Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7821 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7821 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24606-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 622/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 16/10/2023 R.G.N. 250/2023;
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 24606/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con nota del 10.3.2020 la RAGIONE_SOCIALE contestava alla dipendente NOME COGNOME i seguenti addebiti, come sintetizzati nell’impugnata sentenza: a) annullamento di registrazione concernenti emissioni di ticket bus senza la necessaria emissione di un nuovo ticket corretto (la contestazione precisa che i dipendenti addetti all’ufficio avevano riscontrato numerosi annullamenti di tickets emessi -con pagamento del costo- senza preavviso e a loro insaputa; alla COGNOME è contestato di non avere verificato gli incassi, gli annullamenti e la loro motivazione; in numerose occasioni la COGNOME aveva ritirato gli incassi; nella lettera di contestazione viene fatto espresso riferimento all’annullamento di un voucher acquistato dalla società RAGIONE_SOCIALE: in questo caso l’annullamento era stato operato tramite l’utenza personale della COGNOME mentre l’acquirente aveva regolarmente pagato e utilizzato il voucher senza essere a conoscenza dell’annullamento); b) emissione di tickets aggiuntivi senza che nel sistema fosse registrato il pagamento dei corrispettivi dovuti (nella lettera di contestazione è contenuto l’elenco delle operazioni specifiche nelle quali è stata riscontrata la suddetta violazione: ad esempio per la cliente NOME COGNOME è contestato che certamente nell’anno 2019, quan do le operazioni erano state compiute con le credenziali personali della COGNOME, erano stati emessi numerosi tickets aggiuntivi senza riscontro nei movimenti bancari o di cassa).
Con successiva lettera dell’11.4.2020 alla COGNOME veniva ulteriormente contestato di avere ordinato ai suoi sottoposti, ed in particolare al sig. COGNOME e a due stagiste, di distruggere le prime note relative ad Itinera e cioè agli anni antecedenti la fusione con la Metro, ovvero le ricevute di presa in carico di denaro contante rilasciato dall’Istituto di Vigilanza, gli scontrini pos , la stampa della giornata ed altri documenti; in quell’occasione la COGNOME avrebbe
selezionato la documentazione da distruggere e fra questa ci sarebbero state le prime note con tutti gli allegati, in violazione delle regole di conservazione della documentazione da protrarsi per dieci anni.
Il 30 aprile 2020 veniva intimato alla dipendente licenziamento per giusta causa.
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 622/2023, in parziale riforma della gravata pronuncia, che confermava nel resto, riduceva unicamente la condanna alle spese delle due fasi di giudizio di primo grado, posta a carico della COGNOME, rideterminando l’importo in euro 14.139,00, oltre al 15%, IVA e CPA come per legge.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) la contestazione disciplinare era specifica; b) l’attività di verifica della società si collocava fuori dal perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 St. lav. in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva preso le mosse dal decreto di sequestro dell’ hardware e dei libri contabili comunicato dalla Procura della Repubblica nell’ambito di una indagine per peculato a carico della COGNOME e, quindi, in un contesto di ‘fondato sospetto’; c) il recesso era sorretto da giusta causa essendo risultate dimostrate le incolpazioni mosse; d) erano, quindi, ravvisabili le prolungate irregolarità nel funzionamento dell’ufficio del quale la COGNOME aveva la responsabilità e che molte delle numerose anomalie erano state compiute direttamente dalla sua utenza personale, mentre le altre erano addebitabili per omesso controllo e vigilanza; e) la istruttoria svolta nella fase sommaria non giustificava la liquidazione delle spese in misura così elevata.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 nonché degli artt. 113, 114 e 160 Codice della privacy D.lgs. n. 196/2003, così come modificato dal D.lgs. n. 101/2018, per l’erronea statuizione, come affermata dalla Corte territoriale, di legittimità dei controlli operati dall’azienda in quanto, in violazione dell’art. 4 dello St. lav., era stata omessa l’ adeguata informativa al dipendente sulle modalità di uso degli strumenti di lavoro e di effettuazione dei controlli, nonché per essere stati questi effettuati sugli strumenti di lavoro informativi utilizzati da essa lavoratrice in violazione di principi di minimizzazione, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza, di trasparenza e correttezza previsti dal Codice della privacy e dal Regolamento UE n. 679/2016, essendo risultati interessati gli anni 2017, 2018 e 2019.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; si obietta che la Corte distrettuale aveva errato a considerare il licenziamento fondato anche su fatti diversi rispetto alle risultanze delle indagini informatiche compiute dalla società sul sistema di registrazione degli incassi.
I motivi, da scrutinare congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono infondati.
In primo luogo, deve rilevarsi che l’impianto decisorio della gravata sentenza non è fondato esclusivamente sulla ritenuta legittimità dei controlli e delle notizie, asseritamente acquisite senza una adeguata informazione delle modalità di uso degli strumenti di effettuazione dei controlli, prevista dal comma 3 dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970, ma anche sull’analisi delle emergenze istruttorie relative alla verifica contabile dei documenti, elaborati dal sistema per la gestione amministrativa delle riscossioni operate per conto dell’amministrazione comunale, nonché sulle dichiarazioni rese dai colleghi di lavoro della incolpata.
Le questioni dedotte sulla violazione dell’art. 4 co. 3 legge n. 300 del 1970, oltre ad essere state affrontate correttamente dalla
Corte territoriale con argomentazioni conformi ai principi statuiti in sede di legittimità (Cass. n. 25732/2021; Cass. n. 34092/2021; Cass. n. 18168/2023), perché effettivamente si verteva in una ipotesi di ‘fondato sospetto’ determinata dal sequestro oper ato dalla Procura della Repubblica nell’ambito di una indagine per peculato a carico della COGNOME, si rivelano, però, prive di interesse atteso che la fondatezza delle contestazioni mosse è stata basata anche su altre risultanze processuali.
Sotto questo profilo, poi, con riguardo in particolare alle doglianze di cui al secondo motivo, va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame dove la Corte di merito ha svolto un accurato esame circa la dimostrazione dei fatti addebitati e la loro riferibilità alla incolpata avendo appunto riguardo a prove ritualmente acquisite.
E’ opportuno ricordare che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Quanto, infine, alle dedotte violazioni ex art. 360 n. 5 cpc, deve precisarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art.
54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come sopra detto, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025