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Contributi addetto stampa: irrilevante la natura del datore

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società in house contro il pagamento dei contributi per un addetto stampa. La Corte ha stabilito che l’obbligo di versare i contributi previdenziali per un addetto stampa deriva dalla natura giornalistica delle mansioni svolte, non dalla qualifica pubblica o privata del datore di lavoro. La decisione si basa sul contenuto effettivo dell’attività lavorativa, rendendo irrilevante la discussione sulla natura giuridica dell’azienda.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contributi addetto stampa: la natura del lavoro conta più del datore

L’obbligo di versare i contributi addetto stampa all’ente di previdenza dei giornalisti non dipende dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro, ma esclusivamente dal carattere giornalistico delle mansioni effettivamente svolte. Con l’ordinanza n. 33774/2024, la Corte di Cassazione ha posto un punto fermo sulla questione, dichiarando inammissibile il ricorso di una società partecipata da un ente locale che contestava tale obbligo.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società per azioni in house di un Comune, con cui le veniva intimato il pagamento dei contributi previdenziali omessi a favore di un lavoratore impiegato nell’ufficio stampa. La società si era opposta, sostenendo di non essere una “pubblica amministrazione” ai sensi della normativa di riferimento (D.Lgs. 29/1993) e che, pertanto, le specifiche disposizioni sulla costituzione degli uffici stampa pubblici (L. 150/2000) non le fossero applicabili.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, avevano dato torto alla società. I giudici di merito avevano accertato che il dipendente svolgeva in modo continuativo attività tipicamente giornalistica: redigeva comunicati stampa, curava i contenuti del sito istituzionale e manteneva i contatti con gli organi di informazione. Di conseguenza, la sua attività rientrava a pieno titolo in quella di addetto stampa, a prescindere dalla classificazione formale del datore di lavoro. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione.

Il Principio affermato dalla Cassazione sui contributi addetto stampa

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse. Il ragionamento dei giudici di legittimità è stato netto e lineare: la questione centrale non è se la società rientri o meno nella definizione di “pubblica amministrazione”, bensì se l’attività svolta dal lavoratore sia di natura giornalistica.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha chiarito che la natura giornalistica di un’attività si definisce in base al suo contenuto oggettivo, che consiste nella “raccolta, nel commento o nell’elaborazione di notizie”. Questa attività implica una mediazione soggettiva e creativa tra il fatto e la sua diffusione. I giudici di merito avevano già accertato che le mansioni del lavoratore (redazione comunicati, gestione sito, rapporti con la stampa) integravano pienamente gli elementi tipici della professione giornalistica.

Su questa base, l’argomentazione della società ricorrente, incentrata sulla sua natura giuridica di S.p.A. e non di pubblica amministrazione, è stata giudicata irrilevante. Il principio che fonda la decisione (la cosiddetta ratio decidendi) è l’effettiva natura giornalistica del lavoro svolto. Questo principio è autonomo e sufficiente a giustificare l’obbligo contributivo, a prescindere da altre considerazioni.

In altre parole, anche se la Corte avesse dato ragione alla società sul punto della sua non appartenenza alla pubblica amministrazione, la decisione finale non sarebbe cambiata, perché l’obbligo contributivo era già pienamente giustificato dall’accertamento delle mansioni giornalistiche. Per questo motivo, il ricorso è stato ritenuto inammissibile per mancanza di un interesse concreto e attuale a ottenere una pronuncia sul punto sollevato.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: ai fini dell’inquadramento previdenziale di un addetto stampa, ciò che conta è la sostanza delle mansioni e non la forma del datore di lavoro. Le aziende, incluse le società in house e quelle interamente private, che si avvalgono di figure professionali per curare la comunicazione e l’informazione, devono valutare attentamente il contenuto delle attività svolte. Se queste implicano un’elaborazione critica e creativa di notizie, si configura un’attività giornalistica, con tutti gli obblighi contributivi che ne conseguono verso l’ente di previdenza di categoria. La decisione invita a guardare oltre le etichette formali, concentrandosi sulla realtà operativa del rapporto di lavoro.

L’obbligo di versare i contributi per un addetto stampa dipende dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo dipende dalla natura giornalistica delle mansioni svolte dal lavoratore, a prescindere dalla qualifica pubblica o privata del datore di lavoro.

Quali attività qualificano il lavoro di un addetto stampa come ‘giornalistico’ ai fini contributivi?
Le attività che integrano la professione giornalistica includono la raccolta, il commento o l’elaborazione di notizie, la redazione di comunicati stampa, la cura dei contenuti informativi di un sito web e la gestione dei rapporti con gli organi di informazione. L’elemento chiave è la mediazione soggettiva e creativa tra il fatto e la sua diffusione.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto d’interesse. La Corte ha ritenuto irrilevante la questione sollevata dalla società (cioè se fosse o meno una ‘pubblica amministrazione’), poiché la decisione si fondava su un principio autonomo e sufficiente: l’accertata natura giornalistica delle mansioni, che da sola giustificava l’obbligo di versare i contributi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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