Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15367 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 34250/2019
promosso da
NOME AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso l ‘ ufficio di rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 2042/2019 della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 15/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal Cons. NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo n. 424/2015, il Tribunale di Benevento intimava alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di pagare a NOME COGNOME la somma di € 17.600,30, oltre interessi legali e spese, quale saldo del contributo liquidato a favore di quest’ultimo per i danni subiti in conseguenza dell’alluvione del 24, 25 e 26 gennaio 2003, secondo l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (di seguito, O.P.C.M.) n. 3322/2003, essendo stata erogata a titolo di acconto la minor somma di € 8. 750,00, pari al 35% del totale.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione ex art. 645 c.p.c., eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per essere la cognizione della controversia devoluta al giudice amministrativo, la carenza di legittimazione passiva dell’intimata e l’infondatezza della presa nel merito.
Nel contraddittorio delle parti, l’opposizione veniva respinta.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, affermando il proprio difetto di titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto e l ‘assenza del vantato diritto di credito.
Costituitosi l’appellato, la Corte d’appello accoglieva il gravame, negando che la RAGIONE_SOCIALE fosse obbligata a corrispondere le somme richieste. Pertanto, in riforma della sentenza impugnata, veniva revocato il decreto ingiuntivo opposto, con compensazione delle spese di lite.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidato a cinque motivi di impugnazione.
L’intimata si è difesa con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1367 e 1353 c.c. nell’interpretazione dell’O.P.C.M. n. 3322/2003 e dell’ordinanza commissariale n. 3/2007 , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con la conseguenza che la Corte d’appello non ha tenuto conto della distinzione tra importo complessivo liquidabile e acconto liquidato.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di fatti (documenti) decisivi e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con particolare riferimento all’ ordinanza commissariale n. 17/2004, regolatrice delle attribuzioni conferite ai Sindaci e dell ‘efficacia dei provvedimenti di accertamento dei danni prodotti da alluvioni verificatisi nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di liquidazione delle relative provvidenze.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di fatti (documenti) decisivi e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con particolare riferimento all’ ordinanza commissariale n. 3/2007, nella parte in cui aveva individuato la somma liquidabile in € 25.000,00, come accertata dal Comune, ma aveva ritenuto erogabile a titolo di acconto solo il 35%.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. , per avere la Corte di merito omesso l’accertamento sulla presenza nel bilancio regionale delle somme sufficienti al pagamento del contributo, avendone erroneamente giudicato l’estraneità alla causa petendi .
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta, subordinatamente al rigetto delle precedenti censure, la violazione delle norme sulla giurisdizione, perché la Corte di merito -una volta ritenuta riservata all’Amministrazione la verifica dell’appostazione e della disponibilità in bilancio di somme sufficienti al pagamento dei contributi in questione
-avrebbe dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice adito a favore di quello amministrativo.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di cassazione si è già pronunciata in materia ed ha assunto un orientamento condiviso da questo Collegio (Cass., Sez. 1, 08.04.2024, n. 9229).
La materia del contendere attiene all’interpretazione dell’ordinanza libera n. 3322/2003, adottata ai sensi de ll’art. 5 l. n. 225 del 1992 dal Presidente del Consiglio dei ministri, cui è seguita l’ ordinanza del Commissario delegato n. 3/2007.
2.1. Nella specie, la Corte d’appello non ha condiviso la tesi del ricorrente, fondata sull’assunto che egli aveva maturato il diritto ad un contributo complessivo di € 25.000,00, in virtù dell ‘importo a lui riconosciuto come spettante dall’ordinanza n. 3/2007 del Commissario delegato.
La menzionata Corte ha, infatti, ritenuto che dal testo complessivo dell ‘ O.P.C.M. n. 3322/2002 ed anche dalle sue disposizioni, contenute negli artt. 1, 3, 4 e 5 dell’ordinanza stessa , risultasse che le provvidenze e i contributi pubblici sarebbero stati erogati non solo previa liquidazione in sede amministrativa da compiersi successivamente, nei soli limiti delle disponibilità finanziarie, così come accertate dal Commissario.
