Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9691 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20649-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 443/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/04/2023 R.G.N. 1319/2022;
Oggetto
Contributo so9lidarietà
R.G.N. 20649/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 13/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti impugna la sentenza n. 443/2023 della Corte d’appello di Milano che ha accertato l’illegittimità delle trattenute operate sulla pensione di NOME COGNOME a titolo di contributo di solidarietà e condannato la Cassa a restituirle gli importi prelevati a tale titolo dal 24 gennaio 2012 al 23 dicembre 2021.
Propone quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
La Cassa propone quattro motivi di ricorso.
I)Violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509/1994, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, anche come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 ed autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 488, della legge n. 147/ 2013, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, degli artt. 2, 3 e 23 Cost., anche in relazione e combinato disposto alle delibere della
Cassa nn. 4/2008, 3/2013 e 10/2017, emanate anche in virtù dell’art. 22 del Regolamento di Disciplina del Regime Previdenziale approvato con D.M. 14.07.2004, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione della Dott.ssa COGNOME
II)In subordine, nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ove la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi in ordine alla applicabilità del contributo di solidarietà previsto dall’art. 24, comma 24, lett. b), del D.L. n. 201/2011.
III)Sempre in subordine, violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 19, comma 3, della legge n. 21/1986, dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 47bis del d.p.r. n. 639/1947 nonché degli artt. 3 e 38 Cost., ove la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di prescrizione quinquennale.
IV)In subordine, violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 nonché degli artt. 1224 cod. civ. e 2033 cod. civ. laddove la sentenza impugnata fa decorrere gli interessi dalla data dei singoli prelievi.
Il primo motivo, che tende a dimostrare la legittimità del contributo imposto dalla Cassa ricorrente, risulta manifestamente infondato alla stregua dell’oramai consolidato orientamento di questa Corte che ha offerto esaustiva risposta a tutti gli argomenti addotti a sostegno del ricorso, in controversie del tutto sovrapponibili a quella odierna, anche in rapporto alle previsioni del d.l. n. 201 del 2011, essendosi
chiarito che gli enti previdenziali privatizzati (come, nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, sia pure in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore.
Cassazione n. 603/2019, ex multis , ha poi rilevato che «appare utile, al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 486, ha affermato che si è in presenza di un “prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”; ed è, dunque, la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa; sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità, per le Casse, di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può
essere ricondotto ad un “criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore».
Detto orientamento, iniziato con Cass. n. 25212/2009 e proseguito con, ex multis , Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024, n. 24403/2024, n. 24605/2024, n. 24667/2024 è consolidato e va confermato.
Va rigettato il secondo motivo che tende a stigmatizzare l’operato della Corte d’appello che avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda formulata in via subordinata dalla Cassa in merito alla ritenuta applicabilità del contributo ex lege di cui all’art. 24. Comma 24, del d.l m. 201/2011, poiché nel ricorso in appello aveva in subordine censurato la sentenza di prime cure ‘per difetto di motivazione e violazione dell’art. 24, comma 24, lett. b) D.L. n. 201/2011 laddove il Giudice non si è pronunciato, implicitamente rigettandola, sulla domanda formulata in via ulteriormente subordinata dalla cassa in ordine all’applicazione del contributo di solidarietà previsto dalla predetta norma per gli anni 2012 e 2013’.
Non si ravvisa il vizio denunciato, poiché la Corte milanese ha rigettato implicitamente lo specifico motivo di appello, di tal chè non vi è stata omessa pronuncia ma se mai un difetto motivazionale che non è stato qui contestato.
Infatti, la sentenza impugnata ha dato conto dell’esistenza dello specifico motivo di appello (pag. 2 nonché pag. 3, indicato come
terzo motivo) e lo ha trattato congiuntamente ai primi due motivi, respingendolo.
Se mai, la parte motiva non ha esplicitato le ragioni in diritto del rigetto.
Peraltro, la conclusione di respingere il motivo è giuridicamente corretta.
Come espresso, ex multis , da Cass. n. 21172/2021, «benché, in effetti, la sentenza impugnata nulla abbia detto al riguardo, soccorre sul punto il principio secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, giacché in tal caso questa Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2°, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo qual è la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che – come nella specie – si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. S.U. n. 2731 del 2017)».
Ciò premesso, in sostanza la Cassa afferma che, laddove ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà introdotto con le delibere per cui è causa, allora spetterebbe per gli anni 2012 e 2013 quanto meno il contributo di cui all’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, come modificato dal d.l. n. 216/2011, in forza del quale, ‘In considerazione dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario
delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere.
Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni; b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento’.
L’Ente ricorrente afferma che dalla lettura della disposizione, «l’ipotesi di ritenuta illegittimità del contributo di solidarietà previsto in virtù delle delibere della Cassa (che di fatto si ritrova privata dei propri provvedimenti volti al raggiungimento dell’equilibrio di bilancio) non può che equivalere all’ipotesi di inerzia dell’Ente nell’emanazione dei suddetti provvedimenti ovvero all’ipotesi di parere negativo dei Ministeri vigilanti, con la conseguenza automatica che, in tutte e tre le ipotesi, debba necessariamente trovare applicazione quanto meno il contributo minimo ed obbligatorio previsto dal legislatore».
La norma de qua introduce un contributo di solidarietà dell’1%, limitatamente agli anni 2012 e 2013, ancorandolo a due presupposti alternativi, specificatamente identificati nella mancata adozione da parte delle Casse, entro il 30 settembre 2012, di misure volte ad assic urare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche oppure nell’emissione di parere negativo da parte dei Ministeri vigilanti sulle delibere eventualmente adottate (entro trenta giorni dalla loro ricezione).
Come già osservato da questa Corte ( ex multis Cass. n. 24651/2024, n. 24403/2024), il dato letterale non lascia spazio alla lettura proposta dalla Cassa, che vorrebbe equiparare all’inerzia degli Enti nell’intervenire ex ante sul rapporto entrate/spesa l’ipotesi in cui detti interventi siano stati effettuati ma i relativi provvedimenti siano stati ex post dichiarati illegittimi, poiché, in tal caso, non si può configurare una situazione di ‘inattività’ degli Enti stessi, nei termini richiesti dal legislatore.
Del resto, l’inerzia è condizione che la stessa Cassa ha espressamente escluso sin dalle fasi di merito nonché con la proposizione del presente ricorso, avendo resistito, prima, ed agito, poi, proprio sul presupposto di aver adottato -con l’introduzione d ella riforma strutturale del sistema previdenziale mediante il passaggio al sistema contributivo e con l’imposizione del contributo di solidarietà in via regolamentare -misure necessarie per la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio a lungo termine, dirette ad assicurare la sostenibilità finanziaria del regime previdenziale dei propri iscritti (attraverso il Regolamento di disciplina e le delibere attuative).
La sentenza impugnata non incorre neppure nei vizi denunciati con la terza doglianza, che prospetta l’applicabilità della prescrizione quinquennale.
Va nuovamente richiamato l’orientamento di legittimità consolidato sul punto.
Come evidenziato fin da Cass. n. 31527/2022, in cui si controverteva di un caso analogo al presente, la prescrizione quinquennale prevista dall’art.2948, n. 4, cod. civ. così come dall’art.129 del R. D. L. n. 1827 del 1935 richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.
Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui ‘si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.’
Questa Corte ha affermato che tale norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, mentre il caso di specie concerne l’indebita trattenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata ( ex plurimis , Cass. n. 4604/2023).
Questo indirizzo si è consolidato ( ex multis, Cass. n. 31641/2022, n. 31642/22, n.449/2023, n.688/2023, Cass. n.
4263/2023, n. 4314/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal Collegio.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
E’ infine infondato anche l’ultimo motivo, relativo alla decisione sulla decorrenza degli interessi maturati sulle somme trattenute.
Sul punto si richiama, ex multis, Cass. n. 36560/2022: «Cass. n.31642 del 2022 ha confermato il principio secondo il quale al pensionato, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla Cassa) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito “maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato” (Cass. n. 12023 del 2003; conf. Cass. n. 18558 del 2014; Cass. n. 2563 del 2016). La Corte ha, peraltro, già esaminato analoghe fattispecie (v. Cass. nn. 16813 e 16814 del 2019) e richiamato, a fondamento della correttezza del decisum dei giudici di merito, anche un più recente arresto delle sezioni unite (Cass., sez. un., n. 6928 del 2018) le quali, occupandosi di prestazioni di natura previdenziale, per quel che qui rileva, hanno nuovamente ribadito che “(…) Dalla affermata natura previdenziale (del credito) (…) deriva (…) che agli accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie,
sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria (…) consegue che gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito (…)» (cosi Cass. n. 36560/2022; idem n. 35986/2022, n. 36000/2022, n. 36002/2022, n. 687/2023, n. 3687/2023, n. 3990/2023; n. 12122/2023).
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nei precedenti casi in cui questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato.
Conclusivamente il ricorso va respinto, con condanna alle spese in favore della controricorrente secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in €2500,00 in favore della
resistente
e di una ulteriore somma di € 2500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 5000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario; condanna parte ricorrente a pagare alla resistente l’ulteriore somma di € 2500,00; condanna parte ricorrente a pagare € 2500,00 in favore della Cassa delle Ammende; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 febbraio