Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14965 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14965 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32411/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’av vocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1512/2020 depositata il 28/04/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME chiedeva e otteneva decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti della Regione Campania, a titolo di saldo del contributo già liquidato in acconto, per danni conseguenti alla emergenza idrogeologica e agli eventi alluvionali del 24 -25 -26 gennaio 2003, come da ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3322/2003 e successiva ordinanza del commissario governativo n. 3/2007.
La Regione Campania proponeva opposizione, che era accolta dal Tribunale di Benevento, il quale riteneva che la erogazione del contributo nella misura del 35% non comportasse il diritto al versamento del saldo.
COGNOME proponeva appello che la Corte d’appello di Napoli respingeva, sul rilievo che alla pubblica amministrazione era attribuito il potere di erogare il contributo fino a un massimo di 30.000,00 euro, lasciando, quindi, alla valutazione del commissario di governo, purché entro i limiti delle risorse assegnate, la determinazione del contributo, mentre la definizione della suddetta erogazione quale acconto non era indicativa dell’esistenza del diritto ad ottenere il saldo.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidato ad un motivo, resistito con controricorso dalla Regione. Il ricorrente ha depositato memoria.
RITENUTO CHE
1. -Con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1367 cod. civ.. Deduce che ha errato la Corte di Napoli nell’interpretazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM) n. 3322/2003 e dell’ordinanza del commissario delegato n. 3/2007. Secondo il ricorrente gli artt. 1, 4 e 5 dell’OPCM n. 3322/2003 non dettano norme di indirizzo, ma
accordano direttamente al commissario il potere di erogare contributi entro l’importo massimo di euro 30.000,00, senza limitarlo alla concessione del 35%. Rileva che la Corte di merito non ha tenuto conto, in violazione delle regole dell’interpretazione letterale, che l’ordinanza n. 3322/2003 distingue tra acconti, contributi e anticipazioni, sicché “anticipazione” non è da intendere quale sinonimo di “acconto”. Osserva che agli atti amministrativi si applicano, in quanto compatibili, le norme relative all’interpretazione dei contratti e che il commissario di governo, cui spettava la determinazione del contributo, aveva sua volta delegato il Comune di Baselice per la pubblicizzazione dell’avviso e per la ricezione delle domande degli interessati e dello svolgimento dell’istruttoria; il Comune di Baselice aveva quindi trasmesso al commissario l’elenco degli aventi diritto, tra cui il COGNOME, per la somma complessiva di euro 27.014,65. Con successiva ordinanza 3/2007 il commissario di governo, rilevato che le disponibilità finanziarie consentivano di coprire circa il 35% dei contributi stabiliti e fissati con i decreti sindacali, disponeva di fissare nel 35% la misura dell’acconto complessivo liquidabile agli aventi diritto. Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere che, in base a questo provvedimento, non spettasse il saldo nella misura prefissata, ma soltanto l’acconto.
-Il motivo è infondato e va rigettato, anche alla stregua di un recente arresto di questa Corte, formatosi in caso del tutto analogo, con l’ordinanza n.9229 dell’8/04/2024.
2.1. -Con OPCM 3322/2003, preso atto dei gravi eventi atmosferici che avevano interessato la Regione Campania nei giorni 23 -24 -25 gennaio 2003, il Presidente della Regione Campania era stato nominato commissario delegato per provvedere alla realizzazione degli interventi diretti alla rimozione delle situazioni di pericolo, nonché a fronteggiare i danni conseguenti
agli eventi di cui sopra. In particolare, si era stabilito che il commissario provvedesse alla ricognizione dei Comuni colpiti, nonché alla stima complessiva dei danni subiti e all’erogazione dei primi contributi per l’immediata ripresa delle attività produttive e per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni. All’art. 5, nello specifico, si disponeva che il commissario delegato ‘ è autorizzato ad erogare un contributo, a titolo di acconto, fino ad un massimo di euro 30.000,00’ in favore dei titolari di attività industriali commerciali agricole e di altra natura che avessero subito danni e, ai successivi commi 4 e 5 dello stesso art. 5, si disponeva che ‘il commissario è altresì autorizzato a provvedere alla immediata liquidazione di un acconto pari al 70% del contributo concedibile, e comunque fino ad un massimo di Euro 15.000,00. I contributi di cui al presente articolo costituiscono anticipazioni su future provvidenze a qualunque titolo previste’ . Come riporta il ricorrente in ricorso, il commissario, con ordinanza 17 del 2004, aveva effettuato la ricognizione dei danni, delegando il comune di Baselice per lo svolgimento della istruttoria; il Comune aveva quindi trasmesso al commissario l’elenco degli aventi diritto, indicando le somme, e il commissario con successiva ordinanza n.3 del 2007, rilevato che le disponibilità finanziarie consentivano di coprire circa il 35% dei contributi stabiliti e fissati con i decreti sindacali, disponeva di fissare nel 35% la misura dell’acconto complessivo ammissibile liquidabile agli aventi diritto.
2.2. -Deve anzitutto osservarsi che l’interpretazione dell’atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., è riservata al giudice di merito e soggiace alle regole dettate per l’interpretazione dei contratti (cfr. Cass. sez. un. 25.7.2019, n. 20181; Cass. sez. lav. 23.7.2010, n. 17367). Nel caso di specie, possono inquadrarsi
come atti amministrativi a contenuto non normativo sia l’ordinanza commissariale (nella specie la 3/2007), che l’OPCM 3322/2003. In tal senso, questa Corte ha già affermato che le ordinanze extra ordinem o libere, adottate dall’autorità amministrativa con carattere provvisorio e derogatorio delle fonti di rango primario, ancorché nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e di derivazione unionale e internazionale, sul presupposto della necessità e urgenza onde far fronte a situazioni di pericolo grave e imminente per la comunità, rientrano nel novero degli atti amministrativi generali, i quali, a differenza del regolamento, avente natura di fonte di secondo grado e sostanza normativa, in quanto contenente norme generali e astratte incidenti sui rapporti giuridici nel corso del tempo, sono formalmente normativi, ma sostanzialmente amministrativi, siccome espressione di una semplice potestà amministrativa di natura gestionale con finalità di cura concreta di interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati (Cass. n. 5988 del 06/03/2024).
2.3. -Detta equiparazione, ai fini interpretativi, non conduce al risultato auspicato dal ricorrente, poiché l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., ovvero per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. sez. lav. 4.4.2022, n. 10745). Nessuna delle due citate censure, però, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile o la
migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito -dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131; cfr. altresì Cass. sez. lav. n. 17367/2010 cit.).
Date queste premesse, l’interpretazione resa dalla Corte di merito resiste alla censura del ricorrente, posto che la Corte distrettuale ha compiutamente esplicitato l’iter argomentativo della propria decisione, specificando che ” l’entità dei contributi era dunque lasciata alla valutazione del commissario purché entro i limiti delle risorse assegnate e la definizione degli stessi quale acconto era da intendersi con riferimento alla possibilità dell’intervento di ulteriori provvidenze finanziarie ‘ ; di conseguenza ha ritenuto che il termine ‘acconto’ utilizzato nelle ordinanze non fosse assolutamente indicativo della esistenza di un diritto a ottenere il saldo, essendo stato utilizzato solo per indicare che la misura del contributo avrebbe potuto non coprire l’intero danno subìto, poiché costituiva anticipazione su future provvidenze a qualunque titolo previste (pag.10/11 della sentenza).
Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali dapprima enunciate, l’interpretazione recepita dalla Corte napoletana non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale. Le censure del ricorrente si risolvono infatti nella prefigurazione della (asserita) maggior plausibilità della patrocinata antitetica interpretazione, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra la somma versata al ricorrente (denominata acconto) e la successiva (maggiore) definitiva liquidazione del danno (l’importo ammesso al beneficio) che sarebbe stata operata dalle autorità competenti. Il Comune interessato, in applicazione dei criteri dettati dal
commissario, aveva calcolato un importo astrattamente indennizzabile a favore del ricorrente di maggior importo, ma non aveva poteri decisori in merito, poiché era un semplice delegato alla istruttoria. Né la parte ricorrente ha saputo indicare un provvedimento amministrativo del commissario delegato che le avesse riconosciuto il contributo in tale maggiore misura, anzi ha esplicitamente affermato che, con l’ordinanza 3/2007, il commissario di governo, preso atto delle disponibilità finanziarie, disponeva di fissare nel 35% la misura dell’acconto complessivo ammissibile liquidabile agli aventi diritto. Allo stesso modo la distinzione tra acconti, anticipazioni e liquidazioni, sulla quale insiste il ricorrente, nulla toglie al fatto che solo il commissario fosse autorizzato a provvedere alla liquidazione dell’acconto, nell’ottica di assicurare, come recita l’art. 1 dell’OPCM 3322/2003 un ‘primo contributo’, non necessariamente coincidente né con il danno subìto, né con l’indennizzo astrattamente liquidabile.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/04/2024.