Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13847 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13847 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22025-2023 proposto da
RAGIONE_SOCIALE E ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata in calce all’istanza di decisione, dall’avvocata NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio, in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
VISCO COGNOME
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 1881 del 2023 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 4 maggio 2023 (R.G.N. 2489/2021). Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 1881 del 2023, depositata in cancelleria il 4 magg io 2023, la Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti
R.G.N. 22025/2023
COGNOME
Rep.
C.C. 28/2/2025
giurisdizione Contributo di solidarietà applicato dalla Cassa Commercialisti. Illegittimità. Prescrizione.
(d’ora innanzi , denominata Cassa commercialisti) e ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva dichiarato l’illegittimità dell e trattenute effettuate dalla Cassa commercialisti, a titolo di contributo di solidarietà, sulla pensione di vecchiaia corrisposta al dottor NOME COGNOME e aveva condannato l’ente previdenziale a restituire gl’importi arbitrariamente prelevati, nei limiti della prescrizione decennale, e detratto quel che era dovuto per il biennio 20122013, ai sensi dell’ art. 24, comma 24, lettera b ), del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che il prelievo imposto dalla Cassa commercialisti è lesivo del principio del pro rata ed è carente della base legislativa che l’art. 23 Cost. pone come requisito indefettibile.
Al caso di specie si applica, inoltre, la prescrizione decennale, trattandosi di ordinaria azione di ripetizione d’indebito, connessa con una ritenuta arbitraria, e non di una riliquidazione di trattamenti pensionistici.
-La Cassa commercialisti impugna in sede di legittimità la sentenza d’appello , articolando due motivi di censura.
-Il dottor NOME COGNOME non ha svolto in questa sede attività difensiva.
-Il Consigliere delegato, ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso, ha formulato una sintetica proposta di definizione del giudizio (art. 380bis , primo comma, cod. proc. civ.).
-La parte ricorrente ha chiesto la decisione (art. 380bis , secondo comma, cod. proc. civ.).
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
9. -All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e poi interpretato dall’art. 1, comma 488, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, degli artt. 2, 3 e 23 Cost., anche in relazione e combinato disposto con le delibere della Cassa n. 4 del 2008, n. 3 del 2013, n. 10 del 2017, emanate anche in virtù dell’art. 22 del R egolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con decreto ministeriale 14 luglio 2004, dell’art. 115 cod. proc. civ.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel reputare illegittimo il contributo di solidarietà, che la Cassa avrebbe imposto nel l’esercizio dei più ampi poteri riconosciuti dall’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, allo scopo di conseguire l’equilibrio finanziario di lungo termine. Tale circostanza emergerebbe dalle risultanze documentali acquisite (relazione di bilancio tecnico), trascurate dalla sentenza d’appello. Il prelievo effettuato dalla Cassa commercialisti non solo sarebbe espressione dell’a utonomia riconosciuta agli enti previdenziali privatizzati, legittimati all’adozione di ogni più appropriato provvedimento, ma sarebbe rispettoso dei princìpi di ragionevolezza e di gradualità (Corte costituzionale, sentenza n. 173 del 2016) e sarebbe sorretto da un solido fondamento normativo, confermato, da ultimo, dalle previsioni dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201 del 2011. Né si potrebbe opporre un principio d’intangibilità dei trattamenti pensionistici.
2. -Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), in via gradata, la ricorrente prospetta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, della legge 29 gennaio 1986, n. 21, dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 47 -bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, degli artt. 3 e 38 Cost.
La sentenza d’appello sarebbe censurabile anche per avere applicato la prescrizione decennale, a dispetto alla normativa speciale dettata dall’art. 19, comma 3, della legge n. 21 del 1986 e del carattere di liquidità che assisterebbe il credito dedotto in causa, con conseguente operatività della regola generale s ancita dall’art. 2948, n. 4, cod. civ. Peraltro, il caso di specie, contraddistinto dall’erogazione di prestazioni previdenziali obbligatorie, sarebbe assoggettato alla prescrizione quinquennale anche in base all’art. 47 -bis del d.P.R. n. 639 del 1970, che esprimerebbe «una regola di sistema» (pagina 25 del ricorso per cassazione).
3. -Su tutti i profili controversi è oramai consolidato l’orientamento di questa Corte e tanto la sentenza impugnata quanto la proposta di definizione l’hanno puntualmente recepito.
I l ricorso e la memoria illustrativa depositata dopo l’istanza di decisione non inducono a rimeditare i princìpi di diritto ribaditi a più riprese, anche in séguito alle istanze di decisione formulate dall’odierna ricorrente (di recente, fra tutte, in controversie sovrapponibili a quella odierna, Cass., sez. lav., 26 aprile 2025, n. 10992, n. 10989, n. 10988, n. 10987, n. 10984, n. 10983, n. 10982, n. 10981, n. 10971, n. 10970, n. 10955, n. 10952; negli stessi termini, già Cass., sez. lav., 31 marzo 2025, n. 8489).
L’impugnazione si rivela, pertanto, inammissibile, alla stregua dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ.
4. -Quanto alla legittimità del contributo di solidarietà, approfondita nel primo motivo di ricorso, questa Corte ha puntualizzato in molteplici occasioni che il potere d’imporlo deve trovare il suo
univoco fondamento nella legge, alla stregua dell’art. 23 Cost. Si tratta, invero, di un prelievo riconducibile al genus delle prestazioni patrimoniali imposte, che spetta al legislatore fissare nei suoi elementi essenziali (Cass., sez. lav., 10 dicembre 2018, n. 31875), in quanto non si annovera tra i provvedimenti che le Casse, per espressa previsione di legge, possono adottare.
È questo il profilo dirimente, che si pone in coerenza con le indicazioni della pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 173 del 2016) richiamata dalla stessa parte ricorrente.
Dalla scelta del legislatore di temperare il sistema del pro rata (legge 296 del 2006) non si può evincere alcun fondamento per il potere della Cassa d’imporre un contributo che interferisce con aspetti diversi.
Né tale potere può vantare alcun crisma di legittimità per il fatto che non si possa trarre dal sistema un generale e indifferenziato principio d’immutabilità del trattamento pensionistico. Il punto nodale è la carenza di fondamento legislativo, in contrasto con la garanzia presidiata dall’art. 23 Cost.
Quanto all ‘art. 1, comma 488, della legge n. 147 del 2013, menzionato dalla ricorrente, esso fa salvi i soli provvedimenti legittimamente assunti dalla Cassa, allo scopo d’incidere sui criteri di determinazione dei trattamenti previdenziali, rigorosamente intesi.
Peraltro, «la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente» (sentenza n. 31875 del 2018, cit., punto 7 delle Ragioni della decisione ).
Tali considerazioni sono avvalorate dalle stesse previsioni dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che la ricorrente richiama a sostegno delle censure.
Anzitutto, è il legislatore che, in quel frangente, ha delimitato i presupposti applicativi del contributo di solidarietà e ne ha stabilito in via imperativa la misura, fornendo una precisa base legale al prelievo in esame.
In secondo luogo, il legislatore, con lo strumento della decretazione d’urgenza, ha mostrato di attribuire rilievo primario alle misure di riequilibrio di lungo periodo, con ciò differenziandole, all’evidenza, dal contingente contributo imposto dalla Cassa commercialisti in virtù delle delibere qui contestate.
-Dev’essere ribadita, infine, l’applicabilità della prescrizione decennale, che il secondo motivo contesta.
In consonanza con i princìpi già enunciati dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., 8 settembre 2015, n. 17742), questa Corte è costante nell’affermare che la prescrizione quinquennale, invocata dalla Cassa commercia listi, richiede la liquidità e l’ esigibilità del credito. Il credito, dunque, dev’esser posto a disposizione dell’assicurato.
Tali requisiti non sussistono allorché «il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo» (Cass., sez. lav., 25 ottobre 2022, n. 31527, punto 15 delle Ragioni della decisione ).
Nel caso di specie, si discute de ll’indebita trattenuta «derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata» (Cass., sez. lav., 3 gennaio 2025, n. 68).
Non è conferente, in senso contrario, il richiamo all’art. 47 -bis del d.P.R. n. 639 del 1970, dettato nell’àmbito delle prestazioni erogate
dall’INPS, come la stessa collocazione sistematica della disciplina conferma, e concernente la disciplina dei «trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88».
Peraltro, a tutto concedere, «la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata» (sentenza n. 31527 del 2022, cit., punto 17 delle Ragioni della decisione ).
Tale orientamento è stato confermato anche nello scrutinio degli argomenti critici sviluppati dalla Cassa commercialisti a sostegno delle istanze di decisione (Cass., sez. lav., 28 agosto 2024, n. 23257) e la memoria illustrativa (pagine 6, 7 e 8) non apporta argomenti che possano indurre a una revisione critica di princìpi oramai saldamente acquisiti.
-Il ricorso, dunque, dev’essere dichiarato nel suo complesso inammissibile.
-Non si devono regolare le spese del presente giudizio, in quanto la parte evocata in causa non ha svolto attività difensiva.
-Per quanto il giudizio sia stato definito in conformità alla proposta, non si può fare applicazione dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.: tale disposizione, richiamata dall’art. 380 -bis , terzo comma, cod. proc. civ., presuppone una pronuncia sulle spese alla stregua dell’art. 91 cod. proc. civ. e una pronuncia di tal fatta, nel caso di specie, non si riscontra, in mancanza di costituzione della controparte.
Diverso discorso si deve svolgere con riferimento all’applicabilità dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., disposizione richiamata dal
medesimo art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ., in una prospettiva eminentemente pubblicistica.
Come questa Corte ha affermato anche di recente (Cass., sez. lav., 1° marzo 2025, n. 5422, punto 8 delle Ragioni della decisione ), n ell’ipotesi di decisione conforme alla proposta, tale richiamo vale a disporre, con autonoma valenza precettiva e senza ulteriori specificazioni, la condanna in favore della cassa delle ammende.
Emerge nitida la ratio legis , che mira comunque a disincentivare la richiesta di decisione e a sanzionare condotte meramente defatigatorie (Cass., S.U., 22 settembre 2023, n. 27195, e, in senso conforme, Cass., sez. III, 4 ottobre 2023, n. 27947), anche nell’ipotesi di mancata costit uzione della controparte. L’operatività di un meccanismo sanzionatorio, coessenziale alla stessa funzionalità dell’assetto deflattivo prefigurato dal legislatore, sarebbe altrimenti condizionata da un evento accidentale e aleatorio e la stessa efficacia del sistema sarebbe così complessivamente svilita.
Non ravvisandosi ragioni, nel caso concreto, per disattendere la valutazione legale tipica di abuso del processo, sottesa alla decisione del giudizio in conformità alla proposta di definizione (Cass., S.U., 27 dicembre 2023, n. 36069), si determina in Euro 2.500,00 la somma dovuta dalla ricorrente alla cassa delle ammende ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
9. -La declaratoria d’inammissibilità del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo della ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente, in applicazione degli artt. 380bis , terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ., al pagamento, in favore della cassa delle ammende, dell’importo di Euro 2.500,00.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione