Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8592 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8592 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13643-2020 proposto da
COGNOME che si avvale della facoltà dell’art. 86 cod. proc. civ. ed è rappresentato e difeso, in forza di procura rilasciata in calce al ricorso, anche dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso l’indirizzo PEC
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura conferita a margine del controricorso, dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio, in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 1271 del 2020, pronunciata dalla CORTE D’APPELLO DI NAPOLI e depositata il 20 marzo 2020 (R.G.N. 662/2017).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G.N. 13643/2020
COGNOME
Rep.
C.C. 13/12/2024
giurisdizione Contributi minimi dovuti alla Cassa forense da pensionati di altri enti.
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 1271 del 2020, depositata il 20 marzo 2020, la Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha rigettato la domanda proposta dall’avvocato NOME COGNOME al fine di accertare l’insussistenza dell’obbligo di versare i contribut i minimi alla Cassa.
A fondamento della decisione, la Corte di merito ha argomentato che gli avvocati titolari di pensione di vecchiaia presso gli altri enti, iscritti alla Cassa già da pensionati, sono tenuti al versamento dei contributi minimi, in base all’art. 9, comma 7, del Regolamento di attuazione adottato dalla Cassa nazionale forense ai sensi dell’art. 21, comma 9, della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Al caso di specie non si applica, per contro, l’art. 7, comma 4, del citato Regolamento, riferibile ai soli «avvocati che maturino il diritto a pensione di vecchiaia della Cassa».
Solo in tal modo si restituisce coerenza al regime adottato dalla Cassa. Una diversa interpretazione sarebbe foriera d ‘incongruenze : l’art. 9, comma 7, del Regolamento negherebbe contraddittoriamente ai titolari di pensioni di vecchiaia o di anzianità di altri enti alcune agevolazioni legate al versamento dei contributi minimi, contributi minimi che essi, a rigore, non sarebbero tenuti a pagare, in virtù della previsione dell’art. 7, comma 4, del Regolamento, invocata dal professionista.
Il diverso trattamento riservato a chi risulti iscritto alla Cassa forense «in età pensionabile senza aver mai versato contribuzione in favore della stessa» non è irragionevole e risponde anche alla «prioritaria esigenza di garantire l’equilibrio di bilanc io» delle Casse privatizzate.
-L’avvocato NOME COGNOME ricorre per cassazione contro la sentenza d’appello, articolando due censure.
-La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense resiste con controricorso.
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione dell’art. 380bis .1. cod. proc. civ.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-In prossimità dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380 -bis .1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo, il ricorrente denuncia «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e lamenta che la Corte di merito si sia limitata a riportare il testo del primo periodo del comma 4 dell’art. 7 del Regolamento, senza considerare che la previsione in esame richiama la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e non è circoscritta agli «avvocati che avevano versato i necessari contributi nel corso della propria storia professionale» (pagina 8 del ricorso per cassazione). In tal senso militerebbero anche i lavori preparatori della legge 11 febbraio 1992, n. 141, intervenuta a modificare la legge 20 settembre 1980, n. 576.
-Con la seconda censura, il ricorrente si duole della violazione o della falsa applicazione «delle norme di diritto previste dall’art. 7, comma 4, primo periodo e secondo periodo, del ‘Regolamento di attuazione dell’art. 21, commi 8 e 9, legge 247/2012’» (pagina 13 del ricorso per cassazione).
La Corte territoriale avrebbe errato nel pretermettere l’univoco dato testuale della previsione regolamentare, che riguarderebbe tutti coloro che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, senza istituire distinzioni di sorta.
3. -In linea preliminare, dev’essere disattesa l’istanza di trattazione in pubblica udienza, alla luce del carattere consolidato dei princìpi di diritto che orientano nella soluzione del caso di specie (Cass., S.U., 5 giugno 2018, n. 14437). Sulle questioni devolute a questa Corte, non si apprezzano quei profili di particolare rilevanza nomofilattica, che la memoria illustrativa del ricorrente ha adombrato a supporto dell’istanza.
4. -I motivi possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto investono, sotto profili connessi, l’interpretazione delle previsioni del Regolamento adottato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.
5. -Le censure si rivelano inammissibili.
6. -Giova premettere che, per consolidato orientamento di questa Corte, i Regolamenti adottati dalla Cassa allo scopo di disciplinare il rapporto contributivo degl’iscritti e le prestazioni previdenziali e assistenziali da corrispondere ai beneficiari non si configurano come previsioni regolamentari in senso proprio, ma come fonti squisitamente negoziali. In senso contrario non rileva la successiva approvazione con decreto ministeriale. Il sindacato di questa Corte è, dunque, limitato all ‘ ipotesi in cui venga dedotta una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ. (Cass., sez. lav., 2 dicembre 2020, n. 27541).
