Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24151 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17782-2024 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 43/2024 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 19/02/2024 R.G.N. 168/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
PDA Cassa ragionieri e periti
commerciali –
prescrizione e art. 24 co.24
R.G.N.17782/2024
Cron. Rep. Ud.22/04/2025 CC
1.La Corte d’appello di Genova ha respinto il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di NOME NOME, ragioniere, volta ad accertare la illegittimità del contributo di solidarietà operato, con riferimento all’art. 13 del Regolamento di Previdenza della cassa professionale di appartenenza, in detrazione sulle rate di pensione maturate e liquidate per gli anni 2013 e 2014, con condanna della Cassa alla restituzione in favore dello stesso professionista delle ritenute operate a tale titolo, ed a dichiarare non più operabile detta detrazione per il futuro.
1.2 – La Corte territoriale, richiamate le proprie decisioni già espresse in casi analoghi, ha respinto le doglianze dell’appellante sulla legittimità del contributo di solidarietà quantomeno con riferimento a quanto previsto dall’art. 24 co.24 lett.b) del d.l. 201/2011 sulla trattenuta dell’1% a carico die pensionati nelle predette due annualità, non sussistendo la condizione di inerzia nell’assicurare condizioni di equilibrio tra entrate contributive e spese per prestazioni pensionistiche, avendo la Cassa già approvato misure dirette ad assicurare la sostenibilità finanziaria con il Regolamento di disciplina e delibera attuativa del 2008; ed ha respinto anche la doglianza inerente all’applicazione della prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale come affermato in sentenza della Corte di Cassazione n. 17742/15, pronuncia non condivisa dalla Cassa, in ragione della disciplina dell’art. 19 co. 3 L. 21/86 e della natura liquida ed esigibile del rateo pensionistico, diversamente ritenuto non pagabile.
Avverso la sentenza propone ricorso la Cassa previdenziale affidandosi a tre motivi; il professionista, intimato, non si costituisce.
3.- A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio argomentata sui principi espressi da precedenti pronunce di questa Corte inerenti a tutti i profili oggetto di ricorso, cui si aggiunge il difetto di specificità nelle allegazioni di parte, il ricorrente presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. al fine di una revisione critica del citato orientamento giurisprudenziale.
La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 22/4/2025.
CONSIDERATO CHE
L’ente ricorrente impugna la sentenza con riferimento alla applicata decorrenza decennale della prescrizione del credito di restituzione -nulla osservando sulla dichiarata illegittimità del contributo di solidarietà in decurtazione del trattamento pensionisticoe, invocando la durata quinquennale della prescrizione, si affida a due motivi di ricorso.
Con il primo motivo la Cassa Nazionale di Previdenza RAGIONE_SOCIALE a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali deduce, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione e/o mancata applicazione dell’art. 47 -bis dpr 639/70, degli artt. 2948 n.4, 2946, 2943 c.c., anche in relazione all’art. 16 Regolamento di Previdenza della Cassa del 2013, per avere la sentenza di appello erroneamente ritenuto non liquido né esigibile il credito vantato dal pensionato, laddove nei cedolini di pensione (per gli anni 2013-2016 prodotti in giudizio) era
stato possibile dimostrare il contrario essendo stati indicati con esattezza gli importi trattenuti a titolo di contributo di solidarietà, e quindi essendo stato posto il ragioniere COGNOME nella condizione di conoscere da subito l’importo che avrebbe potuto chiedere in restituzione. Ritiene quindi che, contrariamente a quanto ravvisato dalla Corte d’appello, il credito fosse liquido ed esigibile, ossia ‘pagabile’ nel senso che era in tal modo messo a disposizione dell’assicurato; non potevano, quindi, essere utilizzati i criteri ed i principi enunciati dalla Corte di cassazione con ord. n. 36550/2022 che aderiva alla sent. S.U. n.17742/2015, in cui peraltro era stata esaminata una vicenda relativa a fatti accaduti prima dell’entrata in vigore dell’art. 47 -bis DPR 639/70 (introdotto dall’art. 38 del D.l. n.38/2011 conv., in L. n.111 del 15/7/2011), dispositivo di un unico termine di prescrizione quinquennale dei ratei pensionistici, a prescindere dalla loro liquidità, e ad ogni modo l’azione del pensionato non era inquadrabile come azione di ripetizione di indebito ma come azione di esatto adempimento soggetta a termine quinquennale. Dalla mancanza di domanda sulla quantificazione degli importi chiesti in restituzione discende l’assenza di incertezze sull’importo delle trattenute operate dalla Cassa sulla pensione, e dall’epoca e natura della prescrizione dei ratei pensionistici disciplinata dal citato art. 47bis si evince che a partire dal luglio 2011 questa disposizione abbia avuto portata generale, espressione di una regola applicabile a tutti i trattamenti pensionistici obbligatori.
Con il secondo motivo la Cassa ricorrente deduce la violazione delle stesse disposizioni normative sotto altro profilo: non si controverte dei criteri di liquidazione della pensione, bensì della diversa fattispecie della applicazione ad una pensione
determinata nel suo ammontare, di un contributo di solidarietà altrettanto esattamente determinato nel suo ammontare, consistente in una quota percentuale del rateo pensionistico. Si tratta di una somma che, a differenza dell’art. 19 co. 3 L. 21/1986, non è riconducibile al credito sorto dall’indebito prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, e che non si è confuso con l’obbligazione pensionistica. Non v’era dubbio che si trattasse di un credito pagabile e, come evincibile dai cedolini di pensione, si trattava di un credito sempre determinato nel suo ammontare con possibilità di agire in restituzione sin dal mese successivo a quello di erogazione del rateo pensionistico. Anche sotto questo profilo, dunque, la prescrizione era da intendersi quinquennale.
– Con il terzo motivo la Cassa ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’ar t. 24 co.24 del d.l. n.201/2011, per avere ritenuto, la Corte di merito, che non fosse integrato il requisito della ‘inerzia’ dell’ente gestore nell’adozione di misure volte ad assicurare l’equilibrio fra entrate e spese per prestazioni pensionistiche, quale presupposto per l’applicazione del contributo dell’1% a carico dei pensionati negli anni 2012 e 2013 come previsto dal citato art. 24 co. 24; ed invece, deduce il ricorrente che il Regolamento di disciplina e la delibera del 2008 non erano stati prodotti all’interno del procedimento per cui il giudice d’appello aveva fondato la sua decisione su un documento non esistente in atti, e per tale motivo si impugnava il capo della sentenza che ha dichiarato la illegittimità del contributo di solidarietà per l’anno 2013, ed altresì l’orientamento giurisprudenziale che si era formato in ordine alla Cassa dei Dottori Commercialisti, non
corrispondenti alle disposizioni sulla Cassa dei Ragionieri. Deduce quindi illogicità e vizio di motivazione della impugnata sentenza, perché i dati informativi citati si riferiscono a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti; l’ammontare della trattenuta per l’anno 2013 era stato pari ad Euro 586,59; risultava che la Cassa aveva adottato delibere in epoca successiva al 30/9/2012 termine ultimo previsto dall’art. 24 co. 24 per l’adozione di provvedimenti ex art. 24 co. 24 (misure per l’equilibrio die bilanci furono adottate il 10/11/12 ed il 9/9/13). Ed era stata adottata l misura dell’1% perché gli organi sociali non avevano adottato misure volte ad assicurare equilibrio di bilancio. E quindi per l’anno 2013 il contributo di solidarietà era astato applicat o dalla Cassa non nell’esercizio di un potere deliberativo ma in esecuzione di una precisa prescrizione di legge.
Nelle memorie illustrative depositate in prossimità di udienza, la Cassa ricorrente, reputando di aderire all’orientamento giurisprudenziale consolidato espresso dalla Corte di Cassazione sul tema della prescrizione quinquennale, dichiara il venir meno del proprio interesse a coltivare l’impugnazione proposta sui primi due motivi di ricorso. Insiste invece per la fondatezza del terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto la legittimità del contributo di solidarietà previsto dall’art. 24 co. 24 d.l. 201/2011 ed applicato dalla Cassa, per quanto rileva nel presente giudizio, nell’anno 2013. Segnala che i cedolini erano stati allegati sin dal primo grado, e che alcuna contestazione è stata formulata in merito all’aliquota applicata sulla trattenuta né al suo importo, sicché non doveva discorrersi di difetto di autosufficienza come argomentato nella proposta di definizione accelerata; ed ancora, evidenzia che la Corte d’appello aveva erroneamente ed impropriamente richiamato un precedente
giurisprudenziale locale afferente ad altro ente previdenziale privatizzato, dotato di propria autonomia e che aveva adottato provvedimenti in relazione ad esigenze interne; e ribadisce l’erronea valutazione dell’esistenza di condizioni oggettive di inerzia, necessaria ai fini della legittima applicazione della trattenuta.
Il rag. NOMECOGNOME a cui è stato validamente notificato il ricorso il 7/8/24, non si costituisce in giudizio restando intimato.
Il ricorso è inammissibile.
6 . Preliminarmente va esclusa un’eventuale situazione di incompatibilità a comporre il collegio giudicante da parte del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata del ricorso atteso che, come precisato dalla sentenza delle Sezioni Unite n, 9611/2024, tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
I primi due motivi non sono esaminabili per sopravvenuta rinuncia espressa dal ricorrente nella memoria da ultimo depositata. Ne discende la declaratoria di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse a proseguire il giudizio in ordine al tema della prescrizione, nel duplice profilo originariamente illustrato in ricorso.
Quanto al terzo motivo di ricorso, va evidenziato che la ricorrente ritiene applicabile la disciplina del contributo di
solidarietà previsto ex lege dall’art. 24 co. 24 d.l. 201/2011 sul presupposto della propria inerzia nell’adozione entro il 30/9/2012 di misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di 50 anni, su delibere sottoposte da approvazione di Ministeri vigilanti; e, come enunciato nell’ultima parte del comma 24, decorso il predetto termine senza l’adozione dei previsti provvedimenti, si applica con decorrenza dal 1/12/2012 un contributo di solidarietà per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati, nella misura dell’1 per cento.
La Cassa ha precisato di aver adottato delibere in epoca successiva alla citata scadenza legale, il 10/11/2012 e 9/9/2013, e tuttavia non ha precisato le ragioni del tardivo adempimento nell’adozione di tali provvedimenti, tale da ritenere oggettivamente incolpevole la propria inerzia, di cui intenda giovarsi attraverso l’imposizione legale del contributo di solidarietà. Rileva che a monte della invocata condizione di inerzia si riscontra un’imposizione contributiva di solidarietà la cui trattenuta, in giudizio di merito, è stata ritenuta illegittima in quanto prevista da fonte regolamentare inidonea, sì da fondarne la ragione restitutoria, non oggetto di ricorso per violazione di legge, e ripetibile nei limiti della prescrizione decennale, come definitivamente accertato nei gradi di giudizio.
Va anche osservato che la doglianza si basa su una invocata rivalutazione probatoria della documentazione prodotta concernente i cedolini pensionistici degli anni 2013-2016, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità; e ad ogni modo, la doglianza non è adeguatamente supportata da specificità. Infatti, nel corpo del ricorso per cassazione sono riprodotti in
copia fotostatica i duplicati di alcuni cedolini pensionistici (recte, certificazioni pensionistiche annuali), prive di annotazioni di avvenuta ricezione per il destinatario NOME NOMECOGNOME e della documentata descrizione analitica mensile delle disposte ritenute; premesso che manca, nelle causali delle voci determinative della pensione annuale, l’indicazione dell’entità percentuale a cui corrisponde il prelievo -ritenuta- destinato al contributo di solidarietà, va altresì evidenziato che per l’anno 2013, in particolare, non è specificato se il contributo di solidarietà sia stato quantificato nella misura dell’1% rispetto all’ammontare pensionistico imponibile di base ‘ al netto del contributo di solidarietà ‘ piuttosto che commisurato alla pensione lorda complessiva (il che ne dimostrerebbe la natura ‘non pagabile’ per l’incertezza della entità messa a disposizione del creditore); ai soli fini comparativi -poiché il ricorso sembra essere stato ristretto al solo contributo per l’anno 2013 -, si osserva che per l’anno 2014 non v’è alcuna corrispondenza percentuale della voce contributo di solidarietà rispetto alla pensione lorda, né alcuna illustrazione specifica è stata riportata nell’atto di ricorso. Ed ancora, per l’anno 2012, anch’esso rientrante nella disposizione legislativa sul contributo di solidarietà ex art. 24 co. 24, non v’è alcuna allegazione.
11. Le ragioni esplicate nella proposta di definizione accelerata, sul punto, sono ampiamente condivisibili, laddove si afferma che ‘ il motivo, tuttavia, non allega in modo specifico i documenti su cui si fonda ‘ e che il ricorrente ‘ non trascrive e nemmeno riporta in modo compiuto i cedolini pensione degli anni in contestazione, da cui possa desumersi che effettivamente fu applicata l’aliquota dell’1% sul montante pensionistico, in aderenza all’art. 24 co.24 ‘.
La tesi attrice, secondo la quale conformemente a quanto disposto dalla norma, la Cassa non sarebbe riuscita entro il 30.9.3012 ad adottare misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni ed avrebbe quindi applicato il contributo di legge, non è adeguatamente supportata né dalla ragione della assenza di una previgente disposizione regolamentare idonea a giustificare l’imposizio ne contributiva con finalità di equilibrio di bilancio, né da una specifica allegazione di documenti su cui si siano fondati i prelievi mensili, non trascrivendo e nemmeno riportando gli importi liquidati sui singoli ratei di pensione negli anni 2012 e 2013, da cui possa desumersi che effettivamente fu applicata l’aliquota dell’1% sul montante pensionistico, in aderenza all’art. 24, comma 24, cit. Sul punto, è già stata affermata, in tali simili condizioni, l’ inammissibilità del ricorso, come da ordinanza resa di recente da questa Corte in un caso analogo (Cass. n. 2514/2025).
Il ricorso va dunque complessivamente dichiarato inammissibile.
Non si dà seguito alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado in mancanza di costituzione in giudizio della controparte, rimasta intimata.
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380bis cpc, stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso ivi indicato, sussistano solo i presupposti per l’applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. La norma che ad essa fa rinvio sottende una valutazione legale tipica per la quale l’applicazione delle
disposizioni degli ultimi due commi dell’art. 96 cpc. non è discrezionale ma discende dalla definizione del giudizio conforme alla proposta, ancorché sia necessario, a mente del citato terzo comma, che ricorra anche una situazione che consenta una pronuncia sulle spese, condizione non sussistente nel caso in esame.
La ratio della applicazione legale del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. si attesta, a differenza della previsione del terzo comma ancorata alla funzione deflattiva sul piano dell’aggravamento delle spese processuali quando su di esse vi sia stata una contestuale pronuncia di condanna, ad una funzione precipuamente deterrente e sanzionatoria come richiesta dalla definizione del giudizio di cassazione conforme alla proposta di definizione accelerata di cui all’ultimo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., e prescinde dalla necessità di una situazione che consenta una pronuncia sulle spese. Nel caso di decisione conforme alla proposta ex art. 380-bis, terzo comma c.p.c., appare comunque consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si sostituisce quello previsto dallo stesso terzo comma dell’art. 380 -bis, vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta. Anche le Sezioni Unite (ord. n. 27165/2023) si sono occupate della questione, essendo stato dato ulteriore rilievo alla funzione deterrente e, al tempo stesso, sanzionatoria della proposta di definizione accelerata rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori con applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ . nel caso di definizione del giudizio in conformità alla proposta; ove si verifichi tale evenienza, il terzo comma dell’art. 380 -bis prevede, infatti, senza mediazione di alcun’altra verifica, l’«applicazione» dell’art. 96, co.4, c.p.c., utilizzando una
locuzione che « chiaramente evoca direttamente l’azione performativa che detta norma demanda al giudice, piuttosto che la fattispecie legale da essa presupposta », precisando, altresì, che « l’art. 380 -bis, terzo comma, recupera dunque, in parte qua, un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiettivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato quarto comma dell’art. 96 si prescinda dai casi ivi previsti in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta ». La ratio della disposizione in esame è dunque diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, con l’ulteriore osservazione che « quella prevista dal quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. è sanzione disposta a favore della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, terzo comma ». Nuovamente (ord. n.36069/2023) le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, co. 3, c.p.c. nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’ applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto.
Orbene, nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare
l’inammissibilità del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso fa seguito, quindi, la condanna del ricorrente al pagamento della sanzione di cui al quarto comma art. 96, da versare alla Cassa delle Ammende, liquidata come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente in favore al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione