Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 395 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 395 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27953-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
R.G.N. 27953/2017
COGNOME
Rep.
Ud. 27/09/2023
CC
Cartolarizzazione dei RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 930/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/09/2017 R.G.N. 913/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 28.9.17 la corte d’appello di Firenze, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione della società in epigrafe avverso avviso di addebito con il quale le era stato richiesto il pagamento di contributi e sanzioni dovuti per 26 dipendenti che, cessati fra il 2007 ed il 2011, avevano maturato il diritto all’indennità sostitutiva di preavviso.
In particolare, la corte territoriale ha escluso che i lavoratori -che avevano rinunciato in via conciliativa al preavvisoavessero disposto anche dei contributi sull’indennità sostitutiva del preavviso.
Avverso tale sentenza ricorre la società per tre motivi, cui resiste l’Inps con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce -ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.violazione dell’art.112 c.p.c., per avere la corte territoriale pronunciato ultra-petita, in quanto l’Inps non aveva censurato la sentenza del tribunale nella parte in cui riteneva rinunciato il preavviso (e non solo l’indennità sostitutiva).
Il motivo è infondato: invero l’INPS ha proposto appello invocando sostanzialmente la contribuzione sul preavviso e censurando la sentenza del tribunale che l’aveva negata; nell’ambito di tale pretesa, la corte territoriale ha correttamente pronunciato attribuendo il bene della vita domandato.
Il secondo motivo deduce violazione degli articoli 434 e 436 bis codice di rito, per avere la corte territoriale trascurato che l’atto d’appello è privo dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c..
Il motivo, proposto con il richiamo del solo n. 3 dell’art. 360 c.p.c., è inammissibile in quanto non riporta il testo
dell’appello e la sentenza appellata , né argomenta specificamente sull’insufficienza del primo in relazione alla seconda. Il motivo è comunque infondato, in quanto dalla stessa sentenza impugnata si evincono con chiarezza le doglianze dell’istituto appellante.
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 1362 e 1363 cod. civ., per avere la corte territoriale violato il criterio letterale della comune intenzione dell’accordo conciliativo ove l’effetto solutorio derivava dalla conciliazione e non dall’atto del licenziamento.
Anche tale motivo pone profili di inammissibilità in quanto non riporta il testo delle disposizioni da esaminare, non mettendo questa Corte in condizione di apprezzare la portata del vizio denunciato. Ad ogni modo, il motivo è comunque infondato, atteso che la corte territoriale ha chiaramente indicato (richiamando la messa in mobilità dei lavoratori con comunicazione all’ufficio territoriale del lavoro e la comunicazione dei licenziamenti all’esito della procedura ex lege 223/91) le ragioni per le quali ha ritenuto la cessazione del rapporto ascrivibile al recesso datoriale e non alla conciliazione.
In tale contesto, l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano soddisfatti o meno gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti; pertanto attesa l’autonomia dei due rapporti, lavorativo e previdenziale, la transazione non spiega effetti nei
confronti dell’ente previdenziale che fa valere il credito contributivo.
Questa Corte in tema ha già precisato in linea generale (Sez. L, Sentenza n. 17495 del 28/07/2009, Rv. 609509 -01; conf. Sez. L, Sentenza n. 3686 del 17/02/2014, Rv. 629746 – 01) che le somme corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in esecuzione di un contratto di transazione non sono, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 – nel testo anteriore alla sostituzione operata dall’art. 6 del d.lgs. n. 314 del 1997 dovute in dipendenza del contratto, appunto, di lavoro, ma del contratto di transazione. Ne consegue che, rimanendo l’obbligazione contributiva insensibile agli effetti della transazione, l’INPS può azionare il credito contributivo provando -con qualsiasi mezzo ed anche in via presuntiva, dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito – quali siano le somme assoggettabili a contribuzione spettanti al lavoratore (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito sul presupposto che il giudice avesse erroneamente ritenuto che le somme erogate in esecuzione di un contratto di transazione fossero comunque soggette a contribuzione ed avesse, perciò, omesso di verificare eventuali rinunce da parte dei dipendenti a crediti realmente sussistenti). Nel medesimo senso si è detto (Sez. L, Sentenza n. 3122 del 03/03/2003, Rv. 560793 -01) che la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al
rapporto tra quest’ultimo e l’INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacché alla base del credito dell’ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta, in quanto l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera, ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti; pertanto, attesa l’autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l’INPS fa valere il credito contributivo.
Per altro verso, con specifico riferimento poi all’indennità di preavviso, va ricordato (con Cass. 12932 del 2021) che l’assoggettamento dell’indennità sostitutiva del preavviso alla contribuzione previdenziale consegue alla natura retributiva dell’indennità (v., fra le altre, Cass. nn. 5974 del 1984, 13395 del 1999, 9895 del 2016): è nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale indennità; se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto all’indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull’obbligazione pubblicistica, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente perché il negozio abdicativo proviene da soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare (INPS) (v., fra le altre, Cass. n. 17670
del 2007).
Con l’intimazione del licenziamento, l’indennità sostitutiva del preavviso rientra nel novero di «tutto ciò che ha diritto di ricevere» il lavoratore e viene attratta, per il suo intrinseco valore retributivo, nel rapporto assicurativo, autonomo e distinto, completamente insensibile, per quanto detto, all’effettiva erogazione e, dunque, all’argomento difensivo dell’essere o meno entrata nel patrimonio del lavoratore.
Può dunque affermarsi che, attesa l’autonomia del rapporti di lavoro rispetto a quello previdenziale, nel caso in cui il lavoratore licenziato rinunci in via conciliativa al diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, quand’anche la conciliazione abbia carattere novativo, tale rinuncia non incide in alcun modo né sulle modalità di cessazione del rapporto rilevanti ai fini previdenziali (essendo queste ricollegabili al recesso datoriale) né -anche per l’indisponibilità in ogni caso dell’obbligazione contributiva -sull’obbligo che il datore di lavoro ha verso l’ INPS, soggetto terzo rispetto all’intervenuta conciliazione, per il pagamento dei contributi previdenziali sull’indennità sostitutiva del preavviso.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 6.000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso oggi in Roma, nella camera di consiglio del 27