Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24651 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24651 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 981-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI RAGIONE_SOCIALEZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 67/2022 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 28/06/2022 R.G.N. 186/2021;
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 67/2022 la Corte d’appello di Trieste ha respinto il gravame proposto dalla RAGIONE_SOCIALE confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva accertato e dichiarato l ‘illegittimità delle trattenute operate a titolo di contributo di solidarietà sulla pensione corrisposta al NOME ed ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a restituire gli importi arbitrariamente prelevati, con interessi di legge dalle singole trattenute.
L’Ente previdenziale impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Trieste sulla base di sei motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE articola sei motivi di ricorso.
I Motivo) Omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. laddove la sentenza impugnata non ha considerato che, nel caso di specie, il dottCOGNOME COGNOME aveva maturato il diritto a pensione a decorrere dal 1 luglio 2011 e, dunque, successivamente all’introduzione dell’istituto del contributo di solidarietà ed alla modifica, ad opera della legge n. 296/2006, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995.
II Motivo) Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509/1994, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, anche come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 ed autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011, degli artt. 2, 3 e 23 cost., anche in relazione e combinato disposto agli artt. 2, 9 e 32 dello statuto della cassa commercialisti nonché alle delibere della cassa nn. 4/2008, 3/2013 e 10/2017, emanate anche in virtù dell’art. 22 del regolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con d.m. 14.07.2004, nonchè dell’art. 115 cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione del dott. NOME.
III Motivo) In subordine, violazione o falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011 e dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, anche come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto illegittimo il contributo di
solidarietà previsto, per il periodo oggetto di causa, dalle delibere nn. 4/2008, 3/2013 e 10/2017.
IV Motivo) In ulteriore subordine, violazione o falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lett. b), del d.l. n. 201/2011 ove la sentenza non ha ritenuto applicabile il contributo di solidarietà ivi previsto nella misura dell’1% per il biennio 2012 -2013.
V Motivo) In ulteriore subordine, violazione o falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, della legge n. 21/1986, dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 2943 cod. civ., dell’art. 47bis del d.P.R. n. 639/1947 nonchè degli art. 3 e 38 della Costituzione, ove la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di prescrizione quinquennale delle somme trattenute.
VI Motivo) Ancora in subordine, violazione o falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 nonché degli artt. 1224 cod. civ. e 2033 cod. civ. laddove la Corte d’appello ha ritenuto corretta la decisione del giudice di primo grado in ordine alla decorrenza degli interessi maturati sulle somme trattenute.
I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, tendono tutti a dimostrare la legittimità del contributo imposto dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente e risultano manifestamente infondati, alla stregua dell’oramai c onsolidato orientamento di questa Corte che ha offerto esaustiva risposta a tutti gli argomenti addotti a sostegno del ricorso, in controversie del tutto sovrapponibili a
quella odierna, anche in rapporto alle previsioni del d.l. n. 201 del 2011.
Posto che non si ravvisa un omesso esame di fatto decisivo, poiché la Corte d’appello ha espressamente considerato che il trattamento pensionistico del ricorrente aveva decorrenza da luglio 2011 ed ha ritenuto la circostanza inconferente, alla luce della motivazione che ha sorretto la decisione, i motivi vanno respinti richiamando il consolidato orientamento iniziato con Cass. n. 25212/2009 e proseguito con, ex multis , Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024, con cui questa Corte ha affermato quanto segue.
Con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato ‘ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti RAGIONE_SOCIALE‘, attenendosi, tra l’altro, al principio e criterio direttivo seguente: ‘privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti’.
Il d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega, ha ribadito che le Casse ‘privatizzate’ ‘hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica
dell’attività svolta ‘ e che ‘la gestione economico -finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale’.
Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della RAGIONE_SOCIALE approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di ‘sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti’ (cfr. Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto ‘anche in deroga a disposizioni di legge precedenti’.
Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – -non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse ‘privatizzate’, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normat iva delle Casse privatizzate.
Quest’ultima disposizione che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame -sancisce testualmente: ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal dlgs n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare
l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti’.
Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa RAGIONE_SOCIALE commercialisti (Cass 25212/09) che ‘L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto .
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti -e risulta incompatibile, peraltro, con il ‘rispetto del principio del pro rata (…)’ -qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie , l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una ‘variazione delle aliquote contributive’, né una ‘riparametrazione dei coefficienti di
rendimento’. Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che -al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di ‘variazione delle aliquote contributive’, appunto, e di ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’) incidano su ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’.
Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento, che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 1 2, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge -imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura».
Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà: tale normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla RAGIONE_SOCIALE di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
L’Ente ricorrente invoca altresì l’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: ‘ L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati
dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine’.
A tal proposito, questa Corte ( ex multis , Cass. n. 6702/2016, n. 7568/2017) ha già affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente».
Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla RAGIONE_SOCIALE e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, lo ha considerato quale «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale» (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003).
Il ricorso, infine, cita a sostegno l’art.24, comma 24, lett. b), del d.l. n.201/2011 conv. nella legge n.214/2011, che prevede un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, per il caso di inerzia delle Casse nell’adozione delle misure volte ad a ssicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche. Si tratta di una norma che conferma che, come sottolineato nella citata sentenza della Corte costituzionale n.173/16, il contributo di solidarietà, avendo natura di pre stazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art.23 Cost., è sottoposto alla riserva di legge. Ne consegue che il suddetto richiamo normativo certamente non dimostra la legittimità della istituzione del diverso contributo di solidarietà di cui qui si discut e che è stata effettuata con l’art.22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC e non con una norma di legge.
Deve, pertanto, confermarsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen , non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Neppure ha pregio la doglianza di cui al quarto motivo, in passato sempre implicitamente rigettato da questa Corte, con il quale la RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lettera b) del d.l. n. 201/2011 per aver il RAGIONE_SOCIALE respinto la domanda subordinata della RAGIONE_SOCIALE relativa all’applicabilità del contributo di solidarietà previsto dalla citata normativa nella misura dell’1% per gli anni 2012 e 2013.
L’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, come modificato dal d.l. n. 216/2011, statuisce: ‘In considerazione dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere.
Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni; b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento’.
La Corte d’appello di Trieste fornisce una lettura del comma 24 in forza della quale non è ravvisabile il presupposto specifico della inerzia: «il contributo previsto (non dagli Enti previdenziali ma) dalla norma stessa – peraltro unitamente al passaggio al sistema contributivo – era subordinato ad un presupposto (l’inerzia degli Enti nell’intervenire sul rapporto entrate/spesa) non verificatosi nel caso concreto (avendo la RAGIONE_SOCIALE appellante affermato di avere già nel 2004 introdotto una riforma
strutturale del regime previdenziale dei RAGIONE_SOCIALE commercialisti, passando al sistema contributivo)».
L’Ente ricorrente afferma che la C orte d’appello ha erroneamente escluso il requisito dell’inerzia (cui è subordinata ex lege l’applicazione del contributo previsto nel richiamato art. 24), poiché dalla lettura della disposizione in esame «appare evidente che, nell’ipotesi in cui si consider i illegittimo il contributo di solidarietà previsto dalla RAGIONE_SOCIALE in virtù delle delibere per cui è causa, a ciò equivalendo la inerzia dell’Ente, non poteva non darsi quantomeno applicazione del contributo di solidarietà previsto direttamente dal Legislatore nella misura dell’1% del trattamento pensionistico».
Il percorso argomentativo della Corte, sia pure sintetico, è chiaro e resiste alle censure.
La norma de qua introduce un contributo di solidarietà dell’1%, limitatamente agli anni 2012 e 2013, ancorandolo a due presupposti alternativi, specificatamente identificati nella mancata adozione da parte delle Casse, entro il 30 settembre 2012, di misure volte ad assic urare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche oppure nell’emissione di parere negativo da parte dei Ministeri vigilanti sulle delibere eventualmente adottate (entro trenta giorni dalla loro ricezione).
Il dato letterale non lascia spazio alla lettura proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, che vorrebbe equiparare all’inerzia degli Enti nell’intervenire ex ante sul rapporto entrate/spesa l’ipotesi in cui detti interventi siano stati effettuati ma i relativi provvedimenti siano stati ex post dichiarati illegittimi, poiché, in tal caso, non si può configurare una situazione di ‘inattività’ degli Enti stessi, nei termini richiesti dal legislatore.
Del resto, l’inerzia è condizione che la stessa RAGIONE_SOCIALE ha espressamente escluso sin dalle fasi di merito nonché con la proposizione del presente ricorso, avendo resistito, prima, ed agito, poi, proprio sul presupposto di aver adottato -con l’introduzione d ella riforma strutturale del sistema previdenziale mediante il passaggio al sistema contributivo e con l’imposizione del contributo di solidarietà in via regolamentare -misure necessarie per la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio a lungo termine, dirette ad assicurare la sostenibilità finanziaria del regime previdenziale dei propri iscritti (attraverso il Regolamento di disciplina e le delibere attuative).
La sentenza impugnata non incorre neppure nei vizi denunciati con la quinta doglianza, che prospetta l’applicabilità della prescrizione quinquennale.
Va nuovamente richiamato l’orientamento di legittimità consolidato sul punto.
Come evidenziato in Cass. n. 31527/2022, «questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di RAGIONE_SOCIALE obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ. 14. In tali occasioni si è
precisato che il rapporto assicurativo che lega la RAGIONE_SOCIALE ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la RAGIONE_SOCIALE è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché Cass., Sez.Un. n. 10955 del 2002). 15. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod.civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod.civ. 16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 , secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a
seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98. 17. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata. 18. La RAGIONE_SOCIALE ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale».
Questo indirizzo si è consolidato ( ex multis, Cass. n. 31641/2022, n. 31642/22, n.449/2023, n.688/2023, Cass. n. 4263/2023, n. 4314/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal RAGIONE_SOCIALE.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
Anche il sesto motivo, relativo alla decisione sulla decorrenza degli interessi maturati sulle somme trattenute, è infondato. Sul punto si richiama, ex multis, Cass. n. 36560/2022: «Cass. n.31642 del 2022 ha confermato il principio secondo il quale al pensionato, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un consolidato e
condiviso indirizzo di questa Corte che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito “maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato” (Cass. n. 12023 del 2003; conf. Cass. n. 18558 del 2014; Cass. n. 2563 del 2016). La Corte ha, peraltro, già esaminato analoghe fattispecie (v. Cass. nn. 16813 e 16814 del 2019) e richiamato, a fondamento della correttezza del decisum dei giudici di merito, anche un più recente arresto delle sezioni unite (Cass., sez. un., n. 6928 del 2018) le quali, occupandosi di prestazioni di natura previdenziale, per quel che qui rileva, hanno nuovamente ribadito che “(…) Dalla affermata natura previdenziale (del credito) (…) deriva (…) che agli accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria (…) consegue che gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito (…)» (cosi Cass. n. 36560/2022; idem n. 35986/2022, n. 36000/2022, n. 36002/2022, n. 687/2023, n. 3687/2023, n. 3990/2023; n. 12122/2023).
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla RAGIONE_SOCIALE in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nei precedenti casi in cui questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato.
Conclusivamente il ricorso va dichiaro inammissibile, secondo l’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ., con condanna alle spese secondo soccombenza.
Inoltre, essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. contenendo l’art.380 bis, ult. co. , cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n. 27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in €1500,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di €1500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 2 .500,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario; condanna parte ricorrente a pagare al resistente l’ulteriore somma di € 1 .500,00; condanna parte ricorrente a pagare €1 .500,00 in favore della
RAGIONE_SOCIALE delle Ammende;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 luglio 2024