Da tale inquadramento discendono i seguenti corollari.
Alla stregua di quel che si riscontra nell’interpretazione delle pattuizioni negoziali, quando siano praticabili due o più interpretazioni non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra. Invero, l’interpretazione presce lta nella sentenza impugnata non dev’essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle interpretazioni plausibili (Cass., sez. lav., 13 febbraio 2024, n. 3968, punto 5 delle Ragioni della decisione ).
Anche in tal caso si tratta d’ indagine di fatto, demandata al giudice di merito, ed è inammissibile quella censura che si risolva nella contrapposizione di un’esegesi diversa da quella accolta nella sentenza impugnata (nello stesso senso, in tema di Regolamenti delle Casse privatizzate, Cass., sez. lav., 19 agosto 2024, n. 22903, punto 6 delle Ragioni della decisione ).
7. -I motivi di ricorso s’incentrano, per un verso, sulla violazione di ‘norme di diritto’ (secondo mezzo), senza prospettare con la necessaria specificità la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, in coerenza con l’insegnamento costante di que sta Corte, che l’impugnazione non induce a rimeditare.
Per altro verso, le censure ambiscono, nella loro essenza, a contrapporre all’interpretazione tratteggiata nella sentenza d’appello una diversa, più appagante, lettura delle previsioni regolamentari, senza avvalorare in maniera risolutiva l’implausibilità dell’opzione ermeneutica privilegiata dai giudici del gravame.
8. -La Corte territoriale, senza arrestarsi al dato letterale, l’ha inquadrato nel contesto delle restanti disposizioni e ha posto l’accento su ragioni di armonia del sistema e sulle esigenze di sostenibilità del regime previdenziale complessivamente inteso.
In tale disamina, la sentenza impugnata non ha trascurato di soppesare la peculiarità della posizione dei pensionati di altri enti ed eventuali profili di lesione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
Come ha evidenziato la Cassa (pagine 19 e seguenti del controricorso), con rilievi sviluppati anche nella memoria illustrativa e non efficacemente avversati dalla parte ricorrente, lo stesso giudice delle leggi, nella sentenza n. 67 del 2018, ha posto in risalto la specialità del regime di favore che la disciplina normativa ratione temporis applicabile apprestava per gli avvocati pensionati della Cassa,
compensandoli per il costante apporto prestato negli anni al sistema previdenziale di categoria.
Poste tali premesse, la Corte costituzionale ha escluso ogni arbitraria disparità di trattamento rispetto alla posizione dell’avvocato che non sia stato iscritto alla Cassa e che alla Cassa non abbia dunque, nel corso degli anni, contribuito.
Anche da quest’angolo visuale, l’interpretazione recepita dai giudici d’appello, nel ricostruire la portata delle previsioni regolamentari, si dimostra plausibile.
-Peraltro, m ediante il richiamo all’omesso esame di un fatto decisivo (prima doglianza), il ricorrente, lungi dal l’evocare l’omesso esame di una circostanza naturalistica idonea a mutare il segno della decisione, in conformità al paradigma tipizzato dal codice di rito (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), sollecita una diversa valutazione di una previsione regolamentare che la Corte di merito ha ponderato, nella sua connessione sistematica con un’altra previsione specificamente indirizzata ai titolari di pensione di vecchiaia di altri enti.
Coglie, dunque, nel segno l’eccezione d’inammissibilità sollevata, a tale riguardo, dalla parte controricorrente (pagine 11 e seguenti del controricorso).
L’enfasi sul dato letterale del Regolamento e sui lavori preparatori della legge n. 141 del 1992 non infirma, in ultima analisi, la plausibilità dell’interpretazione che la Corte di merito, con riferimento a una previsione distinta e successiva, ha mostrato di prediligere, alla luce di elementi sistematici e teleologici, imprescindibili per intendere lo stesso dato letterale e peraltro coerenti con le considerazioni formulate da ultimo dalla Corte costituzionale.
-In definitiva, le censure sono irrituali e il ricorso dev’essere dichiarato, nel suo complesso, inammissibile.
11. -Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, alla luce del valore della pretesa dedotta in causa e dell’attività processuale svolta.
12. -La declaratoria d’inammissibilità del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione