Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35121 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35121 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
Oggetto
Cassa nazionale previdenza e assistenza dottori commercialisti
Contributo solidarietà
R.G.N. 22080/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 31/10/2024
CC
sul ricorso 22080-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 136/2023 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 02/05/2023 R.G.N. 290/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
31/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti ha impugnato con due motivi la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 136 del 2 maggio 2023 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, confermata l’illegittimità del contributo di solidarietà applicato alla pensione di NOME COGNOME e la condanna della Cassa a restituire le somme trattenute, l’ha riformata con riguardo alla durata del termine di prescrizione che ha ritenuto decennale ed alla sua interruzione solo con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio in luogo del solo deposito.
Per l’effetto ha ritenuto, diversamente dal primo giudice che nessuna prescrizione era maturata.
Il professionista si è costituito per resistere al ricorso di cui ha chiesto il rigetto.
A seguito di formulazione di proposta di definizione accelerata del giudizio, argomentata sui principi espressi dal precedente di questa Corte n.6170 del 2024 ed altre pronunce inerenti alla illegittimità della trattenuta ed alla durata decennale del termine di prescrizione, la Cassa ha presentato istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. rappresentando, poi, in memoria illustrativa, che il professionista aveva maturato il diritto a pensione quando era già in vigore l’art. 22 del Regolamento e che dalla riforma dell’art. 3 co mma 12 della L.335 del 1995 in forza della Legge 296 del 2006 era stato eliminato il numerus clausus dei provvedimenti adottabili dagli enti previdenziali privatizzati ai fini della salvaguardia dell’equilibrio di bilancio di lungo termine, che il principio del pro rata temporis era stato attenuato con l’introduzione dei principi di gradualità ed equità intergenerazionale, che in materia vige il principio di riserva di legge relativa, che l’interpretazione autentica dell’art. 3 co. 12,
come innanzi modificato, fornita dall’art. 1 co mma 488 della L. n.147 del 2013, consente un’efficacia retroattiva ai provvedimenti introduttivi del contributo di solidarietà, e che la disciplina applicabile in tema di prescrizione fosse quella breve di cui al l’art. 2948 c.c. trattandosi di credito pagabile di importo determinato.
A ll’esito dell ‘odierna adunanza camerale il Vollegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509 del 1994, dell’ art. 3 comma 12 della legge n. 335 del 1995 anche come modificato dall’art. 1 co mma 763 della legge n.296 del 2006 ed autenticamente interpretato dall’art. 1 co mma 488 della legge n.147 del 2013, dell’art. 24 comma 24 del d.l. n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011, degli artt. 2, 3, 23 Cost. anche in relazione al combinato disposto delle delibere della Cassa n.4 del 2008, n. 3 del 2013 e n.10 del 2017 emanate anche in virtù del Regolamento di Disciplina del Regime Previdenziale approvato con DM 14/7/2004, nonché dell’art. 115 c od. proc. civ. per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione del dott. COGNOME Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel negare che la Cassa, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, possa applicare il contributo di solidarietà onde perseguire l’equilibrio finanziario di lungo termine.
Con il secondo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 co mma 3 della legge n.21 del 1986, dell’art. 2948 n.4 c od.civ . e dell’art. 47 -bis d.P.R. n.639 del 1947 nonché degli artt. 3 e 38 della Costituzione nella parte in
cui la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di prescrizione breve.
Entrambi i motivi sono infondati.
3.1. Tutte le questioni sollevate dal ricorrente hanno trovato soluzione in precedenti pronunce di questa Corte, alle quali si intende dare piena continuità. Già nell’imminenza della entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 488 della L. 147 del 2013 le Sezioni Unite (Cass. s.u. n.17742 del 2015), investite della questione di massima di particolare importanza su fattispecie analoga in materia di fissazione di un massimale pensionabile introdotto dal Comitato dei delegati della Cassa Ragionieri e Periti Commerciali, avevano affermato l’operatività attenuata del principio del pro rata a seguito della modifica all’art. 3 comma 12 della legge n.335 del 19 95 ad opera dell’art. 1 comma 763 della legge n.296 del 2006, distinguendo tra vecchia e nuova formulazione, e l’irrilevanza di quest’ultima per i pensionati che avevano maturato il diritto in epoca antecedente alla riforma del 2006, fornendo anche precise argomentazioni sul tema della non applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2948 n.4 cod.civ. non versando in un caso di credito pagabile, ossia messo a disposizione del creditore il quale deve essere posto in condizione di poterlo riscuotere, non bastando la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare.
3.2. L’ illegittimità del contributo di solidarietà adottato dalla CNPADC, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità di gestione, mediante atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta su un trattamento già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, ritenendo che siano atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo
inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore (cfr. Cass. 10/12/2018 n.31875). La pronuncia, citata nella proposta di definizione accelerata, ha affrontato il tema della privatizzazione degli enti professionali di previdenza ed assistenza, l’autonomia gestionale delle casse e la non incompatibilità del potere regolamentare con il sistema delle fonti precisando che il d.lgs. 509 del 1994 non ha attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L.400/88 per cui non è loro consentito di sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali o di derogare a disposizioni collocate a livello primario, il tema dell’equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali in un termine non inferiore a quindici anni, del rispetto del principio del pro rata e dei tipi di provvedimento adottabili (variazione di aliquote contributive prima e riparametrazione dei coefficienti di rendimento) dopo le modifiche introdotte dalla Legge Finanziaria del 2007 con la precisazione che esula dal novero dei provvedimenti (cd. numerus clausus) e risulta incompatibile con il rispetto del principio del pro rata qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati, come quello dell’art. 22 del Regolamento Cassa commercialisti, che «introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ -la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti», ossia ne «esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3 comma 12, L.n.335 del 1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di
stabilità imposti dalla legge- imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura»; la medesima pronuncia ha anche affrontato il tema della interpretazione autentica fornita dall’art. 1 co. 488 della L. 147/2013 nel senso della legittimità degli atti adottati prima della entrata in vigore della legge n.296 del 2006 a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine «mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo», ed infine anche il tema della non incidenza della sentenza della Corte Costituzionale n.173 del 2016 «sulle conclusioni qui assunte» trattandosi comunque di un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
3.3. Altri precedenti di questa Corte hanno affermato: la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che «rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa» (Cass.n . 12122/2023), l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata (Cass. n. n.603 del 2019), la carenza di base legale ad impedire la legittimità del contributo di solidarietà introdotto per norma regolamentare ed il limite alla autonomia negoziale rappresentato dalla riserva di legge delineata dall’art. 23 Cost. con l’affermazione che «l’autonomia non è legibus soluta » (Cass. n.9914 del 2023), ed il significato dello jus superveniens di cui all’art. 1 co mma 763 della legge n.296 del 2006 che non sta ad indicare che atti o provvedimenti riduttivi delle prestazioni già erogate siano legittimi «sol perché già adottati» ma che sia garantita la «perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi
siano stati assunti nel rispetto della legge» (Cass. n. 19711 del 2017).
3.4. Ulteriori considerazioni sollevate dal ricorrente in tema di ragionevolezza, proporzionalità e sostenibilità del contributo non possono prescindere dalla inderogabile riserva di legge di matrice costituzionale e dalla finalità di equilibrio di bilancio a lungo termine che, per disposizioni normative succedutesi nel tempo, deve essere assicurata per un termine lungo ampliato dai 15 anni previsti ex art. 3 comma 12 n.335 del 1995 ai 30 anni previsti dall’art. 1 co mma 736 della legge n.296 2006, fino ai 50 anni previsti dall’art. 24 d.l. n. 201 del 2011. Il contributo applicato dalla Cassa è stato prorogato per due periodi quinquennali consecutivi, e si configura come una prestazione autonoma, non già come correttivo del trattamento pensionistico. Si precisa che il richiamo espresso nei motivi di ricorso a quest’ultima disposizione normativa per sostenere la legittimità del contributo imposto almeno nel limite dell’1% su due annualità (2012 e 2013) non è pertinente al fine di giustificarne ragionevolezza e sostenibilità poiché trattasi di due istituti diversi per natura, funzione, soggetti emittenti (il contributo minimo di cui all’art. 24 comma 24 lett. B, del D.L. 201/2011 ha fonte legislativa, carattere eccezionale e di limitata attuazione biennale, non è adeguato a fasce di reddito ma è applicato in percentuale fissa sul reddito percepito, e presuppone una condizione di inerzia dell’ente previdenziale privato e non già l’attivazione procedimentale di una regolamentazione rivelatasi giudizialmente illegittima).
4.Il secondo motivo di ricorso è pure infondato. Questa Corte (cfr. Cass. n. 31527 del 2022 e recentemente anche Cass. 23703 del 2024), in un caso analogo al presente, dove si discuteva di somme trattenute sui ratei di pensione in base al contributo di solidarietà applicato dalla CNPADC, ha affermato
che la prescrizione quinquennale prevista dall’art.2948, n. 4, c.c. così come dall’art.129 del R. D. L. n. 1827 del 1935 -richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.. Si richiama anche la pronuncia Cass. n.41320 del 2021 sulla mancanza dei criteri di liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, laddove la differenza di importo pensionistico decurtata e non riscossa ne esclude il carattere di importo ‘pagabile’. Trattasi di un indirizzo consolidato (cfr. Cass. n.449 del 2023 e n.688 del 2023) e condiviso dal collegio. 4.1. Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639 del 1970, secondo cui ‘Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88 del 1989, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.’ Questa Corte ha affermato che tale norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, mentre il caso di specie concerne l’indebita trattenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass. n.4604 del 2023). Invero, si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto- dei trattamenti pensionistici, non rientrando la fattispecie in esame nelle ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, «ma quale credito consequenziale
all’indebita ritenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di ritenute operate sui singoli ratei di pensione, ma non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata» (Cass. n. 31527 del 2022, per poi concludere che «La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale»).
La soluzione cui si perviene è in linea con la proposta di definizione accelerata orientata verso la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, stante la continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, riassuntivamente concentrato nella recente pronuncia ivi menzionata (Cass. n. 6170 del 2024), in cui si condensano tutti gli argomenti innanzi svolti e le soluzioni negative cui anche in questa sede si perviene.
Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo in ragione del valore di lite e con attribuzione al difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, deve applicarsi l’art.96, co.3 e 4 c.p.c. contenendo l’art.380 bis, ultimo comma c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un’ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (Cass. S.U. 27195, 27433, 36069 del 2023, Cass. 27947/23); nel caso di definizione del giudizio in conformità alla proposta, infatti, la disciplina introdotta dall’ultimo comma dell’art. 380 –
bis c.p.c. fornisce ulteriore rilievo alla funzione deterrente e, al tempo stesso, sanzionatoria della proposta di definizione accelerata rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, in tal modo valorizzando la funzione deflattiva della definizione accelerata per disincentivare inutili lungaggini processuali, in presenza di consolidati orientamenti ed in mancanza di innovative argomentazioni. Parte ricorrente va dunque condannata a pagare, ai sensi del terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c., una somma equitativamente determinata in €2. 5 00,00 in favore di parte resistente, ed un’ulteriore somma di €2. 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Sussistono, infine, i presupposti per il versamento del doppio del contributo, ove risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5 .000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge, con attribuzione al difensore antistatario.
Condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 III e IV comma c.p.c., al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della controricorrente, e della ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 31 dicembre 2024.