Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 22069 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22069 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 11408-2024 proposto da
CASSA NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE ED ASSISTENZA DEI GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in forza di procura conferita in calce al ricorso, dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo indirizzo PEC
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura rilasciata in calce al controricorso, dall’avvocat a NOME COGNOME presso lo studio della quale, in ROMAINDIRIZZO è elettivamente domiciliato
-controricorrente –
e
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
R.G.N. 11408/2024
COGNOME
Rep.
P.U. 9/4/2025
giurisdizione Cassa geometri. Obbligo di versare la contribuzione minima. Presupposti.
-intimata –
per la cassazione della sentenza n. 299 del 2023 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA, depositata l’8 novembre 2023 (R.G.N. 198/2023).
Udita la relazione della causa, svolta in udienza dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il PUBBLICO MINISTERO, in persona della SOSTITUTA PROCURATRICE GENERALE NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito, per la parte ricorrente, l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udita, per il controricorrente, l’avvocata NOME COGNOME che ha ribadito le conclusioni del controricorso.
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 299 del 2023, depositata l’8 novembre 2023, la Corte d’appello di Brescia ha respinto il gravame della Cassa italiana di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti (denominata, d’ora innanzi, Cassa geometri) e ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva accolto il ricorso del geometra NOME COGNOME e aveva accertato che nulla era dovuto per l’anno 2017 a titolo di contributo soggettivo minimo, di contributo integrativo minimo e di contributo di maternità, annullando la cartella di pagamen to n. 022 2020 00039646 00 000, notificata l’11 novembre 2021.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha evidenziato, anzitutto, che l’obbligo di iscriversi alla Cassa geometri e di versare la contribuzione minima, alla stregua dell’art. 5 dello Statuto, «presuppone l’esercizio della libera professione, a ncorché sporadico e non esclusivo» e prescinde, invece, «dalla produzione effettiva di un reddito professionale» (pagina 9 della sentenza impugnata).
In secondo luogo, non può essere condivisa la prospettazione della Cassa geometri, che qualifica la rituale e tempestiva presentazione
delle autocertificazioni previste dalla delibera n. 2 del 2003 come una ‘dichiarazione tipica’, provvista di un ‘significato dichiarativo predeterminato’, che non può essere contraddetto da un’eventuale prova contraria.
La Corte di merito osserva, a tale riguardo, che la prova del mancato esercizio della professione può essere comunque «offerta anche in giudizio, secondo le regole proprie del contenzioso giurisdizionale, valendo le modalità prescritte dalle delibere della Cassa solo in ambito amministrativo» (pagina 11 della sentenza d’appello).
Nel caso di specie, è stata acquisita la «prova del mancato esercizio, anche solo occasionale, di attività professionale nell’anno 2017» (pagine 11 e 12) e nessun elemento contrario è stato addotto dalla Cassa geometri.
-La Cassa geometri ricorre in sede di legittimità contro la sentenza d’appello, sulla base di due motivi.
-Il geometra NOME COGNOME resiste con controricorso.
-Agenzia delle Entrate -Riscossione non ha svolto attività difensiva.
-La causa, dopo l’infruttuosa trattazione camerale del 15 gennaio 2025, è stata rimessa alla pubblica udienza.
-Il Pubblico Ministero, prima dell’udienza, ha depositato una memoria e ha chiesto di accogliere il ricorso.
-In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria.
-All’udienza, il Pubblico Ministero ha esposto le conclusioni motivate, già rassegnate nella memoria, e i difensori delle parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nei rispettivi atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la Cassa geometri deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1 della legge 4 febbraio 1967, n. 37, degli artt. 10 e 22 della
legge 20 ottobre 1982, n. 773, dell’art. 1, commi 32 e 33, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, degli artt. 1 e seguenti del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, dell’art. 5 dello Statuto della Cassa di geometri, approvato con decreto ministeriale 27 febbraio 2003, degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1369 del codice civile, con riferimento all’interpretazione della richiamata norma statutaria.
La sentenza d’appello avrebbe errato nell’escludere l’obbligo di corrispondere la contribuzione minima, che presupporrebbe la mera iscrizione all’albo professionale e , per la sua natura eminentemente solidaristica, prescinderebbe «dall’effettività dell’esercizio della professione di geometra, dall’effettiva produzione di reddito professionale, nonché dalla iscrizione ad altra gestione previdenziale» (pagina 16 del ricorso per cassazione).
2. -Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 5 dello Statuto della Cassa, dell a delibera n. 2 del 2003, approvata con decreto ministeriale 24 marzo 2003, e della delibera n. 123 del 2009, approvata con decreto ministeriale 14 luglio 2009, dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1369 cod. civ., con riferimento all’interpretazione delle norme regolamentari.
La sentenza impugnata meriterebbe censura anche per aver omesso di considerare che, «quand’anche si assumesse la sussistenza delle condizioni sostanziali di esenzione dall’iscrizione alla Cassa, il contribuente sarebbe comunque obbligato a versare la contribuzione minima alla C.I.P.A.G. per non aver presentato -ritualmente e tempestivamente -le autocertificazioni all’uopo necessarie ex delibera 2/2003» (pagina 22 del ricorso per cassazione).
La presunzione di attività professionale potrebbe essere superata soltanto con le modalità prescritte dalla Cassa e, pertanto, sarebbe erronea la pronuncia d’appello, nella parte in cui ammette la possibilità del professionista di fornire in qualsiasi modo la prova contraria.
Nel caso di specie, non si tratterebbe di una «presunzione legale suscettibile di prova contraria in qualunque tempo e modo», ma di una «dichiarazione tipica» (pagina 25 del ricorso per cassazione): l’iscrizione all’albo e l’inottemperanza agli oneri di autocertificazione assumerebbero «valore ‘costitutivo’ della posizione previdenziale» (la già richiamata pagina 26). Una diversa interpretazione pregiudicherebbe la sostenibilità del sistema dell’ente, che ripone un affidamento legittimo in un saldo previdenziale così determinato, e si tramuterebbe in una sorta di probatio diabolica per la Cassa geometri.
3. -Al fine d’inquadrare le censure proposte, che si prestano a un esame congiunto per la connessione che le avvince, giova ricostruire, nei suoi tratti essenziali, l’evoluzione della normativa e della giurisprudenza.
4. -L’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha delegato il Governo a emanare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, «uno o più decreti legislativi diretti a riordinare o sopprimere enti pubblici di previdenza e assistenza», vincolati al rispetto, fra gli altri, dei seguenti princìpi e criteri direttivi: la privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che non usufruiscono di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, nelle forme d ell’associazione o della fondazione, « con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l ‘ obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti» (art. 1, comma 33, lettera a , numero 4).
Nell’attuazione della delega, è stato emanato il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, che, all’art. 1, comma 1, e a decorrere dal primo gennaio 199 5 ha trasformato gli enti indicati nell’allegato A e, fra questi, anche la Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri, «in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi
di ciascuno di essi, adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario».
Tale privatizzazione «è inserita nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali, in corrispondenza ad una direttiva più generale volta ad eliminare duplicazioni organizzative e funzionali nell ‘ ambito della pubblica amministrazione. Alla razionalizzazione organizzativa ed alle fusioni ed incorporazioni, che tale direttiva implica, si sottraggono gli enti che, non usufruendo di alcun sostegno finanziario pubblico, intendono mantenere la loro specificità ed autonomia, assumendo la forma dell ‘ associazione o della fondazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 1999, punto 2.2. del Considerato in diritto ).
L’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 509 del 1994 dispone che g li enti trasformati continuino a sussistere come enti senza scopo di lucro, assumendo «la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile e secondo le disposizioni di cui al presente decreto» e «rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni».
In virtù dell’art. 1, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 509 del 1994, gli enti trasformati «continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione».
Nella sentenza n. 248 del 1997, la Corte costituzionale ha evidenziato, a tale riguardo, che gli enti trasformati permangono «come centro d ‘ imputazione dei rapporti e soprattutto come soggetto preposto a svolgere le attività previdenziali ed assistenziali in atto. All ‘ autonomia organizzativa, amministrativa e contabile riconosciuta ai singoli enti in ragione della loro mutata veste giuridica fanno riscontro un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e
d ‘ intervento sugli organi di amministrazione, nonché una generale funzione di controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti. Particolare attenzione ha poi posto il legislatore al fine di prevenire situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l ‘ erogazione delle prestazioni: è stato così sancito il vincolo d ‘ una riserva legale a copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994) e, più recentemente in sede di riforma del sistema pensionistico generale, è stata prevista l ‘ obbligatorietà della predisposizione di un bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335). Il già citato comma 4 dell ‘ art. 2 consente inoltre, nel caso di disavanzo economico finanziario, la nomina di un commissario straordinario che adotti i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione; e solo ove sia accertata l ‘ impossibilità di tale operazione, dopo un triennio dalla suddetta nomina, è previsto l ‘i ntervento di un commissario liquidatore con i poteri attribuiti dalle norme in materia di liquidazione coatta amministrativa. 2.3. -Dal quadro così tracciato emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell ‘ attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l ‘ obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell ‘ inalterato fine previdenziale» (punti 2.2. e 2.3. del Considerato in diritto ).
L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 509 del 1994 riconosce alle associazioni e alle fondazioni «autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell ‘ attività svolta».
L’autonomia gestionale deve pur sempre allinearsi all’obiettivo dell’equilibrio di bilancio della gestione economico -finanziaria (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 509 del 1994).
L’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 509 del 1994 stabilisce che la vigilanza sugli enti privatizzati sia esercitata «dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell ‘ art. 1, comma 1».
Tale vigilanza si esplica approvando « a ) lo statuto e i regolamenti, nonché le relative integrazioni o modificazioni; b ) le delibere in materia di contributi e prestazioni, sempre che la relativa potestà sia prevista dai singoli ordinamenti vigenti» (art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 509 del 1994).
All ‘ atto della trasformazione in associazione o fondazione dell ‘ ente privatizzato, continuerà ad operare la disciplina della contribuzione previdenziale prevista in materia dai singoli ordinamenti (art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 509 del 1994) e, anche da questo punto di vista, si coglie la continuità tra gli enti trasformati e i nuovi enti derivanti dalla trasformazione, depositari delle medesime funzioni pubblicistiche.
-Alle associazioni e alle fondazioni «è stato attribuito il potere regolamentare di disciplinare il regime dei contributi e delle prestazioni di rispettiva competenza, ma sempre nel perimetro determinato dalla normativa primaria» (Cass., sez. lav., 4 marzo 2016, n. 4296, punto 3 dei Motivi della decisione ).
Ne scaturisce «una sostanziale delegificazione -affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (vedi, per tutte, Cass. n.29829 del 19 dicembre 2008, sia pure con riferimento a delegificazione affidata all ‘ autonomia collettiva, nel rapporto di impiego pubblico privatizzato) -per la disciplina, tra l ‘ altro, del rapporto contributivo -ferma restando, tuttavia, l ‘ obbligatorietà della contribuzione -e del rapporto
previdenziale -concernente le prestazioni a carico degli stessi enti -anche in deroga a disposizioni di legge precedenti. Al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, tuttavia, gli atti di delegificazione -adottati dagli enti, entro i limiti della propria autonomia -sono soggetti, altresì, a limiti costituzionali (vedi, per tutte, Cass. n. 11792 del 7 giugno 2005 ed, ivi, ampi richiami di giurisprudenza della Corte costituzionale). Coerentemente, il sindacato giurisdizionale -su tali atti di delegificazione -ne investe il rispetto, da un lato, dei limiti imposti alla autonomia degli enti -dal quale dipende la loro idoneità a realizzare l ‘ effetto perseguito, di abrogare, appunto, o derogare disposizioni di legge (vedi Corte cost. 1° dicembre 2006, n. 401, sia pure con riferimento a delegificazione affidata a disposizioni regolamentari) -e, dall ‘ altro, dei limiti costituzionali, in funzione della (eventuale) caducazione degli atti medesimi (art. 1418 e 1324 c.c.), per contrasto con norme imperative (vedi Cass. n. 15135/04, sia pure con riferimento a delegificazione affidata all ‘ autonomia collettiva, nel rapporto di impiego pubblico privatizzato). Lo stesso sindacato giurisdizionale -circa il rispetto dei limiti imposti all ‘ autonomia degli enti, appunto, e dei limiti costituzionali -investe (anche) gli atti di delegificazione, posti in essere dagli enti sulla base della legislazione successiva» (Cass., sez. lav., 16 novembre 2009, n. 24202, punto 2.4. dei Motivi della decisione ).
Ha valore meramente descrittivo il riferimento alla delegificazione, che, a rigore, deve rispettare i crismi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400: è la legge della Repubblica, nelle materie non coperte da una riserva assoluta di legge sancita dalla Costituzione, ad autorizzare «l ‘ esercizio della potestà regolamentare del Governo», determinando «le norme generali regolatrici della materia» e disponendo «l ‘ abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall ‘ entrata in vigore delle norme regolamentari»; il regolamento di delegificazione è adottato «on decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia».
Di delegificazione discorre anche la Corte costituzionale, riguardo agli atti adottati dalla Cassa forense, e a questa stregua ne esclude la sindacabilità, sul presupposto che «la giurisdizione del giudice costituzionale è limitata alla cognizione dell’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ai sensi dell’art. 134 Cost. e non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di ‘delegificazione’ (sentenza n. 427 del 2000) ; che, con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di ‘delegificazione’, la garanzia costituzionale è normalmente da ricercare, volta a volta, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regola mento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto princìpi incostituzionali o per aver omesso di porre princìpi in materie che costituzionalmente li richiedono; o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poter i spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso (sentenza n. 427 del 2000)» (ordinanza n. 254 del 2016).
Nella sentenza n. 67 del 2018, la Corte costituzionale, sempre con riferimento alla previdenza forense, non ha evocato il paradigma della delegificazione in senso formale e, in termini più onnicomprensivi, ha adombrato l’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge, con l’apertura all’autonomia regolamentare e con l’arretramento della legge. Ne scaturisce un sistema composito, di fonte a un tempo legale e regolamentare: alla normativa primaria di categoria si affianca quella della Cassa, «di natura privatistica» (punto 3.1. del Considerato in diritto ).
6. -L’o rientamento oramai consolidato di questa Corte «esclude che abbiano contenuto normativo e/o regolamentare in senso proprio, ex art. 1 delle Preleggi, fra l ‘ altro, i regolamenti e gli statuti delle
persone giuridiche di diritto privato, quale è quello in oggetto. Si tratta, infatti, di atti cui va attribuita natura negoziale privatistica in quanto emanati da un Ente privato, senza che tale natura possa considerarsi contraddetta né dall ‘ eventuale approvazione con decreto ministeriale, né dall ‘ obbligo di iscrizione imposto all ‘ Ente dal comma 3 dell ‘ art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994 né dalla prevista necessità che gli atti statutari e regolamentari, a mente del successivo art. 3, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 509, siano approvati del Ministero vigilante (vedi, per tutte: Cass. 26 settembre 2012, n. 16381 che si è pronunciata con riguardo al regolamento di attuazione dello statuto dell ‘ ENPACL -Ente Nazionale di Assistenza e Previdenza dei Consulenti del Lavoro; Cass. 7 giugno 2005, n. 11792)» (sentenza n. 4296 del 2016, cit., punto 3 dei Motivi di decisione ).
Ne deriva che «il sindacato di legittimità è confinato all ‘ evenienza che venga dedotta una qualche violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.» (Cass., sez. lav., 2 dicembre 2020, n. 27541).
7. -Le odierne censure s’iscrivono in questo quadro quanto mai frastagliato, che impone all’interprete di delimitare la latitudine della potestà degli enti privatizzati, in un concorso, non sempre agevole da dipanare, di fonti primarie e di previsioni regolamentari (Corte costituzionale, sentenza n. 67 del 2018, cit.).
Tale intreccio rende talvolta ardua la ricognizione dei limiti sanciti dalla normativa di rango legislativo e dai princìpi fondamentali che regolano la materia.
Di questa complessità reca traccia la stessa evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, che ha vagliato con esiti alterni le previsioni regolamentari della Cassa geometri.
Dapprima questa Corte ha ravvisato un’antinomia tra l’iscrizione obbligatoria per i geometri iscritti all’albo che esercitino, anche senza carattere di continuità, l’attività professionale (art. 5 dello Statuto) e
la disposizione dell’art. 22, secondo comma, della legge n. 773 del 1982, in forza della quale l’i scrizione alla cassa è facoltativa per i geometri iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all ‘a lbo professionale (Cass., sez. lav., 22 febbraio 2019, n. 5375).
A diverse conclusioni questa Corte è approdata con la sentenza 19 febbraio 2021, n. 4568, valorizzando, quale parametro di legittimità della previsione regolamentare, l’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Nel testo originario, tale previsione imponeva di considerare la stabilità delle gestioni previdenziali di cui al d.lgs. n. 509 del 1994 in un arco temporale non inferiore a quindici anni e, a tale scopo, consentiva agli enti previdenziali privatizzati di adottare «provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principi del ‘ pro rata ‘ in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti».
Con le modifiche apportate dall’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la verifica dell’equilibrio finanziario è stata estesa a un arco temporale di trent’anni e agli enti è stato attribuito il potere di adottare «i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell ‘ equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni».
Più ampio, dunque, è il novero dei provvedimenti, prima descritti puntualmente nel loro oggetto. L ‘unico limite oggi risiede nella finalità di salvaguardare l’equilibrio finanziario di lungo termine e nell’esigenza
di tener presente, senza rispettare più in modo rigido, il principio del pro rata e di uniformarsi a criteri di gradualità e di equità tra le generazioni.
L’art. 1, comma 488, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, con previsione che si qualifica come d’interpretazione autentica, ha poi confermato la legittimità e l’efficacia de gli atti e delle «deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296», a patto che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine.
La previsione della Cassa geometri, inquadrata in queste diverse coordinate, si rivela conforme a legge: essa non modifica la platea degli obbligati, «in quanto l’ iscrizione alla cassa riguarda pur sempre i geometri iscritti all ‘ albo professionale che esercitano la libera professione, mentre è solo mutato l ‘ accertamento delle modalità di esercizio della libera professione, che rileva ai fini contributivi anche se priva dei caratteri di continuità ed esclusività» (sentenza n. 4568 del 2021, cit. punto 7 dei Motivi della decisione ).
In questa prospettiva, «l’ iscrizione all ‘ albo professionale è condizione sufficiente al fine dell ‘ obbligatorietà della iscrizione alla cassa, e l ‘ ipotetica natura occasionale dell ‘ esercizio della professione è irrilevante ai fini dell ‘ obbligatorietà dell ‘ iscrizione e del pagamento della contribuzione minima» (punto 10 dei Motivi della decisione ).
Sulla base di queste premesse, si è affermato che «Nell ‘ esercizio del potere regolamentare la Cassa a decorrere al 2003 ha ribadito l ‘ automatismo di iscrizione di cui alla legge del 1967 e specificato che l ‘ obbligo di contribuzione minima sussiste nel caso di attività effettiva, ancorché saltuaria ed occasionale. Per i soggetti tenuti all ‘ iscrizione alla Cassa, dunque, non rileva la mancata produzione effettiva di reddito professionale, essendo comunque dovuto un contributo minimo, e ciò in ogni caso ed anche nell ‘ ipotesi di dichiarazioni fiscali negative. 12. Il
sistema regolamentare della Cassa, dunque, non ha esteso l ‘ obbligo di iscrizione a nuove categorie di soggetti, ma si è limitato a definire, nell ‘ ambito del nuovo assetto, il sistema degli obblighi contributivi, peraltro in linea con i principi di cui alla legge 335 del 1995 che ha consentito interventi finalizzati ad assicurare l ‘ equilibrio finanziario di lungo termine degli enti. 13. Ne deriva la legittimità delle norme relative all ‘ iscrizione alla cassa degli iscritti all ‘ albo e al pagamento dei contributi minimi a prescindere dal reddito, essendo tali norme la legittima espressione di esercizio dell ‘ autonomia regolamentare della Cassa all ‘ esito della sua privatizzazione».
8. -Tali princìpi sono stati ribaditi da Cass., sez. lav., 28 settembre 2022, n. 28188, che ha negato alla mera iscrizione ad altra gestione INPS una valenza di per sé ostativa «all ‘ insorgere degli obblighi nei confronti della previdenza di categoria, posto che una contribuzione alla Cassa è astrattamente compatibile con la contestuale iscrizione a un ‘ assicurazione generale, tanto più in presenza di contestuale iscrizione all ‘ albo. Invero, dal momento in cui un geometra, liberamente, sceglie di essere iscritto all ‘ albo, anche per attività occasionale, assume obblighi di solidarietà a favore dei colleghi, obblighi ai quali non può sottrarsi, e che importano il pagamento di una contribuzione minima; l ‘ iscrizione all ‘ albo professionale è condizione sufficiente al fine dell ‘ obbligatorietà della iscrizione alla Cassa, e l ‘i potetica natura occasionale dell ‘ esercizio della professione è irrilevante ai fini dell ‘ obbligatorietà dell ‘ iscrizione e del pagamento della contribuzione minima».
Né risulta violato il divieto di doppia contribuzione, in quanto «pur essendo il geometra già assicurato quale dipendente, trattasi di esercizio di attività distinte, l ‘ una prestata nell ‘ ambito del rapporto di lavoro subordinato e l ‘ altra, invece, quale libera professione. Dall ‘ obbligo di iscrizione alla Cassa -previsto dallo Statuto della stessa con disposizione, come si è detto, legittima -deriva, inoltre,
l ‘ applicazione delle norme regolamentari della stessa, che stabiliscono le condizioni per le quali è possibile derogare alla presunzione di attività professionale da parte degli iscritti all ‘ albo; l ‘ esistenza di altra attività esclusiva con obbligo contributivo generale può incidere sugli obblighi contributivi alla Cassa, invero, solo nei limiti delle condizioni fissate dalla Cassa, potendo in tal modo la Cassa svolgere i controlli opportuni in ordine alle attività svolte ed ai redditi prodotti».
9. -Di recente, nel confermare l’orientamento descritto, questa Corte ha osservato come «la potestà di imporre un contributo obbligatorio a carico degli iscritti all’albo che non svolgono attività professionale continuativa, unitamente a quella di individuare i presupposti di fatto per il riconoscimento del requisito della continuatività medesima, fosse già prevista nella legge regolatrice dell’attività della Cassa ricorrente e che la trasformazione del contributo di solidarietà in contributo (soggettivo) minimo sia coerente vuoi con l’attribuzione della potestà di adottare tutte le determinazioni necessarie ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, vuoi col principio generale di universalizzazione delle tutele previdenziali fissato dall’art. 2, comma 26, l. n. 335/1995 (di portata chiaramente antitetica a quello che ispirava l’art. 22, l. n. 773/1982), secondo cui a ciascuna della attività lavorative e/o professionali esercitate da una persona fisica deve corrispondere una specifica copertura assicurativa (cfr. in tal senso Cass. n. 28188 del 2022, cit., in motivazione)» (Cass., sez. lav., 22 novembre 2024, n. 30191).
10. -Il ricorso pone al vaglio di questa Corte una questione non ancora compiutamente scandagliata, che rende opportuna l’interlocuzione con le Sezioni Unite, per la molteplicità delle fattispecie in cui si può replicare e per la portata delle sue implicazioni sistematiche, concernenti la qualificazione e i limiti dei regolamenti di tutte Casse privatizzate e, di riflesso, l’ampiezza del sindacato di legittimità che a tale riguardo si esplica.
11. -Nel presente giudizio non è in discussione il potere della Cassa geometri di definire a quali condizioni sorga l’obbligo contributivo del professionista iscritto all’albo , conferendo rilievo, a tale scopo, anche a un’ attività saltuaria e occasionale, che non frutti alcun reddito.
Si deve poi ribadire che «La totale assenza di attività riconducibile alla libera professione di geometra, in applicazione dell’art. 5 dello Statu della Cassa, esclude l’iscrizione alla Cassa, la quale richiede appunto che, seppur in via saltuaria e occasionale e indipendentemente dalla produzione di reddito, l’attività di geometra sia stata svolta» (Cass., sez. lav., 9 maggio 2024, n. 12695; nello stesso senso, di recente, Cass., sez. lav., 13 febbraio 2025, n. 3664).
12. -La disputa verte sulle modalità con cui si può fornire in giudizio la prova del mancato svolgimento d ell’ attività professionale, che costituisce il presupposto imprescindibile dell’esonero dall’obbligo contributivo dedotto dalla Cassa geometri.
Nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza (pagina 5), la ricorrente fa leva sulle statuizioni rese in altri giudizi non dissimili da quello odierno: «La prova delle condizioni previste dalla delibera deve essere fornita con le modalità dalla stessa previste, in quanto solo in tal modo la Cassa può attivare i controlli necessari in concreto per verificare l ‘ effettività della situazione dichiarata dal professionista» (Cass., sez. VI-L, 7 marzo 2023, n. 6694). In virtù di tali rilievi, è stata cassata la pronuncia d’appello, che, secondo un percorso logico sovrapponibile a quello compiuto nella sentenza oggi impugnata, aveva consentito al professionista di offrire in sede contenziosa la prova della sussistenza delle condizioni per l’esonero, legate, in quel frangente, allo svolgimento di attività di lavoro subordinato.
Né l’attribuzione di rilevanza al mancato adempimento degli oneri posti a carico del contribuente dalla disciplina della Cassa «implica violazione dell ‘ art. 2697 c.c., discendendo dalla piana applicazione
della normativa statutaria e regolamentare» (Cass., sez. VI-L, 10 febbraio 2023, n. 4162).
Anche di recente, in linea con tali considerazioni, si è ribadito che « la prova dell’assenza di attività non è a carico della Cassa, tanto più in mancanza di autodichiarazione fatta alla Cassa stessa circa di fatti eventualmente esonerativi dell’obbligo contributivo, circostanza questa che ha portata dirimente» (Cass., sez. lav., 14 marzo 2025, n. 6796, menzionata dalla ricorrente).
Sull’orientamento descritto pone l’accento anche la memoria del Pubblico Ministero , nel concludere per l’accoglimento del ricorso.
13. -Esigono, nondimeno, un più approfondito scrutinio gli argomenti di segno contrario prospettati dalla Corte di merito (pagine 11 e 12 della sentenza d’appello) e propugnati anche nel controricorso, al fine di confutare la premessa argomentativa della Cassa geometri, che attribuisce valore costitutivo all’autocertificazione del professionista.
La sentenza d’appello rimarca che l’ottemperanza agli oneri dichiarativi non preclude all ‘ente la verifica in concreto di quei presupposti dell’obbligazione contributiva, che l’ente secundum legem ha stabilito.
Da quest’angolazione, emerge ictu oculi che è proprio la sussistenza degl’indicati presupposti l’oggetto della prova. Prova che può «essere offerta anche in giudizio, secondo le regole proprie del contenzioso giurisdizionale, valendo le modalità prescritte dalle delibere della Cassa solo in ambito amministrativo» (pagina 11 della sentenza d’appello).
14. -La diversa interpretazione, che impedisce di fornire la prova in giudizio, in difetto di rituale presentazione dell’autocertificazione, e che ammette soltanto la prova secondo le condizioni tipizzate dalle previsioni regolamentari, nega l’accesso all’esenzione contributiva,
anche quando in giudizio siano stati dimostrati tutti i presupposti per fruirne.
Per questa via, un adempimento amministrativo si riverbera sul diritto di agire e difendersi in giudizio (art. 24, primo comma, Cost.), nel contesto del «giusto processo regolato dalla legge» (art. 111, primo comma, Cost.), e predetermina con effetto vincolante tanto la tipologia di prova che può essere veicolata nel processo quanto l’apprezzamento che il giudice è chiamato a compiere del materiale probatorio acquisito «nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale» (art. 111, secondo comma, Cost.).
Né l’esigenza di consentire i più appropriati controlli, rilevata nelle pronunce richiamate, è di per sé sufficiente ad annettere una valenza probatoria indiscutibile alla mancata presentazione dell’autocertificazione. Tale valenza dev’essere corroborata da un preciso fondamento legale, poiché è solo la legge a poter disporre di tale materia, secondo il precetto costituzionale (art. 111, primo comma, Cost.).
Le medesime considerazioni si attagliano anche all’esigenza di salvaguardare la sostenibilità del sistema, addotta dalla ricorrente. Tale esigenza non importa la legittimità delle deroghe ai princìpi del giusto processo, in quanto attuazione di un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione . Peraltro, l’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 sancisce un preciso vincolo teleologico, che impone l’attenta verifica tanto della rispondenza del provvedimento all’obiettivo di salvaguardia dell’equilibr io finanziario di lungo termine quanto della proporzionalità dei mezzi prescelti, senza offrire un crisma di legittimità a qualsiasi provvedimento genericamente connesso a esigenze di risparmio.
Al regolamento di un ente privatizzato, che può disciplinare, entro i limiti tracciati dalla fonte primaria e della Carta fondamentale, la materia delle prestazioni previdenziali degl’iscritti, non compete alcuna
facoltà d’incidere sulle regole del processo e sulla disciplina delle prove, che di tali regole è presidio e parte saliente.
L’inottemperanza all’onere di autocertificazione ha il rango di mero elemento di valutazione, che il giudice, nel suo prudente apprezzamento, è tenuto a ponderare, unitamente agli altri dati di fatto acquisiti nel contraddittorio. Né tali dati, che pure sono stati raccolti in ossequio a tutte le garanzie che salvaguardano il pieno dispiegarsi delle prerogative difensive delle parti, possono essere ritenuti tamquam non essent , in carenza di un’inequivocabile previsione di legge, che deroghi alle regole vigenti in tema di acquisizione e valutazione della prova.
Neppure è risolutivo il richiamo all’art. 2697 cod. civ., in quanto nell’odierno giudizio non si disquisisce sulla ripartizione degli oneri probatori. È stato accertato il mancato svolgimento di attività professionale, sulla scorta delle risultanze istruttorie e di una valutazione convergente dei giudici di primo grado e d’appello. L’oggetto del contendere verte sul tenore della prova che dev’essere offerta: nella prospettazione della Cassa, suffragata da alcuni spunti argomentativi delle pronunce di questa Corte, tale prova può essere soltanto quella enucleata dal regolamento.
15. -Anche a voler collocare gli oneri di autocertificazione nell’alveo degli elementi costitutivi del diritto di accedere all’esenzione, equiordinati al presupposto sostanziale del mancato svolgimento dell’attività professionale, la fattispecie tratteggiata dalla fonte regolamentare non cesserebbe di presentare connotazioni problematiche.
A un elemento, che attiene pur sempre al piano della prova, come questa Corte ha riconosciuto, si attribuirebbe la valenza di elemento di fattispecie, di elemento costitutivo, in antitesi con il principio che impone di vagliare, sul versante sostanziale dell’attività svolta e non su quello eminentemente formale, la sussistenza dei presupposti per il
sorgere dell’obbligo contributivo , secondo una declinazione razionale dell’obbligo solidaristico vigente nella previdenza di categoria.
In questo percorso ricostruttivo, un obbligo contributivo che si correla pur sempre alla prestazione di attività professionale, pur se in forma saltuaria, deriverebbe sic et simpliciter dall’inosservanza di un adempimento formale. In tal modo, si recide il legame con il presupposto che la fonte primaria, ineludibile e costante modello di riferimento, individua. Presupposto che il regolamento può modulare e adattare, ma non espungere.
16. -Alla stregua di tali considerazioni, si rimette la controversia alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite , ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione