Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 985 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 985 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
Oggetto: compensi professionali
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36394/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Catanzaro, INDIRIZZO.
-RICORRENTI –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME.
-CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 1510/2019, pubblicata in data 12.7.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 1510/2019, la Corte distrettuale di Catanzaro ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale aveva condannato gli attuali ricorrenti al pagamento di €. 114.514,40 a titolo di compenso professionale per la progettazione di un fabbricato ad uso produttivo.
Il giudice distrettuale ha ritenuto che il contratto di incarico, concluso oralmente, fosse stato semplicemente riprodotto in un documento, sottoscritto dai committenti, in cui, oltre alla prestazione del consenso per il trattamento dei dati personali, era indicato il compenso spettante al progettista, già parzialmente versato in acconto; ha escluso che, come eccepito dai committenti, le spettanze professionali fossero a carico dell’impresa cui doveva essere affidata la costruzione del capannone (mai realizzato), sostenendo, inoltre, che la progettazione era stata correttamente eseguita, essendo intervenuto il rilascio della concessione, e che la parcella era conforme agli accordi, prevedendo la liquidazione degli importi previsti dalle tariffe professionali, con riduzione di un terzo. Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongo ricorso affidato a tre motivi di censura.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5 c.p.c..
La Corte distrettuale avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo posto a fondamento della condanna non il contratto verbale di incarico dedotto dall’attore, ma il documento contenente l’informativa sulla privacy e le condizioni contrattuali sottoscritte dai committenti.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha chiarito che l’incarico, concluso oralmente, era stato semplicemente riprodotto nell’informativa relativa al trattamento dei dati personali, conforme al contenuto degli accordi pregressi, di cui ricorrenti erano pienamente edotti.
Non risulta immutata la causa petendi della domanda, fondata sul conferimento dell’incarico professionale, né la sentenza ha accolto la domanda sulla base di fatti costitutivi diversi da quelli allegati (Cass. 455/2011; Cass. 18868/2015; Cass. 9002/2018; Cass. 12014/2019), dovendo escludersi anche la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.. La norma contempla un autonomo vizio della sentenza che deriva dall’omessa considerazione di un fatto storico, inteso come accadimento oggettivo rilevante in causa. Costituisce un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘accadimento’, in senso storico e normativo, una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 7983/2014; Cass. 17761/2016; Cass. 29883/2017; Cass. 21152/2014; Cass. s.u. 5745/2015; Cass. 5133/2014, n. 5133), con esclusione delle domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello (Cass. 1539/2018; Cass. 21257/2014; Cass. 22799/2017; Cass. 6835/2017).
Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., per aver la sentenza trascurato che nel contratto verbale di incarico era espressamente previsto che il compenso professionale sarebbe stato corrisposto dall’impresa affidataria dei lavori, come risultava dalla missiva inviata al progettista in data 5.12.2012, valorizzata solo parzialmente dal giudice di merito.
Il motivo è per più aspetti inammissibile.
La sentenza si fonda sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado, non potendo i ricorrenti dolersi dell’omesso esame di un fatto decisivo, data la preclusione di cui all’art. 348 ter commi IV e V c.p.c..
La Corte di appello ha ritenuto indimostrata la sussistenza di un patto volto a porre a carico dell’appaltatrice il compenso professionale, avendo, quindi, valutato anche il fatto asseritamente omesso ed individuato i soggetti obbligati al pagamento, non avendo alcuna valenza probatoria la missiva inviata in data 5.12.2012, trattandosi di documento proveniente dagli stessi ricorrenti.
3. Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1419, 1439, 1341 c. c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte trascurato che: a) i coniugi COGNOMECOGNOME non avrebbero mai firmato l’informativa sul trattamento dei dati personali se avessero saputo che il documento celava un contratto che, sostituendosi a quello verbale, esonerava il COGNOME dall’obbligo di individuare un’impresa che realizzasse i lavori in permuta e si accollasse le spese di progettazione, a riprova che tale documento era stato frutto del dolo del progettista; b) la clausola che poneva a carico del resistente il rischio di non percepire alcun compenso necessitava della specifica sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c.; c) in assenza di siffatta clausola i ricorrenti non avrebbero mai conferito l’incarico di progettazione.
Il motivo è inammissibile.
Va ribadita l’inammissibilità della censura che consegue dall’art. 348 commi IV e V, c.p.c., quanto alla violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., trattandosi di cd. doppia conforme.
Nulla oppongono, poi, i ricorrenti al rilievo con cui la Corte d’appello ha ritenuto indimostrato il dolo contrattuale e preclusa la prova articolata dai committenti, non reiterata né nelle conclusioni né in appello (cfr. sentenza, pag. 5): la censura investe, in definitiva, il giudizio di fatto, e si fonda, peraltro, su circostanze in contrasto con gli accertamenti svolti dal giudice di merito quanto al fatto che
non fosse stato concordato alcun esonero dei committenti dal pagamento dei compensi professionali.
4. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., per aver il giudice ordinato il pagamento dell’intero compenso richiesto senza considerare che, non essendo stato realizzato il fabbricato, il corrispettivo per le attività concernenti gli impianti di sicurezza, la prevenzione incendi e la direzione dei lavori non era dovuto.
Il motivo non può essere accolto.
La Corte di merito ha valutato le attività svolte, affermando che nulla era stato preteso per la direzione dei lavori; quanto alle spettanze per la progettazione e realizzazione degli impianti di sicurezza, il tema non risulta trattato nella decisione di appello, né il ricorso chiarisce se sia stato dedotto con i motivi di appello, essendo la sentenza di appello integralmente confermativa, sul punto, di quella di primo grado.
In difetto di una più puntuale specificazione degli importi richiesti per le singole prestazioni, in raffronto alle somme liquidate, resta insindacabile la dichiarata spettanza del compenso oggetto di domanda, che la sentenza ha ritenuto correttamente quantificato in relazione alle attività effettivamente svolte dal professionista.
Il ricorso è respinto, con addebito di spese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad € 8700,00, di cui 200,00 per esborsi,
oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda