Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3195-2024 proposto da:
FONDAZIONE RAGIONE_SOCIALE COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento
Giudizio di rinvio
R.G.N. 3195/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 4371/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/11/2023 R.G.N. 3872/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in sede di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 25732 del 2021, ha dichiarato ‘illegittimo il licenziamento intimato a COGNOME NOME in data 29.1.2016′ dalla Fondazione Accademia Nazio nale di Santa Cecilia e condannato quest’ultima ‘all’immediata reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato ed al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra, oltre acces sori, nonché alla regolarizzazione della sua posizione contributiva e previdenziale’;
La Corte territoriale, in sintesi, ha premesso che, sulla base dei principi di diritto sanciti dalla sentenza rescindente, la causa era stata rimessa al giudice di rinvio ‘per la verifica della sussistenza di un fondato sospetto preesistente all’acquisizi one dei dati informatici comprovanti la commissione di un illecito’, ovvero ‘verificare se i dati informatici siano stati raccolti prima o dopo l’insorgere del fondato sospetto di commissione da parte della lavoratrice di fatti illeciti e se l’acquisizio ne degli stessi sia avvenuta rispettando il corretto bilanciamento fra le esigenze aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza della lavoratrice’; ha aggiunto che ‘solo in caso in cui i dati non fossero stati acquisiti dopo l’insorgere del fon dato sospetto e in
carenza del suddetto bilanciamento, questo Collegio dovrà verificare l’utilizzabilità degli stessi ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori’;
sulla base di queste premesse, esaminato il materiale istruttorio acquisito, la Corte territoriale ha accertato che ‘la acquisizione dei dati informatici utilizzati in sede disciplinare è stata effettuata prima dell’insorgere del fondato sospetto dell’espl etamento di attività illecite da parte della lavoratrice, atteso che proprio dai dati raccolti sono emerse le condotte oggetto di contestazione’, traendone la conseguenza che ‘deve escludersi che l’acquisizione dei dati informatici sul computer assegnato a lla COGNOME rientri nei controlli difensivi’;
3. la Corte ha, quindi, proceduto a ‘verificare l’utilizzabilità dei dati raccolti in applicazione dei commi 2 e 3 dell’art. 4 della legge n. 300/1970’, evidenziando che ‘l’utilizzabilità dei dati raccolti sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per svolgere la prestazione lavorativa, fra cui il computer assegnato alla ricorrente, è subordinata alla circostanza che il lavoratore abbia ricevuto adeguata informazione non solo delle modalità di uso degli strumenti, ma anche dell’effettuazione dei controlli e che sia stato rispettato il disposto del D.Lgs n. 196/2003’;
in punto di informazione preventiva, la Corte di Appello, esaminato il Modello Organizzativo Privacy della Fondazione, contenente ‘Regole d’accesso al Sistema Informativo, gestione Personal Computer e disciplinare sull’utilizzo della posta aziendale’, ha r itenuto, anche sulla scorta di una sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione della Fondazione a un provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, la ‘violazione degli obblighi di comunicazione
preventiva di cui all’art. 13 del codice della privacy all’epoca vigente’;
ha argomentato: ‘il disciplinare conteneva specifiche previsioni sul trattamento e sulla conservazione dei dati personali solo relativamente al server di posta elettronica aziendale. Difettano invece nel regolamento in esame, , regole sulla conservazione dei dati personali relativi alle navigazioni Internet effettuate dai dipendenti. Invero, sebbene nel regolamento sopra richiamato sia espressamente vietato l’utilizzo dei servizi informatici per fini diversi da quelli istituzionali e venga prevista la possibilità di accesso al disco utente, non vengono in alcun modo regolamentate le modalità di conservazione e trattamento dei dati risultanti dalla cronologia browser della navigazione su internet. Ne consegue che i dati relativi agli accessi della Ciamarra alla cronologia delle navigazioni su internet (quindi compresi quelli relativi all’accesso alla casella di posta elettronica privata), sono inutilizzabili a fini disciplinari.’;
da tale ‘inutilizzabilità’ la Corte ha fatto discendere ‘l’insussistenza dei fatti contestati’, con declaratoria di ‘illegittimità del licenziamento’ e condanna della Fondazione ‘alla immediata reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato e al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento sino all’effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenzi ale’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la soccombente Fondazione con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimata;
la sola parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati; 1.1. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 l. n. 300 del 1970, dell’art. 13 d. lgs. n. 196 del 2003 e degli artt. 1362 e ss. c.c., criticando diffusamente la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’obbligo di informativa d i cui alla disposizione statutaria novellata ‘sia stato rispettato con riferimento al trattamento e conservazione dei dati personali relativi al server di posta elettronica aziendale, ma non anche per quel che concerne i dati personali relativi alle navigazioni internet’; si eccepisce che la Corte del merito avrebbe condotto una ‘interpretazione delle policy aziendali’ non conforme ai criteri previsti dagli artt. 1362 e 1363 c.c.;
1.2. il secondo motivo denuncia, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, comma 4, per avere la Corte romana, in punto di tutela, dichiarato ‘illegittimo il licenziamento’ per ‘insussistenza dei fatti contestati’ e, tuttavia, condannato la Fondazione al pagamento di tutte le retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, senza contenere l’indennità risarcitoria nella misura massima di dodici mensilità;
preliminarmente deve essere disattesa la pregiudiziale eccezione, formulata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c. per violazione del canone di chiarezza e sinteticità;
il ricorso in oggetto è sottoposto alla nuova formulazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., il quale prescrive che esso deve contenere, ‘a pena di inammissibilità’, ‘la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso’ (numero sostituito dal comma 27, art. 3, d. lgs. n. 149 del 2002, applicabile ‘ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere’ dal 1° gennaio 2023, ex art. 35, comma 5, d. lgs n. 149/2022);
questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. Cass. n. 10594 del 2024) che il nuovo testo dell’art. 366, n. 3, c.p.c., ‘non ha fatto che esplicitare un requisito di chiarezza, concisione e strumentalità già implicito nel sistema’;
ciò in coerenza e continuità con una giurisprudenza di legittimità che ha sempre interpretato il n. 3 dell’art. 366 c.p.c. – che nella precedente formulazione pretendeva ‘l’esposizione sommaria dei fatti di causa’ – come preordinato allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass. SS. UU. n. 16628 del 2009), essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. SS. UU. n. 22575 del 2019);
è sovente ribadito che il ricorso per cassazione debba essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e
delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c. e che l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata ( ex plurimis , Cass. SS.UU. n. 37552 del 2021);
tali princìpi sono sicuramente applicabili anche nel vigore del nuovo testo dell’art. 366, n. 3, c.p.c., laddove la ‘sommarietà’ si è trasformata nella ‘essenzialità’, quale requisito che sottolinea il rapporto di pertinenza tra i fatti, sostanziali e proc essuali, che devono essere esposti e l’oggetto del giudizio devoluto alla Suprema Corte, per cui i primi vanno narrati nella stretta misura in cui siano funzionali alla ‘illustrazione dei motivi di ricorso’; il tutto attraverso una esposizione che sia ‘chiara’, ossia intelligibile senza equivoci, in modo da esprimere nitidamente i fatti rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass. n. 18951 del 2024);
nella specie, la Corte reputa che il ricorso, sebbene diffusamente, riporti comunque con chiarezza l’esposizione dei fatti di causa relativi ad un giudizio di rinvio in una complessa vicenda giudiziaria, che ha portato anche all’enunciazione di innovativi princìpi di diritto, di modo che risulta certamente decifrabile il rapporto di pertinenza tra quanto dedotto e le censure che si intendono sottoporre alla Corte di legittimità, senza che risulti pregiudicata l’intelligibilità delle doglianze al punto da giustificare la più grave delle sanzioni processuali che definisca in rito la controversia;
ciò posto, il primo motivo di gravame non può trovare accoglimento;
3.1. come reso palese dalla denuncia di violazione delle disposizioni codicistiche che regolano l’ermeneutica negoziale, si critica l’interpretazione della disciplina aziendale in tema di privacy così come offerta dalla Corte di Appello;
tuttavia, è noto che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014; da ultimo v. Cass. n. 18214 del 2024), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; più di recente, Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del cd. ‘ minimum costituzionale’; inoltre, per risalente insegnamento, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n.
12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000);
3.2. nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole in ordine al contenuto della disciplina aziendale e a ll’informativa ivi contenuta circa le modalità d’uso degli strumenti di lavoro e le modalità di effettuazione dei controlli che la Fondazione si era riservata di operare; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra; infatti il ricorso per cassazione – riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo -laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue
(ancora Cass. n. 18214 del 2024; in precedenza v. Cass. n. 10131 del 2006 e Cass. n. 18375 del 2006);
il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato;
4.1. l’originaria sentenza di primo grado aveva applicato l’art. 18 St. lav. nel testo antecedente alla novella del 2012, evidentemente sul presupposto che si trattasse di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione (in tal senso deponeva la citazione del precedente di questa Corte rappresentato da Cass. n. 11868 del 2016);
tale sentenza era stata poi riformata in appello, con pronuncia successivamente cassata da questa Corte;
persisteva, quindi, il motivo di reclamo con cui la Fondazione specificamente si doleva della mancata applicazione dell’art. 18 St. lav. nella sua rinnovata formulazione, stante la natura privatistica dell’ente;
la Corte del rinvio, pur dichiarando l ‘ ‘illegittimità del licenziamento’ per ‘insussistenza dei fatti contestati’, ha, sebbene implicitamente, rigettato il motivo di reclamo proposto dalla Fondazione, condannandola al pagamento delle retribuzioni globali di fatto ‘maturate dal licenziamento si no all’effettiva reintegra’, ma senza apporre il limite delle 12 mensilità;
facendo ciò ha falsamente applicato l’art. 18, comma 4, St. lav., che prevede, nella ipotesi di ‘insussistenza del fatto contestato’, una misura della indennità risarcitoria ‘in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto’; la disposizione novellata è pacificamente applicabile alle fondazioni lirico sinfoniche che, a partire dal 23 maggio 1998, hanno mutato natura, trasformandosi in soggetti dotati di personalità giuridica di diritto privato, con conseguente
‘sottrazione dei rapporti di lavoro instaurati dagli enti lirici dall’area dell’impiego pubblico’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 5542 del 2023);
4.2. tale conclusione non risulta inficiata dalle eccezioni sollevate sul motivo dalla controricorrente;
in ordine all’asserita non contestazione in prime cure circa la ‘natura sostanzialmente pubblicistica delle fondazioni lirico -sinfoniche’, val la pena evidenziare che il principio di non contestazione opera rispetto a fatti e non per la qualificazione giuridica di un rapporto e per la tutela legale al medesimo applicabile, tenuto altresì conto che la questione aveva costituito specifico oggetto di un motivo di reclamo;
la richiesta, poi, di applicazione di una tutela reintegratoria piena, ai sensi del comma 1 dell’art. 18 novellato, per nullità del licenziamento intimato in violazione di norme imperative, trascura di considerare che la sentenza qui gravata ha dichiarato la mera illegittimità del licenziamento per insussistenza dei fatti contestati, statuizione che non risulta impugnata con ricorso incidentale della lavoratrice;
infine, quanto alla tesi secondo cui ‘il limitato risarcimento del danno rivendicato dalla difesa dell’ente non può comunque trovare accoglimento a decorrere dalla data della sentenza del giudice di rinvio’, essa contrasta con il chiaro dettato letterale d ella disposizione che dopo aver stabilito che l’indennità risarcitoria matura ‘dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione’, da intendersi come effettiva riammissione in servizio, non essendo sufficiente il mero ordine di reint egra, sancisce che ‘in ogni caso’ la misura complessiva di tale indennità incontra il limite massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto;
il paventato dubbio di illegittimità costituzionale di tale disciplina è privo di specificità rispetto ai parametri costituzionali che si assumono violati e non risulta neanche successivamente coltivato;
pertanto, respinto il primo motivo, deve essere accolto il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito circa la tutela applicabile e provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 dicembre 2024.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME