Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15442 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15442 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29278/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
REGIONE LOMBARDIA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
Oggetto: Pubblica amministrazione – Concessioni linee autotrasporto – Contributi compensativi
R.G.N. 29278/2021
Ud. 30/05/2025 CC
COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
nonché contro
PROVINCIA DI LODI
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 1099/2021 depositata il 06/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1099/2021, pubblicata in data 6 aprile 2021, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione delle appellate RAGIONE_SOCIALE DI LODIRAGIONE_SOCIALE ha accolto il gravame proposto da REGIONE LOMBARDIA avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 8280/2019, pubblicata in data 17 settembre 2019 e, per l’effetto, ha respinto la domanda proposta originariamente dalla RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima, gestore in forza di rapporto di concessione con la Provincia di Lodi di una serie di linee di trasporto pubblico, aveva chiesto di accertare e dichiarare l’illegittimità del decreto dirigenziale n. 6490 del 19.7.2012 della Regione Lombardia – con il quale erano stati determinati i contributi compensativi per l’anno 2011 operando una riduzione del 7% – e quindi di condannare la stessa REGIONE LOMBARDIA alla corresponsione della differenza non percepita, pari ad € 323.683,61.
Costituitasi la REGIONE LOMBARDIA e rimasta invece contumace la PROVINCIA DI LODI, il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda.
3. Nell’accogliere il gravame, la Corte territoriale ha, in primo luogo, esaminato le fonti normative e giurisprudenziali eurounitarie -il Reg. CE n. 1370/2007 e la sentenza della Corte di giustizia UE 24 luglio 2003, causa C-280/00 Altmark -giungendo alla conclusione per cui le stesse non vengono a determinare l’entità minima della compensazione che l’Autorità Pubblica è obbligata a corrispondere all’operatore al quale siano imposti o col quale siano stati stipulati obblighi di servizio pubblico nel settore del trasporto pubblico di passeggeri, regolando semmai tali fonti l’entità massima di tale compensazione -individuata nel cd. ‘importo finanziario netto’ -onde evitare che la stessa venga ad integrare un’ipotesi non consentita di aiuti di Stato.
La Corte ambrosiana ha quindi esaminato le fonti normative nazionali -Legge n. 151/1981 e D. Lgs. n. 422/1997 -giungendo alla conclusione per cui anche in questo caso la disciplina non stabilisce l’entità del contributo, limitandosi in particolare la Legge n. 151/1981 a stabilire che: 1) il contributo da attribuire all’operatore deve avere l’obiettivo di coprire la differenza tra il costo economico del servizio standardizzato in riferimento a criteri di efficiente gestione e i ricavi presunti del traffico, che coprano in misura prefissata il costo effettivo; 2) l’ammontare complessivo dei contributi così calcolati deve rimanere entro i limiti della stanziamento regionale, il quale, a propria volta, deve essere almeno pari alla quota del Fondo Nazionale trasferita alla Regione; 3) le eventuali perdite o disavanzi non coperti dai contributi regionali devono restare a carico dell’impresa che esercita il servizio.
Esaminata poi la disciplina regionale -e cioè la Legge Regionale n. 11/2009 -la Corte territoriale è pervenuta a similare conclusione, affermando, quindi, che le fonti invocate dalla S.RAGIONE_SOCIALE non stabiliscono l’entità della compensazione, spettante all’operatore del servizio di trasporto pubblico, ma individuano unicamente dei criteri che devono essere tenuti in considerazione al fine di determinare tale compensazione.
La Corte d’appello, infine, ha evidenziato che dalla consulenza tecnica, disposta in primo grado, era emerso che la società di trasporti, con un’azione di efficientamento, aveva registrato un calo dei costi nell’esercizio 2011, rispetto all’esercizio 2010 , corrispondente al 5,5% dei costi di produzione e che quindi la riduzione del contributo regionale era stata più che compensata dal calo dei costi di produzione del servizio, risultando conseguentemente salvaguardato l’equilibrio economico -finanziario del bilancio dell’impresa.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso REGIONE LOMBARDIA.
È rimasta intimata PROVINCIA DI LODI.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4, 6 e dell’Allegato al Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370/2007 e della Comunicazione della Commissione Europea 2014/C 92/01, pubblicata il 29 marzo 2014, “sugli orientamenti interpretativi concernenti il regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia’;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omessa valutazione di fatti decisivi oggetto di discussione ‘.
Si censura la decisione della Corte d’appello di Milano nella parte in cui la stessa ha ritenuto che la disciplina eurounitaria non impedisca di stabilire l’entità delle compensazioni in misura inferiore all”importo finanziario netto’.
Si argomenta che una compensazione inferiore all’importo finanziario netto si pone in contrasto con la stessa ratio e finalità della disciplina eurounitaria, in quanto verrebbe ad indurre l’operatore a ridurre il livello dei servizi o comunque lo graverebbe dei costi sociali di un servizio di interesse generale.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, Legge n. 151/1981; 17, D. Lgs. n. 422/1997; 129 e 131 L.R. Lombardia n. 11/2009.
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omessa valutazione di fatti decisivi oggetto di discussione ‘.
Si censura la decisione della Corte d’appello di Milano nella parte in cui la stessa ha ritenuto che anche la disciplina nazionale e regionale consentano una compensazione inferiore all’importo finanziario netto come definito nel Reg. CE n. 1370/2007
Argomenta la ricorrente che, per contro, sia la normativa nazionale, sia quella regionale commisurano i contributi al servizio svolto con la conseguenza che, non mutando quest’ultimo, neppure i contributi potrebbero mutare, in quanto una diminuzione degli stessi risulterebbe incompatibile con l’obiettivo di equilibrio economico dei bilanci.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione:
degli artt. 2, 3, 4, 6 e dell’Allegato al Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370/2007 e della Comunicazione della Commissione Europea 2014/C 92/01, pubblicata il 29 marzo 2014, “sugli orientamenti interpretativi concernenti il regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia’;
degli artt. 6, Legge n. 151/1981; 17, D. Lgs. n. 422/1997;
degli artt. 129 e 131 L.R. Lombardia n. 11/2009;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omessa valutazione di fatti decisivi oggetto di discussione ‘.
Si impugna la decisione della Corte ambrosiana, questa volta nella parte ha ritenuto che il calo dei costi nell’esercizio 2011 abbia compensato la riduzione del contributo regionale, risultando in tal modo salvaguardato l’equilibrio economico finanziario del bilancio dell’impresa.
Si imputa alla decisione di operare una duplice confusione: la prima tra l’equilibrio di bilancio , da una parte, e l’equilibrio della gestione ( profilo, quest’ultimo, che sarebbe il solo a rilevare
all’interno del rapporto concessorio), dall’altra; la seconda tra la riduzione dei costi dell’impresa (indipendente dalle condizioni del servizio erogato), da una parte, ed il c.d. ‘efficientamento’ del servizio , dall’altra .
Argomenta la ricorrente che ‘l’idoneità e la congruità dei contributi pubblici di esercizio a garantire l’equilibrio di bilancio nella gestione del servizio non può pertanto che essere esaminata in relazione agli specifici obblighi imposti per quel servizio’ mentre ‘viceversa, la Corte di Appello valorizza ‘cali dei costi’ dell’azienda, che non sono però cali dei costi inerenti il servizio svolto, che sono rimasti immutati, non avendo potuto la ricorrente accedere da alcun ‘efficientamento’ degli stessi, come si dirà più avanti’ .
In sintesi, secondo la ricorrente, ‘la sentenza impugnata, attribuendo rilevanza a circostanze e fatti estranei alla concessione ed alle modalità di esecuzione del servizio, ha (i) violato le norme di legge in materia, che ancorano la determinazione dei contributi di esercizio a fattori direttamente connessi alle effettive condizioni di svolgimento dello stesso ed agli obblighi imposti; (ii) omesso di considerare che l’efficientamento, come previsto negli atti regionali, per essere rilevante doveva incidere sui servizi oggetto di concessione, modificandone la consistenza qualitativa e/o quantitativa; (iii) omesso di considerare che tale efficientamento avrebbe dovuto essere oggetto di uno specifico accordo con la concessionaria; (iv) omesso di considerare che per espressa ammissione dell’Amministrazione regionale il predetto efficientamento non si è potuto attuare nel 2011 per le imprese in concessione’ .
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. Deve, in primo luogo, essere dichiarata l’inammissibilità di tutti i motivi, nella parte in cui gli stessi vengono a dedurre l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c.
Come costantemente esplicato da questa Corte, infatti, tale ipotesi è riferita all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni con conseguente inammissibilità delle censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Ulteriormente, secondo i principi fissati da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (e dalle successive Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017), l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., deve essere riferita ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con conseguente onere per la parte di indicare nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c.: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisività”.
Nel caso ora in esame, invece, la ricorrente, in tutti e tre i mezzi articolati nel ricorso, si è limitata ad un richiamo generico alla previsione del codice di rito, senza in alcun modo individuare, non solo e non tanto le circostanze di cui sarebbe stato omesso l’ esame, ma anche, e soprattutto, le sedi processuali nelle quali tali profili sarebbero stati dedotti.
Ulteriormente, si deve rilevare che il contenuto concreto delle deduzioni della ricorrente investe non l’omesso esame di ‘circostanze’ in senso storico -naturalistico bensì una nutrita serie di profili di natura squisitamente valutativa -e non fattuale -e, conseguentemente, si viene a tradurre in una mera censura indirizzata al merito della decisione impugnata, imputando a quest’ultima l’omessa valutazione non di ‘fatti’ bensì di argomentazioni e deduzioni, la cui collocazione processuale, peraltro, risulta, si ripete, del tutto indeterminata.
2.2. L’inammissibilità del ricorso quanto alla deduzione del vizio ex art. 360, n. 3), c.p.c. deriva, invece dalla constatazione della inadeguatezza delle censure mosse a quella che costituisce una delle rationes decidendi della sentenza della Corte meneghina, e cioè l’affermazione per cui – al di là della ritenuta assenza di elementi che consentissero di affermare l’esistenza sul piano normativo eurounitario, nazionale e regionale di un vincolo nella determinazione della misura minima del contributo regionale per le imprese che svolgono l’attività di trasporto pubblico in regime di concessione -nella specie assumeva rilevanza anche la constatazione del fatto che, per effetto delle iniziative della stessa ricorrente, il costo complessivo del servizio -a parità degli obblighi -si era contratto al punto che la riduzione del contributo non si era tradotta in una compromissione dell’equilibrio economico -finanziario della ricorrente.
Tale ratio risulta impugnata direttamente solo con il terzo motivo che, tuttavia, si viene a fondare su una serie di deduzioni -già richiamate nella sintesi del motivo -le quali abbondano nei riferimenti a profili in fatto e che non solo risultano estranee all’ambito dell’art. 360, n. 3), c.p.c. ma anche si palesano del tutto carenti sul piano del rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
Esempi di tali radicale carenze sono ravvisabili nel fatto che il motivo:
-in primo luogo, censura -ma inadeguatamente -l’accertamento in fatto svolto dalla Corte territoriale in ordine al fatto che il risparmio in concreto evidenziato dalla CTU derivava da un ‘efficientamento’ dei servizi;
-in secondo luogo, mira ad operare una distinzione tra equilibrio di bilancio ed equilibrio di gestione che -come già osservato in precedenza -non è assolutamente specificato se ed in quale sede processuale sia stata dedotta, traducendosi nell’apodittica l’affermazione per cui la somma risparmiata incideva solo sul bilancio e non anche sulla gestione;
-ulteriormente prospetta una sovrapposizione tra ‘obblighi di servizio’ e ‘sinallagma contrattuale’ che invece questa Corte ha già escluso in un proprio precedente (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 11257 del 10/05/2018).
In sintesi, il motivo risulta del tutto inidoneo ad intaccare la già evidenziata ratio decidendi in base alla quale nei costi di produzione devono ritenersi rientrare anche quelli per gli obblighi di servizio pubblico -dovendosi, evidentemente, compensare questi ultimi in base, appunto, ai relativi costi -con la conseguenza che la (dedotta) mancata riduzione degli obblighi di servizio non può ritenersi decisiva,
rilevando, invece, il profilo della riduzione del costo complessivo di produzione del servizio come accertata dal giudice di merito -peraltro in misura addirittura superiore all’importo di contributo decurtato rispetto all’anno precedente -con valutazione in fatto che -nei ristretti limiti entro i quali era possibile -non è stata adeguatamente censurata nella presente sede.
2.3. L’inammissibilità delle censure indirizzare alla ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale con riferimento allo specifico profilo fattuale vale, a questo punto, a rendere superfluo l’esame degli altri motivi di ricorso, riferiti invece al profilo in diritto relativo all’esistenza di un vincolo minimo di quantificazione dei contributi regionali.
Opera, infatti, il principio per cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima