Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20970 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20970 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17771-2024 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1200/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/03/2024 R.G.N. 951/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Cassa commercialisti contributo solidarietà
R.G.N.17771/2024
COGNOME
Rep.
Ud.23/04/2025
CC
CONSIDERATO CHE
1.La Corte d’Appello di Milano ha respinto il gravame della Cassa previdenziale dei dottori commercialisti avverso la pronuncia di primo grado che, su ricorso di COGNOME, aveva dichiarato l’illegittimità del contributo di solidarietà applicato sul suo trattamento pensionistico ed aveva condannato la Cassa alla restituzione delle somme a tale titolo trattenute nel limite della prescrizione decennale.
2.A vverso la sentenza d’appello, la Cassa dottori commercialisti propone ricorso per cassazione, articolato su tre motivi; il professionista, intimato, deposita controricorso.
3.- Formulata una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio, l’ente Cassa presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
4 . La causa è stata discussa e decisa all’adunanza camerale del 23/4/2025.
RILEVATO CHE
1.- Il ricorrente si affida a tre motivi di ricorso.
Il primo inerisce alla violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.: delle disposizioni di cui all’art. 2 D.Lgs. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale e con la delibera della Cassa del 27/6/2013 ; dell’ art. 3 comma 12 L. n. 335/95; degli artt. 1 comma 763 L. n.296/06, 1 comma 488 L. n.147/2013 e 24 comma 24 d.l. 201/2011 conv. in L.214/2011; degli artt. 2, 23 e 38 Cost., per avere la sentenza affermato che il diritto soggettivo alla pensione non possa essere limitato da
atti emessi dalla Cassa, in virtù della sua autonomia normativa, volti a conseguire l’equilibrio finanziario dell’ente . La Cassa precisa che l’art. 22 del Regolamento non è un mero provvedimento amministrativo in quanto approvato dai Ministeri competenti ed addebita alla sentenza di non avere affrontato il tema della ragionevolezza del prelievo ( evincibile dalle diverse aliquote per scaglioni di trattamento pensionistico erogato prima e dopo il 2005 e dalla previsione di quote più alte per i ratei calcolati con il metodo retributivo) , nell’ottica di equilibrio di bilancio nel lungo termine ed in ossequio ai principi di solidarietà ed eguaglianza, di cui è espressione la finalità di salvaguardia intergenerazionale.
Nel secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione delle medesime norme, per non avere l’impugnata sentenza considerato che l’interpretazione autentica del modificato art. 3 co.12 L.335/95, fornita dall’art. 1 co. 488 L.147/2013, ha espressamente ritenuto legittimi ed efficaci gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti privatizzati prima della data di entrata in vigore della L.296/2006, per un prelievo contributivo non definitivo ma a termine.
Con il terzo motivo di ricorso la Cassa lamenta la violazione degli artt. 2946 e 2948 n.4 cod. civ., e degli artt. 129 R.D.L. n.1827/1935 e 47-bis DPR 639/70, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui applica il termine di prescrizione decennale laddove, trattandosi di pagamento periodico di somme, il termine di prescrizione è quinquennale ai sensi delle disposizioni codicistiche ma anche in ragione dell’art. 47 -bis dPR
639/1970, che ha superato la regola dell’art. 129 RDL 1827/35.
Preliminarmente va esclusa un’eventuale situazione di incompatibilità a comporre il collegio giudicante da parte del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata del ricorso atteso che, come precisato dalla sentenza delle Sezioni Unite n, 9611/2024, tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Va anche evidenziato che il controricorrente ha depositato il suo atto difensivo in data 18/11/2024, oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c. rispetto alla data di notifica del ricorso (del 1/8/2024).
I motivi di ricorso sono infondati. I primi due possono essere scrutinati congiuntamente per la loro indissolubile connessione.
4.1 – Tutte le questioni sollevate in ricorso hanno trovato soluzione in precedenti pronunce di questa Corte, alle quali si intende dare piena continuità.
4.2 – Pienamente aderente alla fattispecie di causa è il caso esaminato nella sentenza Cass. del 10/12/2018 n.31875 sulla illegittimità del contributo di solidarietà adottato dalla CNPADC, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità di gestione, mediante atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri determinativi del trattamento
pensionistico, impongano una trattenuta su di esso, ritenendo che detti atti siano atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore. La pronuncia ha affrontato il tema della privatizzazione degli enti professionali previdenziali, della autonomia gestionale delle casse e della non incompatibilità del potere regolamentare con il sistema delle fonti precisando che il D.Lgs. 509/94 non ha attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse il carattere di regolamenti di delegificazione di cui alla L.400/88, per cui non è loro consentito di sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali o di derogare a fonti di livello primario; ivi si richiama anche il tema dell’equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali in un termine non inferiore a quindici anni, del rispetto del principio del pro rata e dei tipi di provvedimento adottabili (variazione di aliquote contributive e riparametrazione dei coefficienti di rendimento) dopo le modifiche introdotte dalla L.296/06, con la precisazione che esula dal novero dei provvedimenti (cd. numerus clausus) ed è incompatibile con il rispetto del principio del pro rata qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati, come quello dell’art. 22 del Regolamento CNPADC, che «introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pen sionistico’ -la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti», ossia «esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3 comma 12, L.n.335/1995 e finalizzato al
solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge- imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura»; la medesima pronuncia ha affrontato il tema della interpretazione autentica fornita dall’art. 1 co. 488 L. 147/2013, nel senso della legittimità degli atti adottati prima della entrata in vigore della L.296/2006 a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine «mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo», ed anche il tema della non incidenza della sentenza della Corte Costituzionale n.173 del 2016 «sulle conclusioni qui assunte» trattandosi comunque di un prelievo che solo il legislatore può introdurre.
4.3 – Ancora, altri precedenti di questa Corte hanno affermato: la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che «rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa» (Cass. 12122/2023); l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri determinativi del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata (Cass. sent. n.603/2019); la carenza di base legale del contributo di solidarietà, introdotto per norma regolamentare ed il limite all’autonomia rappresentato dalla riserva di legge delineata dall’art. 23 Cost. precisando che «l’autonomia non è legibus soluta » (Cass. n. 9914/2023); il significato dello jus superveniens di cui all’art. 1 co.763 L.296/2006, che non indica la legittimità di atti o provvedimenti riduttivi delle prestazioni già erogate «sol perché già adottati» ma ne garantisce la «perdurante efficacia anche alla luce delle
modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge» (Cass. n. 19711/17).
4.5 -Ulteriori considerazioni in tema di ragionevolezza, proporzionalità e sostenibilità del contributo non possono prescindere dall’inderogabile riserva di legge di matrice costituzionale e dalla finalità di equilibrio di bilancio che deve essere assicurata per un termine di 15 anni previsti ex art. 3 co.12 L.335/95, ampliato a 30 anni dall’art. 1 co. 736 L.296/06, e fino a 50 anni dall’art. 24 D.L. 201/2011; ma il contributo applicato dalla Cassa, prorogato per due periodi quinquennali consecutivi, si configura come prestazione autonoma, e non come correttivo del trattamento pensionistico. Si precisa che il richiamo espresso nei motivi di ricorso all’art. 24 D.L. 201/2011 per sostenere la legittimità del contributo imposto almeno nel limite dell’1% sulle sole annualità 2012 e 2013 non è pertinente al fine di giustificarne ragionevolezza e sostenibilità, poiché trattasi di due istituti diversi per natura, funzione, soggetti emittenti (il contributo di cui all’art. 24 cit. ha fonte legislativa, carattere eccezionale e limitata attuazione biennale, non è adeguato a fasce di reddito ma è applicato in percentuale fissa sul percepito e presuppone una condizione di inerzia dell’ente previdenziale privato, non già l’attivazione procedimentale di una regolamentazione giudizialmente illegittima).
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte (Cass.31527/22), in un caso analogo al presente, ha affermato che la prescrizione quinquennale prevista dall’art.2948, n.4, c.c. -così come dall’art.129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato.
5.1Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui «Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 L. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni». La norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, non già l’indebita trattenuta per l’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass. 4604/23). Invero, dalla fattispecie di credito consequenziale all’indebita ritenuta differisce l’ipote si in cui i ratei arretrati – ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto -si prescrivono in cinque anni (si rammenti Cass. n.31527/2022: «La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale»). Non si pone, dunque, un problema di eventuale disparità di trattamento fra pensionati INPS e pensionati di Casse professionali privatizzate ma di trattenute operate in virtù di un diverso titolo.
La soluzione cui si perviene, in linea con la proposta di definizione accelerata, si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, non essendovi spazio per una sua rimeditazione. Numerose altre pronunce sono state emesse dalla Corte, tutte in linea con la soluzione prospettata e non emergono ragioni per discostarsene (cfr. ord. 24404/2024,
24023/24, 24021/24, ed altre pure richiamate nella proposta di PDA).
7. Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Nulla si dispone in ordine alla regolazione delle spese in favore del controricorrente, stante la sua tardiva costituzione in questa fase. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, si applica soltanto l’ ultimo comma dell’art.96 c.p.c., contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 27947/23), con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività, espressiva di maggior rilievo dato dalla novella codicistica alla finalità deterrente rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, valorizzando la funzione deflattiva della proposta definitoria per disincentivare, in presenza di orientamenti consolidati ed in mancanza di innovative argomentazioni, inutili lungaggini processuali. La ricorrente va dunque condannata a pagare, ai sensi dell’art. 96, quarto comma c.p.c., una somma equitativamente determinata in € 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende (pari alla metà della virtuale condanna alle spese).
Sussistono, infine, i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 23