Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33774 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33774 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16188-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALENOME RAGIONE_SOCIALE“, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 4091/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/11/2018 R.G.N. 144/2016;
Oggetto
Contributi previdenziali RAGIONE_SOCIALE
R.G.N. 16188/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 23.11.2018, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo con cui il locale Tribunale le aveva ingiunto il pagamento dei contributi omessi in danno di un lavoratore addetto all’ufficio stampa;
che avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria;
che l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, anch’esso successivamente illustrato con memoria;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 16.10.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico motivo di censura, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 9, l. n. 150/2000, e 1, comma 2, d.lgs. n. 29/1993, e succ. mod. e integraz., per avere la Corte di merito ritenuto l’applicabilità nei suoi confronti delle disposizioni del primo dei due testi normativi cit., recante disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, ancorché essa non costituisca ‘pubblica amministrazione’ ai sensi dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 29/1993, cit., essendo piuttosto una società per azioni in house del RAGIONE_SOCIALE;
che, al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver ricostruito il compendio delle attività svolte dal lavoratore in questione, hanno concluso nel senso che questi, ‘iscritto come
giornalista pubblicista, [aveva] svolto assiduamente attività RAGIONE_SOCIALEca in qualità di addetto stampa, redigendo comunicati che inviava regolarmente alle testate RAGIONE_SOCIALEche [e] curando i contenuti RAGIONE_SOCIALEci del sito istituzionale e i contatti con gli organi di informazione’, ritenendo che si trattasse di ‘attività che integra gli elementi tipici della professione RAGIONE_SOCIALEca nell’ambito delle strutture addette all’informazione istituzionale e dai rapporti con la stampa che caratterizzano la figura professionale dell’addetto stampa’ e che, in definitiva, avesse ‘natura RAGIONE_SOCIALEca’ (così la sentenza impugnata, pag. 6);
che questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’attività di addetto stampa ha natura RAGIONE_SOCIALEca a prescindere dal fatto che si svolga alle dipendenze di un datore di lavoro privato o pubblico, solo occorrendo che essa, pur nella concorrente finalità promozionale che la ispira, si estrinsechi oggettivamente nella raccolta, nel commento o nell’elaborazione di notizie, ancorché non indirizzate direttamente al pubblico indifferenziato, e si configuri, perciò, come mediazione tra il fatto, di cui si acquisisce conoscenza, e la diffusione della notizia, caratterizzandosi per l’apporto soggettivo e creativo e per l’autonomia dell’informazione (così Cass. n. 26614 del 2023, sulla scorta di Cass. S.U. n. 21764 del 2021);
che gli artt. 1, 2 e 9, l. n. 150/2000, non dettano alcuna speciale definizione dell’attività dell’addetto stampa, limitandosi piuttosto a regolare le modalità di costituzione degli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, prevedendo che di essi poss a far parte solo ‘personale iscritto all’RAGIONE_SOCIALE‘ (art. 9, comma 2, l. n. 150/2000);
che tale scelta appare coerente con l’impostazione della legge professionale n. 69/1963 di non definire a priori l’attività RAGIONE_SOCIALEca, onde consentire l’applicabilità della relativa
disciplina a qualsiasi forma di manifestazione qualificata di pensiero a scopo informativo (così già Cass. n. 3489 del 1984); che tanto premesso, diviene irrilevante il fatto che i giudici territoriali abbiano affermato che il materiale istruttorio fosse ‘da leggersi necessariamente sulla base del contenuto della l. n. 150/00’ (così espressamente si legge a pag. 3 della sentenza impugnata), richiamando la legge cit. anche per l’elencazione delle finalità proprie delle attività di informazione delle pubbliche amministrazioni, atteso che la conclusione circa la natura RAGIONE_SOCIALEca dell’attività in questione dipende, come anzidetto, dal contenuto delle mansioni espletate e non anche dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, deve reputarsi giuridicamente irrilevante la censura che investa un principio di diritto enunciato dal giudice di merito e ritenuto erroneo dal ricorrente, o anche realmente tale, quando detto principio non costituisca la ratio decidendi della sentenza impugnata o concorra con altri principi, autonomi ed indipendenti, che siano esatti e da soli sufficienti a giustificare la decisione adottata (così già Cass. n. 3837 del 1954);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile per difetto d’interesse (art. 100 c.p.c.), provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 6.200,00, di cui € 6.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 16.10.2024.