Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21634 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21634 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8018/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (-) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3356/2021 depositata il 16/09/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3356 del 16.9.2021, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 126 del 26.1.2017 con cui il Tribunale di Benevento ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 433/2015 con cui era stato intimato alla Regione Campania il pagamento della somma di € 20.085,96, quale parte residua (pari al 65%) del contributo dell’importo complessivo di € 28.530,69, al medesimo concesso giusta l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, per i danni causati agli immobili di sua proprietà a seguito dell’alluvione dei giorni 24, 25 e 26 gennaio 2003.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che, nel quadro delle previsioni dell’art. 4 dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, il commissario delegato per l’attuazione degli interventi resi necessari dallo stato di emergenza cagionato dagli eventi alluvionali di fine gennaio 2003 aveva, sulla scorta della propria ordinanza n. 17/2004, con successiva sua ordinanza n. 3/2007 disposto di fissare nella misura del 35% l’acconto del complessivo importo ammesso a contributo e liquidabile agli aventi diritto.
In particolare, il giudice d’appello ha messo in luce che i provvedimenti summenzionati avevano rimesso al commissario la discrezionale determinazione del contributo da erogare ai privati entro il limite ‘delle risorse assegnate’, ovvero dei finanziamenti ottenuti, ed entro il limite di euro 30.000,00 per ciascun privato cittadino, prevedendo che i contributi costituissero anticipazioni ‘su future provvidenze a qualunque titolo previste’.
Ad avviso della Corte d’Appello era da escludersi , quindi, che con l’emanazione dei decreti sindacali fosse sorto il diritto soggettivo perfetto all’erogazione del contributo, che necessitava, invece, del suo successivo riconoscimento nella sede amministrativa di competenza del Commissario delegato, al quale spettava il compito di determinare secondo i criteri dettati dalla normativa emergenziale l’an, il quomodo ed il quantum dei contributi e delle provvidenze, comunque entro i limiti imposti dalle disponibilità finanziarie specificamente destinate.
Dunque, con l’emanazione dei decreti sindacali non era sorto il diritto soggettivo perfetto all’erogazione del contributo, che necessitava, invece, del suo successivo riconoscimento nella sede amministrativa di competenza del Commissario delegato.
In sostanza, il diritto al pagamento del saldo era subordinato all’adozione di un nuovo ed ulteriore provvedimento amministrativo del Commissario (o della Regione a questi successivamente subentrata) che doveva tenere conto delle residue possibilità finanziarie.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo ad un unico articolato motivo.
La Regione Campania ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ. nell’interpretazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003, dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 17/2004, e dell’Ordinanza commissariale n. 3/2007.
Espone il ricorrente che il giudice d’appello ha violato le disposizioni sopra menzionate, per aver ignorato gli artt. 1, 4 e 5 dell’O.P.C.M. n. 3322/03, che concedevano direttamente al Commissario il
potere di erogare i contributi fino ad un massimo di € 30.000,00, senza limitarlo alla concessione del 35%, trascurando così di leggere il provvedimento considerando tutte le sue previsioni.
Deduce il ricorrente che non occorreva alcun altro ulteriore provvedimento amministrativo che accertasse il contributo già riconosciuto dai decreti sindacali, non avendo la Corte d’Appello attribuito l’esatto significato alle parole ‘future provvidenze a qualunque titolo previste’: in quanto future e a qualunque titolo concesse, non potevano che riferirsi a indennizzi non ancora contemplati, e perciò non a quelli già autorizzati dall’O.P.C.M. fino a € 30.000,00 che, proprio, perché già stabiliti, non avrebbero potuto essere considerati futuri.
2. Il ricorso è inammissibile.
Va osservato che il ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione delle norme di interpretazione contrattuale, intende, in realtà, sollecitare una diversa ed alternativa interpretazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e commissariale, non considerando che, secondo gli insegnamenti di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 25.7.2019, n. 20181; Cass. sez. lav. 23.7.2010, n. 17367), l’interpretazione dell’atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della RAGIONE_SOCIALE, è riservata al giudice di merito e soggiace alle regole dettate per l’interpretazione dei contratti.
Pertanto, l’interpretazione dell’atto amministrativo, come l’interpretazione del contratto, proprio perché si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, è censurabile in cassazione solo per violazione delle regole ermeneutiche ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ., ovvero per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. sez. lav. 4.4.2022, n. 10745), non potendo consistere in una critica
del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.
Pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’una in luogo dell’altra (cfr. Cass. n. 4178/2007; Cass. n. 10131/072.5.2006, n. 10131; Cass. n. 17367/2010 cit., secondo cui, con riferimento all’interpretazione di un atto amministrativo, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica).
Nel caso di specie, il ricorrente, nel sollecitare l’accoglimento della propria interpretazione delle disposizioni delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e di quella commissariale, ha apoditticamente censurato la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., senza precisare quindi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dai relativi criteri di ermeneutici. In particolare, lo stesso ricorrente ha affermato che gli artt. 1, 4 e 5 dell’O.P.C.M. n. 2233/03 concedevano direttamente al Commissario il potere di erogare i contributi fino ad un massimo di € 30.000,00, senza limitarlo alla concessione del 35%, non confrontandosi minimamente con le precise argomentazioni della sentenza impugnata, che, in più riprese, ha evidenziato che il potere di determinazione dell’entità dei contributi è stata rimessa alla valutazione del Commissario ‘entro i limiti delle risorse assegnate’.
Infine, il ricorrente ha lamentato la violazione del criterio di interpretazione letterale per non aver la Corte d’Appello condiviso il significato dallo stesso attribuito all’espressione ‘future provvidenze a qualunque titolo previste’, con ciò non facendo che
sollecitare solo una delle possibili interpretazioni plausibili di tale espressione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, così deciso il 4.6.2024