dichiarazioni rese  dal  sig.  COGNOME  in  altro  procedimento,  oltre  ad  altre contraddizioni nelle sue dichiarazioni.
Anche con il motivo in esame, infatti, il ricorrente sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie, attività preclusa in sede di  legittimità  (Cass.  SS.UU.  n.  8053/2014),  limitandosi  a proporre  una  diversa  ricostruzione  del  materiale  probatorio rispetto a quella operata dalla Corte territoriale, senza indicare con  chiarezza  e  univocità  quale  specifico  fatto  decisivo  per  il giudizio sarebbe stato omesso.
In particolare, la censura si incentra sull’attendibilità del teste COGNOME, richiamando dichiarazioni rese in un distinto giudizio promosso dal sig. COGNOME contro l’RAGIONE_SOCIALE. Tuttavia, anche in tal caso, si  tratta  di  un  apprezzamento  di  merito  riservato  al  giudice territoriale, il quale ha evidentemente ritenuto irrilevante tale profilo (Cass. n. 26597/2020).
Il ricorrente, senza confrontarsi con i principi elaborati da questa corte in relazione al vizio in esame, non chiarisce i connotati del fatto decisivo omesso, limitandosi, esemplificativamente, a riportare come dalla relazione di servizio risulterebbe che il teste COGNOME, nella stessa data del 28 ottobre 2016, avrebbe seguito sia il COGNOME che il COGNOME (altro lavoratore coinvolto nell’indagine). Tuttavia, tale circostanza non risulta determinante ai fini della decisione, né il ricorrente spiega in che modo ciò potrebbe incidere sull’esito della controversia, mentre nel controricorso si evidenzia correttamente come nessuna circostanza concreta induce a ritenere che entrambe le attività siano state svolte in simultanea.
Appare altresì il caso di rilevare come del documento relativo alla sentenza del Giudice per le indagini preliminari, richiamato a pag. 106 del ricorso, non vi è traccia nella sentenza e la parte non deduce dove, come e quando sia stato oggetto del dibattito tra le parti, sicché deve rilevarsene la novità e dunque la inammissibilità (cfr. Cass. n. 25732/2021), mentre, in ogni caso, il ricorrente non ha contestato gli altri due episodi che concorrono a fondare il giudizio di responsabilità a suo carico, circostanza che rende comunque irrilevanti le censure sollevate con riguardo alla sola giornata del 28 ottobre.
10.6.  Infondati,  infine  i  motivi  sesto  e  settimo  con  cui  il ricorrente deduce la violazione degli artt. 53 e 54 del R.D. n. 148/1931, e conseguentemente l’illegittimità del licenziamento erroneamente esclusa dalla corte.
La Corte di appello, in linea con la giurisprudenza di legittimità, ha motivato ampiamente in merito al Consiglio di RAGIONE_SOCIALE e sulla relazione scritta, evidenziando tutti i passaggi del procedimento,  le  omesse  contestazioni  del  lavoratore  e  in definitiva, confermando che il procedimento seguito ha garantito il diritto al contraddittorio e alla difesa.
In particolare, come correttamente ha osservato la corte, richiamando la disciplina di cui agli articoli 53- 54 del Regio decreto n. 148 del 1931, il lavoratore, dopo l’opinamento, non ha presentato alcuna richiesta diretta ad attivare il consiglio di disciplina, né ha chiesto la relazione sulla base della quale l’azienda era giunta al provvedimento di destituzione, né ha censurato la condotta del datore di lavoro nel non avergliela messa a disposizione (cfr. per una ricostruzione della disciplina Cass. Sez. L., 07/03/2023, n. 6765)
Pertanto, poiché l’attivazione del Consiglio RAGIONE_SOCIALE non era obbligatoria, alla luce della situazione ricostruita dalla corte, ed
essendo  sufficiente  il  rispetto  dell’art.  7  dello  Statuto  dei Lavoratori il motivo va rigettato.
10.7. Il settimo e ultimo motivo è assorbito nel rigetto del sesto, essendo tale motivo volto a sindacare la pronuncia della corte di inammissibilità della eccezione circa la mancata predisposizione della relazione scritta,  considerata dalla  corte tardivamente sollevata (Cass. n. 7687/2017).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi,  ricorrendone  i  presupposti  processuali,  sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che  liquida  in  euro  4.500,00  per  compensi,  oltre  alle  spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da  parte  della  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 19 novembre 24
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME