Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20392 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20392 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20159-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti – ricorrenti incidentali nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE SOCIO UNICO;
ricorrente principale – controricorrente incidentale –
Oggetto
RETRIBUZIONE
R.G.N. 20159/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
avverso la sentenza n. 1495/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/04/2023 R.G.N. 358/2019 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, in riforma del provvedimento del Tribunale di Viterbo, ha respinto la domanda dei lavoratori indicati in epigrafe proposta nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE socio unico per il pagamento, in qualità di autisti addetti al servizio di trasporto pubblico, del contributo regionale integrativo per la produttività per gli anni dal 2009 in poi.
La Corte territoriale ha accertato che con Protocollo di intesa del 23.1.2004 – stipulato tra gli Assessorati al Bilancio e Trasporti della Regione Lazio e le organizzazioni sindacali – la Regione Lazio si era impegnata, fra l’altro, a stanziare (sul proprio bilancio) determinate somme al fine di implementare «i livelli retributivi dei lavoratori del TPL del Lazio nell’ambito della contrattazione regionale»; che, con il successivo accordo sindacale del 26/27.1.2004, la Regione Lazio precisava che le risorse economiche sarebbero state erogate alle imprese pubbliche e private e che dette imprese, tramite incontri a livello aziendale con le organizzazioni sindacali, avrebbero individuato le modalità di erogazione; che la Regione Lazio, a decorrere dal 2009, ha sospeso lo stanziamento in bilancio collegato al premio di produttività (posto che da tale anno il finanziamento non è più stato confermato dal legislatore regionale in sede di approvazione dei bilanci); la Corte ha, poi, precisato che in sede aziendale (accordo del 4.10.2004), la società e le organizzazioni sindacali avevano concordemente dichiarato che il contributo era direttamente finanziato dalla Regione e che nessuna
obbligazione ulteriore e diversa poteva ritenersi sorta a carico della società datrice di lavoro se non quella della mera corresponsione a favore dei lavoratori, sul presupposto dell’effettiva erogazione del relativo finanziamento regionale (trattasi, dunque, di una obbligazione sottoposta a condizione sospensiva). La Corte territoriale ha sottolineato che, dal tenore complessivo degli accordi intercorsi, emergeva che: il contributo erogato nel periodo iniziale era connesso al mancato rinnovo contrattuale e all’apporto in termini di produttività dato dai lavoratori; b) il contributo, secondo quanto chiesto dalle organizzazioni sindacali, rientrava nel premio di risultato e quindi era un elemento della retribuzione a carattere variabile, la cui corresponsione era condizionata al raggiungimento di un obiettivo predeterminato al fine di incrementare la produttività e la competitività dell’azienda; c) per il periodo successivo, l’erogazione, sebbene di carattere permanente, presupponeva pur sempre il raggiungimento degli obiettivi di efficienza, produttività, funzionalità, competitività, previa individuazione di idonee iniziative sotto forma di progetti; d) l’erogazione era condizionata alla disponibilità delle relative erogazioni da parte della Regione Lazio.
3. La Corte territoriale ha, inoltre, aggiunto che la suddetta interpretazione degli accordi collettivi era l’unica in linea con l’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 (con il quale si vieta di erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese), che esprimeva un principio estensibile al settore pubblico allargato, nonché con l’art. 40, comma 3 bis, del medesimo d.lgs. come novellato dall’art. 54 del d.lgs. n. 150 del 2009 (che ribadisce la fisiologica finalizzazione della contrattazione collettiva all’obiettivo del conseguimento di ‘adeguati livelli di efficienza e
produttività dei servizi pubblici’, ed era già stato precedentemente posto dall’art. 2, comma 32, della legge n. 203 del 2008); principi analoghi di riduzione dei costi del personale attraverso il contenimento degli oneri contrattuali erano posti anche dal l’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e dall’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, così come la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007, art. 301) ha vietato finanziamento dello Stato alle Regioni per i rinnovi contrattuali connessi al settore dei trasporti pubblici locali. Infine, i giudici del merito hanno respinto la domanda di restituzione degli importi dedotti dalla società quale adempimento alla sentenza (di accoglimento) del giudice di primo grado rilevando che le buste paga non quietanzate non costituivano prova dell’avvenuto pagamento.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società con due motivi; i lavoratori hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 115, 416, 420, 436 c.p.c. e 111 Cost. avendo, la Corte territoriale, erroneamente respinto la domanda (espressamente contenuta nel ricorso in appello) di restituzione delle somme pagate dalla società in esecuzione della sentenza di primo grado, pagamento non contestato dai lavoratori (che si sono limitati a contestare, in diritto, i motivi di appello, senza contestare l’incasso delle somme) e dimostrato analiticamente
sia con la produzione di un prospetto riepilogativo sia tramite produzione delle relative buste paga.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, trascurato di far ricorso agli elementi, gravi, precisi e concordanti, che fondavano la prova per presunzioni, anche considerando che l’atto di precetto (notificato dai lavoratori, all’esi to del giudizio di primo grado, in data 12.2.2019) non ha avuto alcun seguito e che all’udienza chiesta dalla società ai fini dell’inibitoria e ntrambe le parti hanno dichiarato che l’esecuzione non era ancora iniziata; è, dunque, del tutto verosimile che -dichiarata inammissibile l’inibitoria (in quanto l’esecuzione non era ancora iniziata) -i lavoratori siano stati pagati; invero, con lo stipendio da marzo a luglio 2019 (ossia con le buste paga del periodo immediatamente successivo all’udienza di inibitoria) sono state erogate (a rate) le somme riconosciute a ciascun lavoratore dal giudice di primo grado (nelle buste paga risulta, altresì, la voce ‘PRECETTO CONTR.AGG.REGION’), e nessun lavoratore si è mai lamentato che il datore di lavoro non abbia erogato la retribuzione delle suddette mensilità
3. Con il primo ed unico motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7, 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, 18 del d.l. n. 112 del 2008, 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, 11 e 14 disposizioni sulla legge in generale, 1321, 1322, 2099, 2103. 1362 c.c. in relazione all’interpretazione degli accordi sindacali 23.1.2004, 27.1.2004 e 4.10.2004 avendo, la Corte territoriale, erroneamente affermato che l’erogazione del contributo regionale è condizionato al raggiungimento degli obiettivi di efficienza, di produttività, di funzionalità e di competitività: invero, non può ritenersi
applicabile, alle società partecipate da amministrazioni pubbliche o da enti pubblici territoriali, il d.lgs. n. 165 del 2001 perché configura una disciplina speciale dettata per il settore del pubblico impiego (al quale non appartengono i lavoratori, auto ferrotranvieri, della presente causa); inoltre, l’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 (peraltro abrogato dall’art. 28, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 175 del 2016) era applicabile alle società di trasporti pubblici locali a totale partecipazione pubblica solamente con riguardo al profilo del reclutamento del personale; l’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 non prevede l’applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001 ma esclusivamente che le società controllate attuino, in sede di contrattazione di secondo livello, e ‘ove possibile’, gli obiettivi specifici fissati dall’ente pubblico controllante, obiettivi che non sono risultati adottati dalla Regione Lazio. La corretta interpretazione degli accordi sindacali stipulati nel 2004 (Protocollo del 23.1.2004 e Accordo regionale del 27.1.2004), effettuata alla luce della normativa vigente all’epoca, porta a ritenere che le parti sociali hanno previsto trattamenti integrativi sganciati da qualsiasi rapporto di corrispettività con le prestazioni rese e con l’incremento di performance e che il diritto dei lavoratori è stato previsto in misura fissa e in maniera ‘permanente’, al fine di ‘garantire un’adeguata crescita dei livelli retributivi degli Autoferrotranvieri’.
4. Va esaminato preliminarmente il ricorso incidentale posto che sottopone ad impugnazione i capi di sentenza che non hanno riconosciuto il diritto alla contribuzione integrativa in capo ai lavoratori (presupposto costitutivo per il diritto alla ripetizione, vantato dalla società); il ricorso è inammissibile e, per la parte residua, non è fondato.
4.1. Come più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319 del 2017; conforme, da ultimo, Cass. n. 16987 del 2018; Cass. n. 30137 del 2021; Cass. n. 34687 del 2023).
4.2. La censura ha meramente enunciato i canoni interpretativi asseritamente violati, senza alcuna specificazione delle ragioni nè del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. n. 13717/2016; Cass. n. 15350/2017), concentrandosi sul risultato interpretativo in sè (Cass. n. 2465/2015; Cass. n. 10891/2016), così contrapponendo una propria interpretazione a quella della Corte di appello (Cass. n. 669/2009; Cass. 27197/2011), peraltro ben plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. n. 4178/2007), congruamente argomentata e pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11254/2018).
4.3. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che dal chiaro tenore dell’accordo aziendale sottoscritto dalla società e dalle organizzazioni sindacali in data 4.10.2004 (interpretato anche alla luce degli impegni assunti dalla Regione Lazio con le organizzazioni sindacali nel Protocollo di intesa 23.1.2004 e nell’accordo sindacale 9.3.2003) emergeva la volontà delle parti di condizionare il pagamento del contributo integrativo da parte del datore di lavoro all’effettivo e concreto finanziamento ott enuto dalla Regione Lazio; ha, inoltre, accertato che dall’anno 2009 la Regione Lazio non ha più effettuato stanziamenti in bilancio per la suddetta erogazione; ebbene, il ricorrente non ha fornito la precisazione del modo attraverso il quale si è realizza ta la violazione dell’unico canone esegetico astrattamente richiamato (art. 1362 c.c.), concentrandosi esclusivamente sulla seconda ratio decidendi illustrata dai giudici di merito (e concernente la coerenza dell’interpretazione fornita degli accordi sindacali con la legislazione vigente in materia di amministrazioni pubbliche e di società controllate). 4.4. Con riguardo, poi, alla necessità di agganciare l’erogazione del contributo al raggiungimento di livelli di produttività e di efficienza, il motivo non è fondato in quanto questa Corte ha recentemente affermato che il d.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19 prevede, quanto alla gestione dei rapporti, il potere del socio pubblico di fissare «con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all’art. 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto
opera». Il legislatore, dunque, attraverso la previsione di un obbligo, posto a carico della società, di perseguire nelle politiche inerenti al personale il contenimento dei costi, indirettamente gravanti sulla spesa pubblica, ha fissato una regola di comportamento per gli amministratori delle partecipate, che incide sul rapporto che si instaura fra il socio pubblico e la società e può essere fonte di responsabilità, eventualmente anche erariale, ai sensi del richiamato d.lgs. n. 175 del 2016, art. 12 (Cass. n. 35421/2022, in motivazione, sub p.ti 7.1 e 7.2.; nello stesso senso, Cass. n. 27466/2023). Inoltre, questa Corte ha già ritenuto legittima la riduzione (e il conseguente recupero) di compensi incentivanti ove tale diritto non si sia perfezionato nei suoi elementi costitutivi, integrati (oltre che dalla prestazione lavorativa, anche) dalla compiuta verifica del raggiungimento degli obiettivi e dalla ripartizione dell’apposito fondo a seguito di accordo sindacale (Cass. n. 25161/2015) e, nello stesso senso, la Corte dei Conti ha sottolineato come, anche per le società in house, la distribuzione di trattamenti accessori collegati all’efficienza e al buon andamento dell’attività della società controllata da amministrazione/ente pubblico debbono soggiacere alla previa valutazione dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi (senten za n. 254/2014).
4.5. Ebbene, la sentenza impugnata ha, nel rispetto degli usuali canoni esegetici, rilevato che gli accordi intercorsi con la Regione Lazio e, in sede aziendale, con le organizzazioni sindacali (nell’anno 2004) condizionavano la corresponsione del premio di produttività ad obiettivi di efficienza, funzionalità e competitività, previa individuazione di idonee iniziative sotto forma di progetti (del tutto mancanti) ed ha, inoltre, sottolineato che tale interpretazione si poneva in linea di coerenza con le
statuizioni normative vigenti in materia di pubblico impiego contrattualizzato e di società controllate da enti pubblici, come previste dapprima dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e, poi, dall’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016.
Il ricorso principale non è fondato.
5.1. Come questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 10484 del 2004; Cass. n. 2668 del 2000; Cass. n. 914 del 1999; Cass. n. 30462 del 2023), la prova per presunzione semplice (art. 2729 cod.civ.) ha la stessa dignità e rilevanza processuale degli altri mezzi di prova c.d. libera, affidata al prudente apprezzamento del giudice. Inoltre, “spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità” (Cass. n. 22366 del 2021).
5.2. Questa Corte ha affermato che le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta” (circostanza non riscontrata nel caso di specie), costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore; pertanto, nessuna violazione in ordine al riparto degli oneri probatori è ravvisabile nell’enunciato della Corte territoriale, la quale ha negato ai prospetti paga, privi di alcuna indicazione, il valore di quietanza e, quindi, di prova riguardo alla concreta corresponsione delle somme in essi riportate, e ciò in base ad una valutazione di merito, incensurabile in questa
sede.
In conclusione, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno rigettati e le spese di lite sono compensate interamente tra le parti in considerazione della reciproca soccombenza.
Sussistono per entrambi i ricorrenti le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente pri ncipale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 maggio