Secondo la Corte territoriale, dalle disposizioni generiche del l’ O.P.C.M., contenenti norme di indirizzo e, dunque, non immediatamente precettive od imperative – dirette peraltro a fissare i limiti massimi delle provvidenze e dei contributi individuali alle popolazioni danneggiate dagli eventi alluvionali, limiti a loro volta implicitamente assoggettati alla sottostante ed ulteriore condizione dell’osservanza delle disponibilità finanziarie – non poteva sorgere alcun diritto soggettivo al contributo, poiché la relativa attribuzione
necessitava del suo successivo riconoscimento nella sede amministrativa, di competenza del Commissario delegato.
La stessa Corte ha, in particolare, rilevato che l’ O.P.C.M. n. 3322/2003 , all’art. 1, comma 3, lett. c), ha stabilito che «Il commissario delegato provvede in particolare: … omissis… c) all’erogazione dei primi contributi per l’immediata ripresa delle attività produttive e per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni, anche mediante l’erogazione di provvidenze per il ristoro dei danni ai beni mobili, ai beni mobili registrati ed ai beni immobili, secondo voci di contribuzione, criteri di priorità e modalità attuative, tutti informati a parametri di certa perequazione, che saranno fissati dal commissario delegato stesso con propri provvedimenti e che potranno costituire anticipazione su future provvidenze, nonché per l’autonoma sistemazione dei nuclei familiari rimasti senza tetto a seguito dagli eventi calamitosi» .
La medesima Corte ha evidenziato che, in specificazione di quanto appena riportato, nella menzionata ordinanza, il Commissario: – è stato autorizzato a erogare contributi per l’autonoma sistemazione abitativa (art. 3); -è stato autorizzato «nei limiti delle risorse assegnate, ad erogare contributi, a titolo di acconto, fino a un massimo di Euro 30.000.00», per la ricostruzione o la riparazione di unità abitative, ai sensi dell’ art. 4; -è stato autorizzato a erogare contributi per la ricostruzione o riparazione di beni destinati all’attività imprenditoriale, artigianale o commerciale, sempre «a titolo di acconto, fino ad un massimo di Euro 30.000,00» , ai sensi d ell’art. art. 5. Ha, poi, rilevato che, nella stessa ordinanza, i contributi per la ricostruzione o la riparazione, previsti nei richiamati artt. 4 e 5, sono stati espressamente qualificati come anticipazioni su future provvidenze a qualunque titolo previste.
In tale quadro, secondo la Corte d’appello, il Commissario , nell’esplicazione dei suoi poteri, aveva ritenuto di poter liquidare i menzionati contributi in una misura non superiore al 35% d ell’importo liquidabile all’esito dell’istruttoria espletata dai Comuni, tenuto conto delle risorse finanziarie di cui poteva disporre. Poiché, pertanto, il credito sorgeva solo per effetto delle determinazioni del Commissario, nessun ulteriore diritto al pagamento di ulteriori somme era configurabile, oltre a quello corrispondente a ll’importo erogato, pari al 35% di quello liquidabile.
Secondo il giudice del gravame, l’attribuzione del contributo necessitava sempre e comunque del riconoscimento, in sede amministrativa, da parte del Commissario delegato. Quest’ultimo doveva avvalere dell’ausilio degli enti comunali, cui era demandata un ‘ attività di carattere istruttorio (riferita alla verifica dei danni e alla ricognizione degli aventi diritto al contributo), ma solo lui aveva la prerogativa di determinare, secondo i criteri dettati dalla normativa emergenziale, l’ an , il quomodo ed il quantum dei contributi, entro i limiti imposti dalle disponibilità finanziarie specificamente destinate.
In particolare, secondo la Corte di merito «…all’approvazione dei decreti sindacali contenuta nell’ordinanza n. 3 del 2007 non è riconducibile l’effetto, predicato sia dal AVV_NOTAIO che dal primo Giudice, della definitiva attribuzione dell’intera somma ritenuta dai Comuni ammissibile al contributo, con conseguente diritto al pagamento della differenza non immediatamente corrisposta. Ai fini del riconoscimento di quest’ultimo diritto sarebbe, invece, occorso un nuovo ed ulteriore provvedimento amministrativo del Commissario (o della RAGIONE_SOCIALE, a questi in seguito subentrata), che, rinnovate le necessarie valutazioni discrezionali dirette ad accertare modalità e criteri per la ripartizione, tra tutti gli aventi diritto in base ai diversi e variegati titoli contemplati da ll’ O.P.C.M. n. 3322 del2003, delle residue disponibilità finanziarie,
attribuisse al COGNOME, unitamente agli altri soggetti di cui agli elenchi approvati con l’ordinanza n. 3 del 2007, il “saldo” qui rivendicato o, magari, un ulteriore “acconto”. Tuttavia, l ‘adozione di siffatti ulteriori provvedimenti è mancata e, dunque, il diritto soggettivo azionato in virtù dell’ordinanza n. 3 del 2007 è inconfigurabile.»
2.2. Secondo il ricorrente, l’interpretazione dell’O.P.C.M. offerta dalla Corte di Appello- nella parte in cui ha ritenuto che tale atto avesse carattere programmatico e bisognoso di atti di attuazione -era in violazione degli artt. 1362 e 1363 ss. c.c., poiché, l’ ordinanza, in realtà, aveva enunciato i criteri e limiti per i contributi erogabili ai cittadini e alle imprese danneggiati dall’alluvione, senza arginare i poteri del Commissario alla erogazione del 35% del contributo ammesso, costituendo, anzi, la fonte (e la premessa) delle attribuzioni operate in favore dei Sindaci e del Commissario riguardo alla liquidazione dei contributi.
Ad opinione del ricorrente, inoltre, l’interpretazione offerta dalla Corte di merito dell’art. 5 dell ‘ O.P.C.M., nella parte in cui era previsto che i contributi costituivano ‘ anticipazioni ‘ su future provvidenze a qualunque titolo previste, è stata effettuata in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., poiché aveva solo lo scopo di evitare doppie liquidazioni , tant’è che l a parola ‘ acconto ‘ , contenuta negli articoli 4 e 5, sopra riportati, si riferiva all’intero contributo liquidabile in base all’RAGIONE_SOCIALE.
Alla Corte di merito il ricorrente ha addebitato anche la violazione degli artt. 1362 c.c. nell ‘ interpretazione dell ‘ ordinanza commissariale n. 3/2007, per non avere considerato che, nel testo dell’ordinanza, era stato comunque individuato l’importo complessivo liquidabile, come determinato nei decreti sindacali, anche se, poi, il Commissario aveva ritenuto che le finanze consentivano di coprire circa il 35% dei contributi stabiliti e fissati dai sindaci, tant’è che nel dispositivo era
stato disposto «… di fissare nel 35% … la misura dell’acconto dell’importo complessivo liquidabile agli aventi diritto, per come riportati nei Decreti Sindacali relativi alla loro determinazione» e «… di approvare l’elenco allegato, relativo agli aventi diritto e ai rispettivi contributi da liquidare .per un importo pari a d … quale contributo alle spese sostenute ritenute ammissibili dai soggetti privati e dalle attività produttive danneggiate …» .
In violazione dell’art. 1363 c.c., inoltre, secondo il ricorrente, la Corte di merito non ha tenuto conto che l’allegato sub 2 dell’ordinanza commissariale, recava l’indicazione del contributo spettante (€ 25.000,00) e l’importo dell’acconto liquidato (€ 8.7 50.00,00).
In sintesi, ad opinione del COGNOME, la Corte di merito non ha distinto l’insorgenza del diritto di credito (che era certo e liquido) dalla esigibilità dello stesso, mentre, invece, avrebbe dovuto tenere conto che, per effetto della menzionata ordinanza n. 3/2007, era sorto il diritto di credito per l’intero importo liquidabile a titolo di contributo, anche se poi era stata ritenuta esigibile solo una percentuale dello stesso, con il conseguente diritto del ricorrente di agire per ottenere il pagamento di quanto dovuto a saldo.
2.3. Com’è noto, l’interpretazione dell’atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., è riservata al giudice di merito e soggiace alle regole dettate per l’interpretazione dei contratti, sia pure con qualche adattamento, soprattutto in considerazione del carattere unilaterale dello stesso (cfr. Cass., Sez. U, 25.07.2019, n. 20181; Cass., Sez. L, 23.07.2010, n. 17367).
Nel caso di specie, costituiscono atti amministrativi a contenuto non normativo sia l’ordinanza commissariale n. 3/2007 sia l’O .P.C.M. n. 3322/2003.
In particolare, quest’ultima ordinanza rientra nella categoria delle ordinanze extra ordinem o libere, adottate dall’autorità amministrativa con carattere provvisorio e derogatorio delle fonti di rango primario, ancorché nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e di derivazione unionale e internazionale, sul presupposto della necessità e urgenza onde far fronte a situazioni di pericolo grave e imminente per la comunità, rientrano nel novero degli atti amministrativi generali, i quali, a differenza del regolamento, avente natura di fonte di secondo grado e sostanza normativa, in quanto contenente norme generali e astratte incidenti sui rapporti giuridici nel corso del tempo, sono formalmente normativi, ma sostanzialmente amministrativi, siccome espressione di una semplice potestà amministrativa di natura gestionale con finalità di cura concreta di interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati (Cass., Sez. 1, 06.03.2024, n. 5988).
2.4. L’ interpretazione del contratto come pure l’interpretazione dell’atto amministrativo – dunque, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. L. 04.04.2022, n. 10745).
Nessuna delle due citate censure, però, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.
In particolare, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al
principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un ‘ altra (cfr. Cass. 22.02.2007, n. 4178; Cass., Sez. 2, 03/09/2010, n. 19044).
2.5. Nella specie, deve subito rilevarsi che non colgono la ratio decidendi le censure riferite all’ interpretazione dell’O.P.C.M. offerta dalla Corte d’appello .
Come sopra riportato, la natura programmatica e bisognosa di atti di attuazione, attribuita dal giudice del gravame alla menzionata ordinanza, ha costituito una premessa della decisione, poiché è stata riferita all’impossibilità che la stessa ordinanza potesse costituire direttamente il titolo costitutivo del credito al contributo vantato. Tale constatazione, peraltro, non è neppure in contrasto con le difese del ricorrente, che pure ha fondato la sua pretesa sulla concreta
determinazione dell’importo asseritamente spettante per effetto dell’ ordinanza commissariale n. 3/2007 (v. supra e p. 7/8 della sentenza impugnata).
In oltre, l’ interpretazione dell’art. 5 dell’O.P.C.M. , nella parte in cui ha stabilito che i contributi costituivano anticipazioni su future provvidenze a qualunque titolo previste, è stata intesa in un senso diverso da quello chiaramente esplicitato dalla Corte di merito, poiché, come in precedenza riportato, quest’ultima non ha escluso, in forza di tale disposizione, che gli aventi diritto non potessero ottenere ulteriori acconti, ma ha solo affermato che tali ulteriori erogazioni avrebbero dovuto essere autorizzati dal Commissario o dal suo successore (v. supra e p. 8/9 della sentenza impugnata).
2.6. Per quanto riguarda, poi, l’ordinanza commissariale n. 3 /2007, tenuto conto delle indicazioni giurisprudenziali prima enunciate in tema di interpretazione degli atti amministrativi, le censure del ricorrente si risolvono nella prospettazione della ritenuta maggior plausibilità della diversa interpretazione offerta, secondo la quale il Commissario, approvando l’operato dei comuni, avrebbe comunque accertato l’esistenza del diritto ad ottenere il contributo per l’intero importo ritenuto liquidabile e non solo il diritto ad ottenere il 35% dello stesso, come effettivamente erogato.
Tuttavia, se è vero che, nella specie, i comuni interessati, in applicazione dei criteri dettati dal Commissario, avevano calcolato il danno nel complesso astrattamente indennizzabile, è anche vero che il Commissario, con l’ordinanza n. 3/2007, ha disposto di fissare nel 35% dell’importo così determinato la misura dell’acconto complessivo ammissibile liquidabile agli aventi diritto, come pure affermato dallo stesso ricorrente.
Non può pertanto dirsi che fosse contraria al tenore letterale e al complessivo significato dell’atto , l ‘interpretazione operata dalla Corte
d’appello, che ha considerato l’ordinanza commissariale n. 3/2007 titolo per l’ottenimento del solo importo corrispondente al 35% di quello liquidabile complessivamente accertato dai comuni e riportato nell’allegato all’ordinanza stessa.
L’art. 1 dell’ O.P.C.M. in questione ha , d’altronde, autorizzato il Commissario ad erogare contributi in acconto, per consentire l’immediata ripresa delle attività produttive e per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni, specificando che potevano costituire anticipazioni su future provvidenze, senza che tali importi dovessero necessariamente coincidere né con il danno subìto, né con l’indennizzo astrattamente liquidabile.
Il secondo motivo è inammissibile , tenuto conto che l’ ordinanza commissariale n. 17/2004 ha stabilito i requisiti e i criteri per la concessione dei contributi in questione, ma, come già evidenziato, la decisione si fonda sulla ritenuta insorgenza del diritto al contributo solo a seguito della quantificazione operata dal Commissario delegato, nella specie limitata al 35% degli importi accertati come liquidabili.
Anche il terzo motivo è inammissibile, perché non è censurato l’omesso esame di un fatto, veicolato da un documento non considerato dal giudice di merito, ma è prospettata una diversa valutazione di un atto l’ ordinanza del commissario delegato n. 3/2007 -che è stato comunque esaminato, a cui, però, parte ricorrente intendere attribuire un significato diverso da quello attribuito dal la Corte d’appello , con una censura che attiene pertanto al giudizio di fatto della Corte di merito, in questa sede incensurabile.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Com’è noto, l a violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sussiste sia quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione sia quando sostituisca d’ufficio un’azione
ad un’altra, a causa del travisamento dell’effettivo contenuto della domanda (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19214 del 06/07/2023).
Nella specie, parte ricorrente ha censurato la sentenza della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto che esulasse dalla prospettata causa petendi, posta a base dell’azione contrattuale proposta dal COGNOME (p. 9 e s. della sentenza impugnata), l’allegazione di quest’ultimo , contenuta nella comparsa di risposta in appello, in ordine alla disponibilità, e all’appostamento , in bilancio delle somme necessarie e sufficienti all’integrale soddisfazione del contributo richiesto.
Parte ricorrente non ha, dunque, dedotto che la Corte d’appello ha statuito su una domanda diversa da quella formulata, ma ha solo censurato la statuizione adottata su alcuni argomenti da essa offerti.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente non ha dedotto che sulla questione di giurisdizione fosse stato proposto appello, né che il COGNOME avesse proposto in primo grado la relativa eccezione, riproponendola in sede di gravame. Risulta, anzi, dallo svolgimento del processo riportato nella sentenza impugnata, che detta eccezione era stata formulata in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e che, dopo essere stata respinta dal Tribunale, non era stata riproposta (p. 2 della sentenza impugnata).
Deve pertanto ritenersi inammissibile la proposizione in questa sede della censura con la quale è dedotta la violazione delle norme sulla giurisdizione, essendo oramai intervenuto sul punto il giudicato interno (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 28503 del 29/11/2017).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 2.400,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile