Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7140 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7140 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 31578/2021 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI.
– Intimato – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Bari n. 902/2021 depositata in data 11/05/2021.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 17 ottobre 2024.
Sanzioni amministrative
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso l’ordinanza n. 195/2017 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che le ingiungeva il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 170.361,47, per la violazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 898/1986, perché, quale titolare di un’impresa a gro-zootecnica, aveva richiesto e indebitamente ottenuto dall’AGEA contributi comunitari, per anni dal 2011 al 2013, avendo creato un’azienda agricola, in parte fittizia, con la disponibilità di una superficie fondiaria falsamente condotta.
Il Tribunale di Bari, nel contraddittorio del l’amministrazione, ha rigettato l’opposizione, con sentenza n. 704/2020, che è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari, la quale ha respinto l’appello della parte privata.
Avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è rimasto intimato.
Il relatore ha formulato proposta ex art. 380 bis. c.p.c. (nella versione ratione temporis vigente) di inammissibilità del ricorso per cassazione.
All’adunanza del 14/10/2022, il Collegio ha rinviato alla pubblica udienza in assenza di evidenza decisoria.
Da ultimo il Pubblico ministero ha depositato una memoria nella quale ha chiesto che il ricorso sia respinto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2697, 2700 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la CDA di Bari attribuito valore di prova legale alle dichiarazioni dei terzi assunte dal Corpo Forestale dello Stato circa la natura fittizia dei contratti di comodato stipulati dalla ricorrente al fine di ottenere i contributi comunitari.
1.1. Il motivo è infondato.
È orientamento consolidato della Corte ( ex multis , Sez. 2, Sentenza n. 6565 del 20/03/2007, Rv. 596066 – 01), che «nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa pecuniaria, il verbale di accertamento dell ‘ infrazione può assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l ‘ eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni ».
La CDA di Bari, senza discostarsi da questo principio di diritto, non ha fondato la propria decisione sull’efficacia di prova legale dell’accertamento della p.a. , ma si è basata sulle risultanze probatorie (specialmente le dichiarazione rese durante le indagini dai proprietari dei fondi rustici) e ha ravvisato la natura fittizia dei contratti di
comodato (funzionali all’ottenimento dei premi comunitari) in quanto stipulati con soggetti diversi dai titolari del terreni.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 9 d.m. 1922/2015 per avere la sentenza qui impugnata ha trascurato che l’ente pagatore non ha inviato ai proprietari dei terreni – per i quali la ricorrente aveva chiesto i contributi – la comunicazione prevista (appunto) dall’articolo 9 invitandoli a esprimere, entro trenta giorni, la propria eventuale opposizione, in assenza della quale gli aiuti dovevano considerarsi legittimamente richiesti e/o erogati.
2.1. Il motivo è infondato.
È corretta la statuizione della CDA di Bari, la quale ha considerato irrilevante il richiamo all’art. 9 d.m. n. 1922/2015: la norma infatti mira ad agevolare la prova della titolarità di un valido titolo di disponibilità del fondo, ma non è certamente idonea a sanare situazioni nelle quali la domanda di percezione degli aiuti sia ancorata a titoli fittizi.
In termini generali, la necessità che, ai fini del conseguimento del diritto a ll’aiuto, l’agricoltore alleghi validi titoli giuridici, è confermata anche dalla Cassazione penale (Sez. 2, Sentenza n. 1161 del 14/11/2018, in connessione con Cass. pen. n. 42363 del 2012), secondo cui è legittima la normativa nazionale recettiva del regolamento C.E. n. 1254 del 1999 (il quale prevede premi zootecnici comunitari a fronte del dichiarato utilizzo di pascoli di proprietà di enti pubblici, per i quali non esisteva alcun titolo giuridico e/o era esclusa in fatto la pascolabilità), nella parte in cui stabilisce che il soggetto che richiede i premi previsti dal suddetto regolamento debba produrre validi titoli giuridici che attribuiscano al coltivatore/allevatore la disponibilità dei terreni, non essendo sufficiente l’occupazione sine titulo dei fondi per i quali è richiesto il beneficio comunitario.
Il terzo motivo denuncia ‘omesso esame di un fatto decisivo’, ‘omessa motivazione’ e la violazione degli artt. 57, 58 e 60 reg. CE 1122/2009.
Si addebita alla CDA di Bari di avere omesso di prendere posizione sul motivo di appello che faceva valere l’ insussistenza della ‘ dichiarazione eccessiva frutto di un comportamento intenzionale ‘ (che elide in radice il diritto all’aiuto ) in mancanza di una precedente ammonizione della beneficiaria da parte dell’autorità.
3.1. Il motivo, articolato in tre distinte censure, è complessivamente inammissibile.
Innanzitutto, quanto alla prima censura (‘omesso esame su fatto decisivo’) , opera la previsione d ‘ inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all ‘ art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis ), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). La ricorrente non indica, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., in quale misura siano tra loro diverse le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell ‘ appello (tra le altre, Cass. n. 5947 del 2023). Il secondo rilievo critico (‘omessa motivazione’) è inammissibile dato che la motivazione della sentenza d’appello soddisfa il requisito del ‘minimo costituzionale’, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679). L’ultima censura, in punto di error in iudicando , si sostanzia nell’inammissibile richiesta, rivolta alla Corte di cassazione, di sindacare la sussistenza del profilo psicologico della
sanzione ( l’intenzionalità della violazione), quale attività rimessa al giudice di merito e sottratta al vaglio di legalità della decisione demandato alla S.C.
Il quarto motivo censura la violazione degli artt. 112, 436 c.p.c., e degli artt. 24 e 111 Cost. perché la sentenza si fonderebbe su questioni, come la fittizia conduzione dei fondi da parte della sig.ra COGNOME e l ‘invalidità delle clausole dei contratti di affitto dei terreni che l’interessata aveva utilizzato per ottenere i premi , che non sono mai state dedotte o eccepite nel corso del giudizio.
4.1. Il motivo è inammissibile per carenza di decisività: la ricorrente non allega, in maniera puntuale, né dimostra che vi sia una correlazione tra la sentenza in esame, confermativa della legittimità della sanzione, e i ‘fatti e/o situazioni’ per altro, nemmeno ben delineati in ricorso – assuntivamente estranei al tema del decidere che la stessa Corte territoriale (secondo la generica prospettazione della parte privata) avrebbe posto a base della decisione.
Il quinto motivo lamenta ‘ omessa e contraddittoria motivazione’ e la violazione dell’art. 23 comma 13 della legge n. 689/1981 per non avere la Corte territoriale ridotto la sanzione pur essendo pacifico che la ricorrente aveva legittimamente ottenuto aiuti comunitari anche in relazione ad altri fondi rustici (in agro di Irsina) in relazione ai quali il ministero non aveva formulato alcuna contestazione.
5.1. Il motivo non è fondato.
È orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. 2, Ordinanza n. 4844 del 23/02/2021, Rv. 660460 – 01) che, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l ‘ entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi
oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata, ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta.
Nella specie, il giudice di merito, senza incorrere nella prospettata violazione di legge, con una valutazione discrezionale – insindacabile in sede di legittimità e non attinta da specifica censura – ha ritenuto congrua la sanzione applicata, ha precisato che essa si riferisce agli illeciti contestati (consistenti nella richiesta, in assenza dei requisiti necessari, di contributi comunitari in relazione a determinati fondi) e, infine, ha escluso che vi sia una correlazione tra la stessa sanzione e la legittima detenzione, da parte dell’imprenditrice sanzionata, di altri fondi rustici per i quali gli aiuti comunitari sono stati legittimante chiesti e ottenuti.
In definitiva, rigettati il primo, il secondo e il quinto motivo, dichiarati inammissibili il terzo e il quarto motivo, il ricorso va rigettato.
Nulla occorre statuire sulle spese del giudizio di cassazione, al quale il ministero non ha partecipato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile,