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Controlli difensivi: licenziamento per accessi abusivi

Un dipendente di un ente previdenziale viene licenziato per aver effettuato migliaia di accessi non autorizzati alla banca dati istituzionale. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, chiarendo la natura e l’ammissibilità dei controlli difensivi posti a tutela della privacy di terzi, distinguendoli da quelli mirati alla sola prestazione lavorativa.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Controlli Difensivi e Privacy: Legittimo il Licenziamento per Accessi Abusivi alla Banca Dati

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7272 del 19 marzo 2024, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro contemporaneo: il confine tra i controlli difensivi del datore di lavoro e il diritto alla riservatezza del dipendente. Il caso riguarda il licenziamento di un lavoratore di un importante ente previdenziale per aver effettuato migliaia di accessi non autorizzati alla banca dati. La Corte ha ritenuto legittima la sanzione espulsiva, fornendo chiarimenti fondamentali sulla natura di tali controlli quando sono posti a tutela della privacy di soggetti terzi.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un ente previdenziale nazionale veniva licenziato nel 2020 a seguito di un procedimento disciplinare. L’accusa era gravissima: aver compiuto numerosi accessi non autorizzati alla banca dati informatica dell’ente per estrarre informazioni riservate su conti e prestazioni previdenziali di terze persone.

Ritenendo illegittima la sanzione, il lavoratore si rivolgeva al Tribunale, che però respingeva la sua domanda. La decisione veniva confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello, che rigettava l’impugnazione del lavoratore. La questione approdava così dinanzi alla Corte di Cassazione, con il lavoratore che articolava il proprio ricorso in dieci motivi, incentrati principalmente sulla presunta violazione delle norme sui controlli a distanza (art. 4 Statuto dei Lavoratori) e sulla protezione dei dati personali.

La Decisione della Corte sui Controlli Difensivi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità del licenziamento. Il cuore della decisione risiede nella distinzione operata dai giudici rispetto ai tradizionali controlli difensivi.

Tutela dei Dati di Terzi vs. Controllo sulla Prestazione

Il ricorrente sosteneva che i controlli effettuati dall’ente fossero illegittimi perché violavano le garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito che il caso in esame è sensibilmente diverso da quelli solitamente discussi in tema di controlli difensivi.

I controlli effettuati dall’ente previdenziale non erano finalizzati a verificare l’adempimento della prestazione lavorativa, né a proteggere ‘interessi e beni aziendali’ in senso stretto. Lo scopo primario era un altro, ben più cruciale: adempiere al dovere, in qualità di gestore e responsabile della banca dati (data controller), di tutelare le informazioni personali e riservate dei soggetti iscritti.

La privacy che veniva in rilievo non era quella del lavoratore (di cui non è stato attinto alcun dato personale, se non quello relativo all’accesso abusivo), ma quella dei cittadini i cui dati erano custoditi nella banca dati. Pertanto, l’ente non solo poteva, ma doveva effettuare controlli preventivi per garantire la corretta gestione e la sicurezza di tali dati.

Inapplicabilità delle Garanzie Tradizionali

Sulla base di questa fondamentale distinzione, la Corte ha concluso che non era necessaria alcuna comunicazione preventiva specifica al dipendente circa le modalità di controllo, né il rispetto delle procedure di accordo sindacale previste dallo Statuto dei Lavoratori per i controlli a distanza. L’attività di monitoraggio degli accessi era un dovere istituzionale dell’ente per proteggere i diritti di terzi, non un’indagine sulle abitudini o sulla produttività del proprio dipendente.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondati anche gli altri motivi di ricorso. In particolare, ha stabilito che la contestazione disciplinare era sufficientemente specifica, in quanto idonea a permettere al lavoratore un pieno esercizio del diritto di difesa, pur a fronte di migliaia di accessi contestati in un arco temporale di sei mesi. La valutazione sulla gravità del comportamento e sulla proporzionalità della sanzione espulsiva è stata considerata un giudizio di fatto, correttamente motivato dai giudici di merito e non censurabile in sede di legittimità. La condotta del dipendente, consistita in una sistematica e massiva violazione dei doveri di fedeltà e diligenza, è stata ritenuta talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, giustificando pienamente il licenziamento per giusta causa, a prescindere dalla prova di un concreto pregiudizio arrecato all’ente o a terzi.

Le Conclusioni

La sentenza n. 7272/2024 consolida un importante principio: quando il datore di lavoro è anche custode di dati personali sensibili di terzi, i controlli sugli accessi a tali informazioni assumono la natura di un adempimento a un obbligo di legge. Tali controlli, volti a proteggere la privacy dei cittadini, prevalgono sulle garanzie procedurali previste per i controlli sulla prestazione lavorativa. Per i dipendenti che operano con banche dati contenenti informazioni riservate, questa decisione rappresenta un chiaro monito: l’accesso è consentito solo per fini istituzionali e ogni abuso, anche se non produce un danno immediatamente quantificabile, costituisce una gravissima violazione dei propri doveri, idonea a giustificare la massima sanzione disciplinare.

Un datore di lavoro può monitorare gli accessi dei dipendenti a una banca dati senza un accordo sindacale?
Sì, secondo questa sentenza è legittimo quando il controllo non è finalizzato a vigilare sulla prestazione lavorativa, ma a compiere un dovere legale del datore di lavoro come titolare del trattamento dei dati personali di terzi, garantendone la sicurezza e la riservatezza.

Il licenziamento per accessi abusivi è legittimo anche se non si prova un danno concreto all’azienda o a terzi?
Sì. La Corte ha confermato che la giusta causa di licenziamento sussiste per la gravità della condotta, che consiste in una violazione massiva dei doveri di fedeltà e diligenza e che lede in modo insanabile il vincolo di fiducia, a prescindere dalla prova di un effettivo pregiudizio economico o di altra natura.

Una contestazione disciplinare che riguarda migliaia di episodi in un arco di sei mesi è sufficientemente specifica?
Sì. La sentenza chiarisce che la contestazione disciplinare non deve seguire i rigidi canoni di un’accusa penale. È considerata sufficientemente specifica se fornisce al lavoratore gli elementi essenziali per individuare la condotta addebitata nella sua materialità e permettergli di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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