Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24023 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24023 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29976-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2112/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/05/2021 R.G.N. 1023/2019;
Oggetto
R.G.N. 29976NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 2112/2021, la Corte appello di Roma ha respinto il gravame della RAGIONE_SOCIALE a favore RAGIONE_SOCIALE avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva dichiarato la illegittimità del prelievo, operato a titolo di contributo di solidarietà sul trattamento pensionistico in godimento a COGNOME NOME, e condannato la resistente alla restituzione degli importi trattenuti a far data dal 1° gennaio 2009.
L’Ente previdenziale impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma sulla base di tre motivi.
Resiste COGNOME NOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE articola tre motivi di ricorso, così rubricati, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.:
I Motivo) Violazione dell’art. 2 del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in combinato disposto con l’art. 22 del ‘Regolamento di disciplina del regime previdenziale’ della RAGIONE_SOCIALE e con la Delibera della RAGIONE_SOCIALE del 27 giugno 2013; dell’art. 3, comma 12, della legg e 8 agosto 1995, n. 335, dell’art. 1 comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; dell’art. 1, comma 488, della legge 27 dicembre 2013, n. 147; dell’art. 24, comma 24, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214; degli artt. 3, 23 e 38 Cost.
II Motivo) Violazione dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, dell’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006, dell’art. 2 del d.lgs. n. 509 del 1994, in combinato disposto con l’art. 22 del ‘Regolamento di disciplina del regime previdenziale’ della RAGIONE_SOCIALE e con la Delibera della RAGIONE_SOCIALE del 27 giugno 2013.
III Motivo) Violazione dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., dell’art. 129 del regio decreto -legge 4 ottobre 1935, n. 1827 e dell’art. 47 -bis del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per l’intima connessione che li lega, e risultano infondati alla luce del consolidato orientamento iniziato con Cass. n. 25212/2009 e proseguito con, ex multis , Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n.
18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, con cui questa Corte ha affermato quanto segue.
Con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato ‘ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti RAGIONE_SOCIALE‘, attenendosi, tra l’altro, al seguente principio e criterio direttivo: ‘privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti’.
Il d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, in attuazione della delega, ha ribadito che le Casse privatizzate ‘hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta’ e che ‘la gestione economico -finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redig ersi con periodicità almeno triennale’.
Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della RAGIONE_SOCIALE approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di ‘sostanziale
delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti’ (cfr. Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto ‘anche in deroga a disposizioni di legge precedenti’.
Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – -non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse ‘privatizzate’, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normat iva delle Casse privatizzate.
Quest’ultima disposizione che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame -sancisce testualmente: ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal d.lgs. n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione de lle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti (…)’.
Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa RAGIONE_SOCIALE commercialisti (Cass 25212/09) che ‘L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto .
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti -e risulta incompatibile, peraltro, con il ‘rispetto del principio del pro rata (…)’ -qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie , l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una ‘variazione delle aliquote contributive’, né una ‘riparametrazione dei coefficienti di re ndimento’. Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che -al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di ‘variazione delle aliquote contributive’, appunto, e di ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’) incidano su ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’.
Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento
pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge -imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura».
Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, poichè detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà: tale normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla RAGIONE_SOCIALE di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
L’Ente ricorrente invoca, altresì, l’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: ‘L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziar io di lungo termine’.
A tal proposito, questa Corte ( ex multis , Cass. n. 6702/2016, n. 7568/2017) ha già affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo
straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente».
Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla RAGIONE_SOCIALE e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, lo ha considerato un «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)».
Deve, pertanto, confermarsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen , non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Infondato è anche il terzo mezzo di gravame con cui si lamenta il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione quinquennale.
Va nuovamente richiamato l’orientamento di legittimità consolidato sul punto.
Come evidenziato in Cass. n. 31527/2022, «questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di RAGIONE_SOCIALE obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la RAGIONE_SOCIALE ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione
(v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez. un. nr. 10955 del 2002).
Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod. civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod. civ. 16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.P.R. n. 639 del 1970 , secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, n. 98. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata. La RAGIONE_SOCIALE ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme
indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale».
Questo indirizzo si è consolidato ( ex multis , Cass. n.31641/2022, n. 31642/2022, n. 449/2023, n. 688/2023, n. 4263/2022, n. 4314/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal Collegio.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla RAGIONE_SOCIALE in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nelle occasioni in cui questa Corte si è in passato pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ., con condanna alle spese secondo soccombenza.
Inoltre, essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. co. , cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in € 2000,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di € 2000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4 .000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario;
condanna parte ricorrente a pagare al resistente l’ulteriore somma di €2 .000,00;
condanna parte ricorrente a pagare €2 .000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11luglio 2024