LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contributo permesso soggiorno: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul controverso contributo per il permesso di soggiorno, confermando la sua natura discriminatoria. L’ordinanza stabilisce che il costo sproporzionato imposto ai cittadini stranieri viola il diritto dell’Unione Europea. La Corte ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, non per la sussistenza della discriminazione, ma per il criterio di calcolo del rimborso. Ha statuito che il rimborso deve essere quantificato sulla base delle tariffe più eque introdotte con il D.M. del 2017, applicandolo retroattivamente per sanare l’illegittimità passata.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contributo Permesso di Soggiorno: La Cassazione Interviene sul Rimborso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha messo un punto fermo sulla lunga vicenda del contributo per il permesso di soggiorno, confermandone la natura discriminatoria e, soprattutto, chiarendo il corretto metodo per calcolare i rimborsi dovuti ai cittadini stranieri. La decisione analizza l’illegittimità di un costo sproporzionato che per anni ha gravato sulle richieste di rilascio e rinnovo dei titoli di soggiorno, rappresentando un ostacolo all’integrazione e all’esercizio dei diritti.

I Fatti: La Controversia sul Contributo

La questione nasce dall’introduzione, con il D.M. 6 ottobre 2011, di un contributo a carico dei cittadini extracomunitari per le pratiche relative al permesso di soggiorno. Gli importi variavano da 80 a 200 euro, a seconda della durata del permesso, somme ritenute sproporzionate rispetto ai costi effettivi del servizio e notevolmente superiori a quelle richieste ai cittadini italiani per documenti analoghi, come la carta d’identità.
Un gruppo di cittadini stranieri ha citato in giudizio i Ministeri competenti, chiedendo l’accertamento della discriminazione e il risarcimento del danno, quantificato nella differenza tra quanto versato e quanto dovuto. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano avevano dato loro ragione, riconoscendo la natura discriminatoria del contributo.

Le Tesi del Ministero e il Ricorso in Cassazione

Le Amministrazioni dello Stato hanno presentato ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali:
1. Incompetenza territoriale: Sostenevano che la causa non fosse una vera e propria azione antidiscriminatoria, ma una semplice richiesta di risarcimento del danno, e che quindi dovesse essere giudicata da un altro tribunale.
2. Insussistenza della discriminazione: Affermavano che il costo maggiore fosse giustificato dalla maggiore complessità delle procedure per i permessi di soggiorno rispetto a quelle per i documenti d’identità italiani. Inoltre, contestavano il metodo di calcolo del rimborso, ritenendo errata la decisione dei giudici di non considerare il nuovo decreto del 2017, che aveva ridotto gli importi.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo e accolto parzialmente il secondo, offrendo una ricostruzione giuridica chiara e approfondita. In primo luogo, ha confermato che l’azione legale era intrinsecamente legata alla discriminazione. La richiesta di rimborso non era autonoma, ma una diretta conseguenza della condotta discriminatoria subita. Pertanto, la competenza del giudice del luogo di domicilio del ricorrente, prevista dalla normativa antidiscriminatoria (art. 28 del D.Lgs. 150/2011), era stata correttamente applicata.

La conferma del carattere discriminatorio del contributo permesso soggiorno

Sul punto centrale della discriminazione, la Corte ha ribadito che la sproporzione del costo, già sancita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza C-309/2014), costituisce il fondamento di una discriminazione indiretta. Sebbene la norma si applicasse a tutti gli stranieri, di fatto creava uno svantaggio basato sulla nazionalità, ponendo un ostacolo economico all’esercizio dei diritti garantiti dalla normativa europea. La comparazione con il costo della carta d’identità per gli italiani è stata ritenuta un valido indicatore di tale sproporzione.

Il criterio per il calcolo del rimborso

La vera novità della pronuncia risiede nel criterio per la liquidazione del danno. La Corte ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello di non applicare il D.M. 5 maggio 2017. Questo decreto era stato emanato proprio per conformarsi alle sentenze europee e amministrative, riducendo il contributo a cifre più eque (da 40 a 100 euro).
Secondo la Cassazione, in base al principio di interpretazione conforme al diritto UE, il giudice nazionale ha l’obbligo di interpretare la normativa interna, inclusa quella sopravvenuta, in modo da garantire il pieno effetto delle direttive europee. Il D.M. del 2017, pur non avendo una clausola di retroattività esplicita, rappresentava la misura con cui lo Stato italiano ha rimosso l’illegittimità. Di conseguenza, è proprio quel decreto a dover essere utilizzato come parametro per calcolare il rimborso dovuto a chi aveva pagato le somme eccessive in passato.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa per una nuova decisione. Il principio di diritto stabilito è chiaro: l’eccessivo contributo per il permesso di soggiorno era illegittimo e discriminatorio. Tuttavia, il rimborso per i cittadini stranieri non deve essere calcolato in via equitativa o basandosi sul solo costo materiale della tessera elettronica, ma deve corrispondere alla differenza tra quanto pagato e quanto avrebbero dovuto pagare secondo le tariffe corrette, introdotte con il D.M. 5 maggio 2017. Questa decisione garantisce un ristoro pieno, coerente con l’evoluzione normativa e i principi del diritto europeo.

Il contributo per il rilascio del permesso di soggiorno, introdotto nel 2011, era discriminatorio?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che imporre un costo sproporzionato (fino a 8 volte superiore a quello di un documento analogo per un cittadino italiano) costituisce una discriminazione indiretta basata sulla nazionalità, in quanto crea un ostacolo all’esercizio dei diritti dei cittadini di paesi terzi.

Quale giudice è competente a decidere sulle cause di rimborso per il contributo?
La competenza è del Tribunale del luogo dove ha il domicilio la persona che fa ricorso. La Corte ha stabilito che, essendo la richiesta di rimborso strettamente legata all’azione contro la discriminazione, si applica questa competenza funzionale e inderogabile prevista dalla legge.

Come deve essere calcolato il rimborso per chi ha pagato il contributo eccessivo?
Il rimborso non va calcolato sulla base del costo del solo documento elettronico, ma utilizzando come parametro i nuovi importi, più bassi e proporzionati, introdotti dal Decreto Ministeriale del 5 maggio 2017. La Corte ha stabilito che tale decreto, pur essendo successivo ai pagamenti, deve essere applicato retroattivamente per sanare l’illegittimità passata in conformità con il diritto dell’Unione Europea.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati