SENTENZA CORTE DI APPELLO DI TRIESTE N. 171 2024 – N. R.G. 00000061 2024 DEL 06 05 2025 PUBBLICATA IL 07 05 2025
In Nome del Popolo Italiano
LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE
– Collegio di Lavoro –
composta dai Signori Magistrati
Dott.ssa NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
– Giudice ausiliario relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa in materia di lavoro iscritta al n. 61 del Ruolo 2024 , promossa in questa sede di appello con ricorso depositato il 03.06.2024
da
in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, difesa e rappresentata, giusta procura depositata unitamente al ricorso in appello, dall’Avv. NOME COGNOME e con domicilio eletto in Trieste presso l’Avv. NOME COGNOME
– appellante –
contro
rappresentato e difeso, giusta procura depositata con la memoria difensiva in appello, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
Trieste
– appellato –
Oggetto della causa: contributo di solidarietà (appello contro la sentenza n. 302/2023 pubblicata in data 05.12.2023 del Tribunale di Udine).
Causa chiamata all’udienza di discussione del 14.11.2024.
Conclusioni
Per l’appellante:
Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, previa fissazione dell’udienza di discussione, in accoglimento del presente ricorso in appello, riformare la sentenza impugnata n. 302/2023, resa inter partes dal Tribunale di Udine, in funzione di Giudice del Lavoro, pubblicata in data 05.12.2023 e, per l’effetto, per tutti i motivi di cui in narrativa, respingere integralmente le domande proposte con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado dal Dott. poiché infondate in fatto ed in diritto; in subordine limitare il computo degli interessi sulle somme riconosciute come eventualmente da restituire al Dott. a partire dal 21.07.2023. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.
Per l’appellato:
Respingere l’appello proposto dalla
in quanto manifestamente infondato, e confermare la sentenza impugnata; in ogni caso, con vittoria di spese e compensi anche di questo secondo grado del giudizio da distrarsi in favore degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari.
*
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
(art.132 c.p.c. come modificato dall’art.45 c.17 della legge 69/09)
La presente controversia trae origine dal ricorso proposto dinanzi al Tribunale
di Udine dal dott.
dottore commercialista in quiescenza, il quale dal
maggio 2002 è titolare di un trattamento pensionistico erogato dalla
Va preliminarmente evidenziato che il dott. aveva già ottenuto una pronuncia favorevole sulla medesima questione di diritto con sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 103/2020, confermata dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 36560/2022, sentenza con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del contributo di solidarietà e la era stata condannata alla restituzione delle trattenute operate in precedenza. Nonostante tali pronunce, la ha continuato ad applicare il contributo di solidarietà sul trattamento pensionistico del ricorrente, in forza di una serie di delibere dell’Assemblea dei Delegati che ne hanno progressivamente esteso l’operatività. In particolare, con la delibera n. 4/2008 tale contributo è stato applicato per il quinquennio 2009-2013; successivamente, con la delibera n. 3/2013, ne è stata disposta la proroga per il periodo 2014-2018 e, infine, con la delibera n. 10/2017, ne è stata prevista l’ulteriore estensione per il quinquennio 2019-2023. Per effetto di tali delibere, il dott. si è visto applicare sistematiche trattenute sul proprio trattamento pensionistico che, nel periodo da gennaio 2019 a giugno 2023,, hanno raggiunto l’importo complessivo di € 35.335,27, cui si sono aggiunte le ulteriori trattenute operate successivamente e tuttora in corso.
Con ricorso depositato il 13 febbraio 2023, il dott. si è quindi nuovamente rivolto al Tribunale di Udine contestando la legittimità di tali prelievi. A sostegno della propria domanda, oltre a richiamare il precedente specifico che lo riguardava, ha fatto riferimento al consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui gli enti previdenziali privatizzati non hanno il potere di introdurre prelievi forzosi sui trattamenti pensionistici già liquidati, non potendo tale potere essere ricavato né dall’originario art. 3 comma 12 della legge 335/1995, né dalla sua versione modificata dall’art. 1 comma 763 della legge 296/2006. Ha inoltre evidenziato come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che nemmeno l’art. 1 comma 488 della legge 147/2013 può avere efficacia sanante, posto che il contributo di solidarietà, per
sua natura temporaneo, non può soddisfare la condizione di assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine richiesta dalla norma.
Sulla base di tali premesse, il ricorrente ha chiesto l’accertamento dell’illegittimità delle trattenute e la condanna della alla restituzione delle somme prelevate a partire dal gennaio 2019 – tenendo conto del termine di prescrizione decennale – con l’aggiunta degli interessi legali dalla data di ciascuna trattenuta.
Costituitasi in giudizio, la ha contestato la fondatezza della domanda sostenendo la legittimità del contributo quale strumento necessario per garantire l’equilibrio finanziario di lungo termine, in virtù del potere degli enti previdenziali privatizzati di adottare tutti i provvedimenti necessari a tale scopo. In via subordinata, ha eccepito l’applicabilità della prescrizione quinquennale e la decorrenza degli interessi dalla sola data della domanda giudiziale.
Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 302/2023 depositata il 05 dicembre 2023, ha accolto il ricorso dichiarando l’illegittimità delle trattenute operate sulla pensione da gennaio 2019 a giugno 2023 e condannando la a restituire al ricorrente la somma complessiva di € 35.335,27, oltre alle ulteriori somme trattenute successivamente, con l’aggiunta degli interessi legali dalla data di ciascuna trattenuta al saldo.
Avverso tale decisione la ha proposto appello, cui ha resistito il dott. con articolata memoria di costituzione, dando origine al presente giudizio.
La ha
impugnato la sentenza del Tribunale di Udine articolando diversi motivi di gravame, che possono essere così sintetizzati.
In via principale, l’appellante contesta l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, sostenendo che il Tribunale non abbia adeguatamente considerato l’evoluzione del quadro normativo che disciplina i poteri degli enti previdenziali privatizzati. In particolare, la evidenzia come il legislatore, attraverso una serie di interventi normativi (d.lgs. n. 509/1994, legge n. 335/1995 come modificata
dall’art. 1 comma 763 della legge n. 296/2006 e autenticamente interpretata dall’art. 1 comma 488 della legge n. 147/2013), abbia progressivamente ampliato l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati, conferendo loro il potere di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire l’equilibrio finanziario di lungo termine. L’appellante sostiene che il Tribunale abbia erroneamente interpretato tale corpus normativo, non cogliendo la portata innovativa della legge n. 296/2006 che, modificando l’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995, ha eliminato ogni limite tipologico ai provvedimenti adottabili dagli enti previdenziali privatizzati, purché finalizzati alla salvaguardia dell’equilibrio di bilancio e rispettosi dei principi di gradualità ed equità intergenerazionale.
La contesta, inoltre, l’inquadramento del contributo di solidarietà come prestazione patrimoniale ex art. 23 Cost., sostenendo che la riserva di legge ivi prevista sia solo relativa e sia stata rispettata attraverso la delega di poteri conferita agli enti previdenziali privatizzati. Secondo l’appellante, il contributo di solidarietà rappresenterebbe uno strumento legittimo e necessario per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo periodo.
L’appellante contesta poi la decisione del Tribunale in punto di prescrizione, sostenendo l’applicabilità del termine quinquennale previsto dall’art. 2948 n. 4 c.c., dall’art. 19 comma 3 della legge n. 21/1986 e dall’art. 47 bis del d.p.r. n. 639/1970, anziché quello decennale ritenuto applicabile dal giudice di prime cure.
Infine, la censura la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto gli interessi legali a decorrere da ciascuna trattenuta, sostenendo che gli stessi dovrebbero decorrere, al più, dalla data della domanda giudiziale, in applicazione degli artt. 16 comma 6 della legge n. 412/1991, 1224 e 2033 c.c.
In via ulteriormente subordinata, l’appellante chiede che venga limitata la declaratoria di illegittimità del contributo di solidarietà al solo periodo oggetto di causa, escludendo ogni pronuncia riferita a trattenute future.
Sulla base di tali motivi, la chiede la riforma integrale della sentenza impugnata e, in subordine, il suo parziale annullamento nei termini sopra indicati, con
conseguente rigetto delle domande proposte dal dott. o loro accoglimento nei più ristretti limiti indicati nei motivi di appello.
L’appello è infondato.
Questa Corte d’Appello ha già avuto modo di pronunciarsi sulla medesima questione con le sentenze n. 44/2024 e n. 67/2022, conformandosi al consolidato orientamento della Corte di Cassazione, da ultimo ribadito con le ordinanze nn. 5424, 5463 e 8661 del 2025. Non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale orientamento, che ha trovato conferma nella recentissima giurisprudenza di legittimità. Il principio cardine, ormai definitivamente affermato, è che gli enti previdenziali privatizzati non possono adottare, sia pure in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta su un trattamento già determinato in base ai criteri ad esso applicabili. Come chiarito dalla Suprema Corte (da ultimo con ordinanza n. 5424/2025), il legislatore non ha mai attribuito agli Enti previdenziali privatizzati il potere di imporre un contributo di solidarietà, né con il testo originario dell’art. 3 comma 12 della legge 335/95 (che consentiva solo specifici provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico), né con la versione introdotta dall’art. 1 comma 763 della legge 296/2006.
Quest’ultima disposizione, pur avendo attenuato il vincolo del pro rata , riguarda comunque (e legittima) solo gli atti che a tale principio sono soggetti e quindi non può riferirsi alla diversa materia del contributo di solidarietà. Tale contributo, infatti, costituisce un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore.
Né può essere invocato, come fa l’appellante, l’art. 1 comma 488 della legge 147/2013. La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che il contributo di solidarietà, avendo carattere intrinsecamente temporaneo e straordinario, non può soddisfare la
condizione cui la norma subordina la legittimità dei pregressi atti degli Enti previdenziali privatizzati (e cioè la finalità di assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine).
Parimenti infondata è la tesi della secondo cui la legittimità del contributo deriverebbe dall’art. 24 comma 24 del d.l. 201/2011. Tale norma, infatti, non autorizzava gli Enti previdenziali a porre a carico dei pensionati un contributo di solidarietà, ma piuttosto li obbligava a intervenire sul rapporto fra entrate e spesa (modificando le aliquote contributive, i coefficienti di rendimento e i criteri di determinazione del trattamento pensionistico). Il contributo previsto dalla norma stessa – peraltro unitamente al passaggio al sistema contributivo – era subordinato a un presupposto (l’inerzia degli Enti nell’intervenire sul rapporto entrate/spesa) non verificatosi nel caso concreto, avendo la affermato di aver già nel 2004 introdotto una riforma strutturale del regime previdenziale dei Dottori commercialisti, passando al sistema contributivo.
Non può essere accolta neppure l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla ai sensi dell’art. 2948 n. 4 c.c., dell’art. 19 comma 3 della legge 21/1986 e dell’art. 47 bis del D.P.R. 639/70. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 17742/2015) e ribadito da ultimo con l’ordinanza n. 2376/2025, l’applicazione della prescrizione breve richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere “pagabile” e messo a disposizione del creditore. Nel caso di specie, la somma corrispondente al contributo di solidarietà non è mai stata messa a disposizione del pensionato, essendo stata trattenuta alla fonte dalla Pertanto, correttamente il Tribunale ha applicato l’ordinaria prescrizione decennale.
Quanto all’art. 47 bis del D.P.R. 639/70, la Corte di Cassazione (ord. n. 29523/2022) ha espressamente affermato che tale norma è estranea alla fattispecie del recupero delle somme trattenute a titolo di contributo di solidarietà, poiché questa ” non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di
pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata “.
In merito alla decorrenza degli interessi, la Suprema Corte (da ultimo con ord. n. 8661/2025) ha confermato che, trattandosi di crediti previdenziali di natura unitaria, gli interessi decorrono dalla data di ciascuna trattenuta. Non sono applicabili né l’art. 16 comma 6 della legge 412/1991, che riguarda le prestazioni erogabili a seguito di domanda (e tali certamente non sono i singoli ratei della pensione già liquidata), né l’art. 2033 c.c., non essendovi stato un indebito pagamento volontario ma una trattenuta illegittimamente operata dalla
Va inoltre rilevato che la Corte di Cassazione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 335/1995, confermando che il contributo di solidarietà non persegue l’obiettivo dell’equilibrio finanziario a lungo termine e pertanto non vi è alcuna illegittima limitazione dell’autonomia della
Le argomentazioni svolte dall’appellante, pur articolate e complesse, non forniscono dunque elementi idonei a discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, che questa Corte condivide e fa proprio.
L’appello va pertanto respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore antistatario.
P.Q.M.
la Corte di Appello di Trieste, definitivamente pronunciando, così decide:
respinge l’appello proposto dalla
avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 302/2023 pubblicata in data 05.12.2023 che integralmente conferma; condanna parte appellante a rimborsare le spese di lite del grado a parte appellata che liquida in € 4.500,00 oltre spese generali nella misura massima di tariffa, Cpa ed IVA di legge con distrazione
a favore dei procuratori Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari; da atto infine della ricorrenza a carico di parte appellante dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002. Trieste, 14.11.2024.
Il Giudice ausiliario estensore.
(Avv. NOME COGNOME
Il Presidente (Dott.ssa NOME COGNOME)