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Contribuzione volontaria: non si può rinunciare

La Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità della rinuncia alla contribuzione volontaria da parte di un lavoratore nell’ambito di un accordo transattivo. L’ordinanza chiarisce che, quando tale contribuzione è prevista da una legge speciale a tutela di specifiche categorie di lavoratori (in questo caso, ex minatori), essa assume natura di obbligazione di diritto pubblico, inderogabile e indisponibile. Di conseguenza, qualsiasi patto contrario è nullo. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva invece ritenuto valida la rinuncia, sottolineando la natura assistenziale e legale dell’obbligo contributivo, che non può essere oggetto di negoziazione privata tra le parti.

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Contribuzione volontaria: un diritto a cui non si può rinunciare

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro e previdenziale: il diritto alla contribuzione volontaria, quando previsto da specifiche leggi a tutela dei lavoratori, non è negoziabile. Questo significa che un lavoratore non può validamente rinunciarvi, neppure nell’ambito di un accordo transattivo firmato con il datore di lavoro. La sentenza analizza la natura di questo istituto, distinguendolo dalla sua accezione comune e inquadrandolo come un’obbligazione di diritto pubblico.

Il Contesto del Caso: La Transazione e la Rinuncia

La vicenda trae origine dalla domanda di un ex lavoratore del settore minerario, collocato in prepensionamento a seguito della chiusura dello stabilimento. Il lavoratore aveva sottoscritto un accordo conciliativo per definire l’ammontare degli arretrati relativi all’indennità di prepensionamento. In tale accordo, egli aveva rinunciato a ogni ulteriore pretesa nei confronti della società che gestiva il personale.

Successivamente, il lavoratore aveva agito in giudizio per ottenere il versamento dei contributi previdenziali su tali arretrati e la conseguente riliquidazione della pensione. La questione centrale era stabilire se la rinuncia generica contenuta nell’accordo transattivo potesse estendersi anche all’obbligo contributivo.

La Decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte territoriale aveva dato ragione alla società, riformando la decisione del Tribunale. Secondo i giudici d’appello, la contribuzione volontaria in questione, proprio per la sua natura “volontaria”, rientrava nella sfera di disponibilità del lavoratore. Di conseguenza, la rinuncia espressa nell’accordo era stata ritenuta valida ed efficace, liberando la società dall’obbligo di versare i relativi contributi all’ente previdenziale.

La natura della contribuzione volontaria secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha completamente ribaltato questa interpretazione. Il Collegio ha chiarito che il termine “volontaria” non deve trarre in inganno. Nel caso di specie, la contribuzione non nasce da una libera scelta del lavoratore secondo le regole ordinarie, ma da una precisa disposizione di una legge regionale siciliana, emanata per tutelare i lavoratori del settore minerario rimasti senza impiego.

La Natura Pubblicistica dell’Obbligo Contributivo

L’obbligo di versare i contributi, pur definiti volontari, non ha una base negoziale, bensì legale. Esso si inserisce in un piano di intervento pubblico volto a garantire la ripresa economica di aree depresse e ad assicurare una tutela assistenziale ai lavoratori coinvolti. Questa finalità, radicata nell’articolo 38 della Costituzione, conferisce all’obbligazione una natura pubblicistica, sottraendola alla libera contrattazione tra le parti. L’onere è posto a carico di un soggetto pubblico regionale in via esclusiva, delineando un’ipotesi del tutto peculiare di assunzione pubblica dell’onere previdenziale.

L’Indisponibilità del Diritto ai Contributi

Da questa natura pubblicistica discende una conseguenza cruciale: l’indisponibilità del diritto. La Corte ha richiamato l’articolo 2115 del Codice Civile, che sancisce la nullità di qualsiasi patto volto a eludere gli obblighi relativi alla previdenza e all’assistenza. Tale norma si applica non solo alla previdenza obbligatoria in senso stretto, ma a tutte le forme di contribuzione che, come in questo caso, trovano la loro fonte inderogabile nella legge. Il rapporto contributivo, essendo finalizzato a garantire tutele costituzionalmente protette, non può essere oggetto di rinunce o transazioni.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano sulla distinzione tra la fonte dell’obbligazione e la sua denominazione. Anche se la legge parla di contribuzione volontaria, il meccanismo da essa creato configura un obbligo legale a carico della Regione (e della società da essa delegata) e un diritto indisponibile per il lavoratore. Il ragionamento della Corte d’Appello è stato censurato come un “error in judicando”, ovvero un errore nell’interpretazione e applicazione del diritto. I giudici di merito hanno erroneamente assimilato questa fattispecie speciale alla prosecuzione volontaria ordinaria, senza cogliere la specificità della disciplina regionale e la sua finalità assistenziale. Le pattuizioni intercorse tra il lavoratore e la società sono state quindi dichiarate nulle nella parte in cui estendevano la rinuncia alla pretesa contributiva, in quanto contrarie a norme imperative.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame in conformità ai principi enunciati. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela dei diritti previdenziali, anche quando essi derivano da normative speciali e utilizzano una terminologia che potrebbe sembrare ambigua. Viene stabilito con chiarezza che la validità di un accordo transattivo non può mai compromettere obblighi di natura pubblicistica e assistenziale, la cui fonte è la legge e non la volontà delle parti. Per i lavoratori, ciò significa che la protezione sociale garantita dalla legge non può essere barattata in sede di conciliazione, mentre per i datori di lavoro (o i soggetti da essi delegati) l’obbligo contributivo legale rimane inderogabile, a prescindere da eventuali accordi sottoscritti con il prestatore di lavoro.

Un lavoratore può rinunciare alla contribuzione volontaria in un accordo transattivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando l’obbligo di versare la contribuzione volontaria deriva da una specifica norma di legge con finalità assistenziale, come nel caso dei minatori siciliani, esso costituisce un diritto indisponibile. Qualsiasi patto o rinuncia in tal senso è nullo ai sensi dell’art. 2115 del Codice Civile.

Qual è la natura della contribuzione prevista per i lavoratori del settore minerario siciliano in prepensionamento?
Nonostante sia definita “volontaria”, la Corte ha stabilito che la sua natura è quella di un’obbligazione di diritto pubblico. La sua fonte non è un accordo tra le parti, ma la legge, e ha una finalità assistenziale. Pertanto, va considerata come una forma di contribuzione obbligatoria e inderogabile.

Un accordo che prevede la rinuncia ai contributi previdenziali è valido?
No. L’ordinanza afferma che le pattuizioni che interpretano una rinuncia come estesa anche alla pretesa contributiva sono inficiate da nullità. L’obbligo di versare i contributi, essendo regolato da una disciplina cogente e inderogabile, non può venir meno per effetto di accordi tra il soggetto obbligato e il lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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