Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9362 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9362 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18723/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOMECOGNOME con domicilio digitale in atti.
–
CONTRORICORRENTE- nonché
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTI – avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di TRENTO – SEZ. DI BOLZANO – n. 48/2020, depositata il 03/04/2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME E NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME (nata nel 1925) ha evocato in giudizio il fratello NOME COGNOME, NOME COGNOME ved. COGNOME, NOME COGNOME (nata nel 1974), NOME COGNOME ed NOME COGNOME, rispettivamente moglie e figlie del germano premorto NOME COGNOME, instando per la divisione dell’eredità di NOME COGNOME e per ottenere il rendiconto della ‘tenuta Torricella’ gestita da NOME COGNOME e poi dalle sue eredi, con richiesta di conferire alla massa i frutti e i contributi della Comunità Europea percepiti in costanza di comunione .
NOME COGNOME si è associato alle domande, proponendo riconvenzionale di condanna dei coeredi al rimborso delle imposte di successione. Le eredi di NOME COGNOME hanno eccepito di aver condotto il fondo agricolo in forza di un patto agrario tra NOME COGNOME e NOME COGNOME
Con sentenza n. 106/1994 il Tribunale di Bolzano ha rimesso la riconvenzionale alla Sezione specializzata agraria, ha dichiarato tardiva la richiesta di rimborso delle spese funerarie e ha disposto la prosecuzione del giudizio per la divisione.
Con pronuncia n. 152/1997, confermata in appello, la riconvenzionale è stata respinta dalla Sezione specializzata agraria del Tribunale, negando l’esistenza di un rappo rto di affitto agrario avente ad oggetto la tenuta caduta in successione.
Il giudizio di divisione ereditaria è proseguito nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME eredi d ell’attrice, nel frattempo deceduta ; il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 278/2006, ha dichiarato le eredi di NOME COGNOME debitrici verso la massa ereditaria del reddito percepito dalla Tenuta
COGNOME, con decorrenza dall’apertura della successione sino alla riconsegna dell’azienda all’amministratore giudiziale .
La pronuncia è stata riformata dalla Corte d’appello che, con sentenza n. 12/2007, poi confermata in cassazione, ha negato che i frutti potessero essere quantificati in base al reddito ottenuto della gestione della tenuta, dando, infine, atto del passaggio in giudicato della pronuncia che aveva dichiarato la tardività della domanda di rimborso dell ‘ imposta di successione.
Successivamente, il giudice di primo grado – con sentenza n. 620/2009 -ha sospeso il giudizio su ogni altra domanda, ha diviso il fondo Torricella in tre lotti e, con sentenza n. 20/2011, ne ha disposto l’assegna zione per stirpi, ordinando, con sentenza n. 568/2012, il frazionamento e la trascrizione della divisione.
Le eredi di NOME COGNOME hanno riassunto il giudizio sospeso con la sentenza n. 620/2009 per ottenere la quantificazione dei frutti della tenuta, inclusi i contributi comunitari, lamentando che la porzione loro assegnata si era deprezzata a causa di taluni incendi, rendendo necessaria una nuova stima e una diversa divisione dell’asse .
Il Tribunale, con decisione n. 1337 del 2014, ha dichiarato inammissibili tutte le nuove domande, ad eccezione di quella volta ad ottenere il pagamento dei frutti, che ha quantificato in base al canone locativo del fondo, con esclusione dei contributi comunitari, per un importo, in favore di ciascuna stirpe, di € 22.238,00 .
La decisione è stata riformata in appello.
Per quel che ancora rileva in questa sede , la Corte d’appello ha ribadito che i frutti percepiti da NOME COGNOME e dalla eredi non ricomprendevano il reddito d’impresa, dovendo essere quantificati in base al valore di mercato dei quantitativi di olive prodotte, maggiorati dai contributi comunitari ottenuti dalla gestione del fondo nell’interesse di tutti i coeredi e dalla trasformazion e del prodotto, ponendone l’onere a cari co solidale degli eredi di NOME COGNOME.
Nel ribadire che era passato in giudicato la pronuncia di tardività della domanda di rimborso della tassa di successione, ha affermato che tale giudicato non impediva al coerede di esercitare in un separato giudizio l’azion e di regresso verso gli altri obbligati.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME sulla base di dieci motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME hanno notificato autonomi controricorsi.
Il Procuratore generale ha fatto pervenire conclusioni scritte; le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso : l’attestazione di conformità delle copie analogiche della notifica telematica del ricorso è stata depositata in data 5/9/2024 e, quanto all’attestazione della conformità della copia della relata di notifica telematica della sentenza impugnata, il deposito è avvenuto il 6.12.204, prima della discussione (Cass. Su 8312/2019).
Sono inammissibili le nuove memorie depositate dal difensore delle controricorrenti NOME COGNOME dopo il rinvio dell’udienza pubblica del 17.012.2024 per effetto del quale le parti non potevano formulare ulteriori difese.
Il primo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’ art. 324 c.p.c., per aver la Corte territoriale attribuito ai coeredi il controvalore dei frutti naturali del fondo Torricella in violazione della sentenza 12/20007, passata in giudicato, che aveva riconosciuto i frutti civili da quantificare in base al canone di locazione della tenuta.
Il motivo è infondato.
La sentenza n. 12/2007 si è limitata a dichiarare illegittimo il calcolo dei frutti percepiti dai gestori della tenuta Torricella in base al criterio del reddito di impresa ricavato dalla produzione e
commercializzazione d ell’olio di oliva, poiché tale reddito non derivava direttamente dalla res comune, ma era il prodotto delle attività imprenditoriali svolte dai coeredi nel possesso del bene.
Esplicita nella pronuncia -oltre che nella pronuncia di legittimità n. 10892/2013 è l’affermazione che il Tribunale avrebbe potuto e dovuto autonomamente individuare il criterio di quantificazione del valore dei frutti, non volendo la Corte di appello condizionare o invadere le competenze del giudice della divisione (cfr. sentenza, pag. 41 e 42).
E’ perciò esente da censure la pronuncia di appello che, rilevando che il Tribunale, con sentenza 1137/2014, aveva applicato il criterio del valore locativo, ha affermato che NOME COGNOME aveva utilizzando il fondo a uliveto oltre la quota di sua spettanza, percependone i frutti naturali, non più esistenti al momento della successione, dovendo conferire il controvalore alla massa.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 723, 820 e 821 c.c., sostenendo che i coeredi avevano titolo a percepire la loro quota dei frutti civili non dei redditi di impresa, occorrendo prescindere dai risultati delle attività poste in essere dal singolo compossessore ed evitare un indebito arricchimento degli altri contitolari.
Il motivo è infondato.
Il criterio della liquidazione del controvalore dei frutti naturali adottato dal giudice di merito si basa sul rilievo che oggetto della comunione era il terreno destinato ad oliveto.
Le stesse ricorrenti avevano inizialmente sostenuto di aver goduto dei beni in forza non di un fitto di azienda, ma di un affitto di fondo agricolo, assunto respinto dalla Sezione agraria del Tribunale con sentenza passata in giudicato, per non aver rinvenuto prova del versamento di un corrispettivo, non già perché oggetto del rapporto fosse un’azienda.
Quest’ultima poteva ricadere nell’asse da dividere solo ove fosse provata la sua appartenenza al de cuius secondo la consistenza del momento dell’apertura della successione (Cass. 1366/1975), appartenenza di cui non dà conto la sentenza impugnata, né il ricorso indica se dove sia stata accerta nei precedenti gradi di merito.
Anche ove l’impresa sia comune ma venga esercitata da uno o da taluni soltanto degli eredi, resta la comunione incidentale ma è limitata all’azienda cosi come relitta dal de cuius con gli elementi esistenti alla data dell’apertura della successione, mentre l’impresa esercitata dal singolo o da parte dei coeredi e riferibile soltanto ad esso o ad essi con gli utili e le perdite (Cass. 1366/1975; Cass. 10188/2019).
3.1 NOME COGNOME aveva posseduto in via esclusiva i soli terreni ad oliveto, sicché i frutti percepiti, una volta distaccati dalle piante, erano caduti in comunione ed appartenevano a tutti i coeredi; di essi si era appropriato il coerede nel possesso della tenuta, che li aveva trasformati dopo averli fatti propri.
Occorre ricordare che i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione sono di proprietà di tutti i partecipanti e non possono, salva diversa volontà delle parti, diventare di proprietà esclusiva del condividente (Cass. 2975/1991; Cass. 1218/1970; Cass. 9659/2000; Cass. 18548/2022). Finché dura lo stato di indivisione, la comunione ricomprende le singole componenti della massa comune (Cass. 925/1979).
Gli effetti dichiarativi della divisione ereditaria, secondo cui ciascun condividente è considerato successore immediato del de cuius nei beni di cui diviene titolare, non determinano anche l’automatica attribuzione agli assegnatari dei frutti (naturali o civili) che i beni medesimi abbiano prodotto durante lo stato di comunione, già separati dalla cosa che li produce; se non distribuiti fra i coeredi, in proporzione delle quote, formano una massa indivisa, sulla quale ciascun partecipante ha un diritto di natura e consistenza identiche
a quelle del diritto sui beni della comunione. Ne consegue che l’acquisizione da parte di un erede di frutti maturati durante la comunione, ancorché prodotti da beni poi assegnatigli per norma dettata dal testatore, fa sorgere un corrispondente debito verso i coeredi (art 724, secondo comma, c.c.), con il diritto di questi ultimi di effettuare prelevamenti dalla massa ereditaria in proporzione delle rispettive quote o con obbligo del coerede, ove i frutti non siano più esistenti, di versare agli altri il controvalore (Cass. 4131/1976; Cass. 2116/1959; Cass. 21013/2011).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 723, 820, 821, 2082, 1703 c.c., 12 preleggi e art. 132 n.4 c.p.c., lamentando l’ insussistenza dei presupposti per ravvisare nell’attività di produzione di olio un ‘ utile gestione di affari altrui da parte del coerede nel possesso del fondo, posto che detta gestione era iniziata prima dell’apertura della succ essione, che mancava il requisito dell ‘ utilità iniziale anche per gli altri coeredi e che con la citazione introduttiva era stato chiesto il rendiconto e la divisione, opponendosi alla conduzione del fondo da parte di NOME COGNOME non potendosi suddividere tra tutti anche i contributi comunitari alla produzione, non costituendo essi frutti naturali del fondo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 820, 821, 723 e 713 c.c. e l’ omesso esame circa un fatto decisivo in ordine alla preesistenza di un’azienda, sostenendo che la comunione comprendeva il terreno ad oliveto, ma non l’azienda di cui non era titolare il de cuius ma NOME COGNOME essendo la trasformazione dei frutti raccolti e la percezione degli aiuti comunitari null’altro che esplicazione dell’eserc izio dell’imp resa agricola e non modalità di gestione della comunione.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 5 del REG.CEE n.136/1966, 1 del Reg CEE 2261/84, e dei REG. CEE 1782/2003 e 795/2004, per aver la Corte territoriale attribuito gli aiuti comunitari anche agli altri coeredi non conduttori e non
olivicoltori, sebbene la normativa comunitaria riconoscesse gli aiuti alla produzione soltanto al produttore come forma di sostegno al reddito.
Con il sesto motivo di ricorso si censura l’ omesso esame di un fatto decisivo e vizio di motivazione. Lamentano i ricorrenti che in corso di causa erano state espletate due diverse consulenze, la prima delle quali, nel 2005, aveva quantificato il reddito aziendale e la seconda il valore locativo della tenuta, utilizzato dal Tribunale per la liquidazione del controvalore dei frutti. Il giudice di appello, pur riformando la prima pronuncia, avrebbe erroneamente fatto proprio il criterio di valutazione aziendale basata sull’analisi dei costi e ricavi , tra cui gli aiuti comunitari, peraltro sul presupposto della totale carenza di documentazione utile ai fini della quantificazione delle diverse poste.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione del REG.CEE n. 1782/2003 e degli artt. 1703, 2082 c.c., 12 preleggi e 132 n.4 c.p.c.. A parere delle ricorrenti, la Corte territoriale non poteva ordinare il rimborso dei contributi erogati dal 2005 al 2013, poiché la tenuta era stata riconsegnata nel 2005 all’amministratore giudiziario e che da tale data le ricorrenti non avevano più gestito l’attività di produzione di olio.
4.1. I motivi terzo, quarto e quinto sono fondati, con assorbimento del sesto e del settimo.
NOME COGNOME e poi gli eredi hanno posseduto in costanza di comunione il fondo Torricella impiantato ad oliveto, effettuando i raccolti e trasformando il prodotto per la produzione di olio, il cui quantitativo era stato denunciato all’ Aima, ottenendo per vari anni aiuti comunitari ex Reg. CE 166/1967 e successivi (cfr. sentenza pag. 32). La sentenza non dà conto dell’appartenenza alla comunione di un’azienda impiegata dal coerede per la produzion e di olio.
La pronuncia di appello n. 12/2007, confermata in cassazione, ha negato ai coeredi il diritto di concorrere sul reddito ottenuto dalla gestione della tenuta.
Con la decisione impugnata è stato -infine -liquidato ai controricorrenti il valore venale dei quantitativi medi dei frutti naturali della tenuta, impiegati nel processo per la produzione dell’olio e non più esistenti al momento della divisione, maggiorato dall’impo rto dei contributi comunitari , sull’assunto che, proprio per effetto del sistema di aiuti, il prezzo di mercato scontasse l’intervento pubblico di sostegno volto ad assicurare un livello di reddito idoneo a garantire la continuità della produzione. Essendo calmierato, il prezzo delle olive non poteva esprimere -secondo la Corte distrettuale – un valore attendibile del frutti naturali.
4.2. Le misure di aiuto alla produzione agricola, nella originaria previsione del Regolamento 136/1966, erano finalizzate per contenere gli effetti dall’eliminazione delle barriere all’importazione per l’esigenza di fronteggiare la concorrenza dei paesi extracomunitari, in modo da prevenire crisi del settore produttivo interno a causa ( specie per l’olio di oliva ) della possibile contrazione dei prezzi dei prodotti concorrenti e degli alti costi di produzione (considerando 3 del Reg. CEE 136/1966).
Il suddetto regolamento aveva assegnato alla Comunità il compito di fissare, per l’olio di oliva, un prezzo indicativo alla produzione ed un prezzo indicativo di mercato; quando il primo fosse stato superiore al secondo, era attribuito ai produttori di olio, con l’impiego di olive raccolte nel territorio comunitario, un’integrazione pari alla differenza esistente fra i due prezzi, con la specifica finalità di contribuire alla formazione di un reddito equo per i beneficiari e di mantenere un adeguato livello di produzione dai paesi CEE (art. 4 e 10 del Reg. 136/1966).
L’aiuto era determinato in base al quantitativo di olio d’oliva effettivamente prodotto.
Il criterio di calcolo è mutato con il Reg. CEE n. 1782/2003, che ha adottato il sistema del pagamento unico e del disaccoppiamento dell’entità d e ll’aiuto dalla quantità di produzione, agganciandolo all’estensione delle superfici disponibili .
L ‘aiuto è però rimasto uno strumento di integrazione del reddito del produttore, al fine di assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola, strettamente connesso al mantenimento delle zone rurali, con la previsione di talune condizionalità (rispetto delle norme relative all’ambiente, alla sicurezza alimentare, al benessere e alla salute degli animali, al mantenimento dell’azienda in buone condizioni agronomiche e ambientali; cfr. considerando nn. 21 e 24 del reg. CE 1782/2003).
Il sistema del pagamento unico, sganciato dai quantitativi prodotti, ha svolto l ‘ ulteriore funzione di rendere flessibile la produzione in relazione a possibili oscillazioni della domanda, con la correzione dei livelli produttivi a contributo sostanzialmente invariato e con la specializzazione colturale delle aziende.
4.3. Già nel regolamento CE 136/1966 e con il D.L. 912/1966 convertito con modificazioni con l. 1143/1966, gli aiuti erano riconosciuti ai produttori di olio, ossia ai coltivatori che, con la trasformazione delle olive in olio – ottenuta con mezzi propri ovvero con l’ausilio di terzi cessionari delle olive -avessero immesso l’olio al consumo per il conseguimento di un utile (Cass. 2538/1972; Cass. 4026/1976).
Il contributo non spettava ai semplici coltivatori-produttori delle olive, a conferma della stretta correlazione dell’aiuto con l’immissione sul mercato del prodotto (cfr. Corte di giustizia sentenza 8.11.1977- causa 36/1977, secondo cui l’espressione « produttori di olio di oliva » di cui all’art. 10 del Regolamento CEE n. 136 del 1966, si riferisce ai fabbricanti del prodotto trasformato, ossia dell’olio di oliva, non ai produttori del frutto; Cass. 3998/1979; Cass. 3876/1979).
Produttore era colui che avesse la titolarità e l’effettiva gestione dell’impresa agraria, non chi che da essa, a qualsiasi titolo, avesse tratto un reddito (Cass. 2524/1974).
La semplice trasformazione delle olive in olio non dava di per sé titolo agli aiuti comunitari (Cass. 2538/1972; Cass. 4026/1976), costituendo solo una fase della più complessa attività produttiva di cui costituiva elemento indispensabile l’organizzazione gestita dal Viti per la immissione dell’olio al consumo.
Gli aiuti comunitari, quali misure di sostegno al reddito, non potevano essere conteggiati nella comunione, essendo accordati per la produzione di olio (diretto al consumo) svolta dal gestore e, dunque, quale effetto ulteriore della conduzione dell’azienda .
Non era comunque invocabile l’art. 2028 c.c. per riconoscere ai coeredi un concorso sulle somme percepite dal COGNOME quale contributo al sostegno del reddito, poiché l’attività di produzione, che dava titolo all’aiuto, era svolta dal COGNOME nel proprio esclusivo interesse, non nell’interesse prevalente dei coeredi (Cass. 22621/1965; Cass. 2577/1985).
Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., sostenendo che le ricorrenti non potevano rispondere dei frutti poiché la conduzione dei terreni era stata svolta da NOME COGNOME che aveva anche incamerato i contributi comunitari.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza ha evidenziato in proposito che già nel giudizio dinanzi alla sezione specializzata agraria le ricorrenti avevano sostenuto di aver tenuto in affitto l’immobile , senza mai porre in discussione di dover rispondere dei frutti, tanto da non formulare alcuna specifica impugnazione specifica su tali profili.
A dette argomentazioni nulla replica il ricorso, sollecitando un riesame del merito non consentito in questa sede, impregiudicato il
fatto che, per quanto illustrato, le ricorrenti non rispondono per la restituzione degli aiuti comunitari.
6. Con il nono motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 113, 324 c.p.c. e 2909 c.c., lamentando che la sentenza, dichiarata la tardività della domanda di rimborso della tassa di successione, abbia ritenuto che detta domanda poteva essere riproposta in un separato giudizio.
Il motivo è infondato.
La domanda di rimborso delle imposte di successione è stata respinta in rito per tardività, il che non ne precludeva, già in astratto, la riproposizione, in mancanza di un giudicato sostanziale sulla spettanze del rimborso.
Dette spese vanno annoverate tra i pesi ereditari, essendo sorte in occasione dell’apertura della successione , e soggiacciono al regime dei debiti di cui all’art. 754 c.c., potendo essere separatamente azionate dal coerede che abbia pagato (Cass. 28/2002; Cass. 3489/1977; Cass. 1994/2016) anche in pendenza di comunione, potendo -in alternativa – egli chiedere che ciascun coerede imputi alla propria quota la somma di cui è debitore, così da procedere, prima della divisione, al prelevamento, dalla massa comune di quanto anticipato per il pagamento del debito (Cass. 28955/2023).
Con il decimo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt.
113 c.p.c., 183, 184 e 190 c.p.c. in materia di mutatio ed emendatio libelli per aver la Corte distrettuale non considerato come nuove -seppur formulate per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni – le domande proposte dalle eredi di NOME COGNOME volte ad ottenere la divisione delle somme percepite dalle ricorrenti a titolo di contributi comunitari.
Il motivo è infondato.
La deduzione che tra i frutti dovessero ricomprendersi anche i contributi comunitari dava luogo ad una mera precisazione della domanda già introdotta in citazione, con cui erano stati richiesti, con
formula onnicomprensiva tutti i frutti e i ricavi , da intendersi non restrittivamente, come l’insieme dell e poste attive ricollegabili alla gestione dei terreni.
La richiesta dei contributi non integrava una mutatio libelli , comunque ammissibile anche all’udienza di precisazione delle conclusioni nei giudizi sottoposti introdotti anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, per accettazione del contraddittorio riconducibile ad un atteggiamento non oppositivo delle altre parti (Cass. 14121/2004; Cass. SU 4712/1996).
8. Segue accoglimento dei motivi terzo, quarto e quinto, con rigetto dei motivi primo, secondo, sesto, ottavo, nono e decimo e assorbimento degli altri. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi terzo, quarto e quinto, rigetta i motivi primo, secondo, sesto, ottavo, nono e decimo e dichiara assorbiti gli altri, cassa sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione