Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8722 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8722 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8971/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, al INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore generale e legale rappresentante pro tempore, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, domiciliato per la carica in RAGIONE_SOCIALE alla INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale
apposta a margine del controricorso, con i quali elettivamente domicilia presso l’indirizzo pec .
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1773/2019, depositata in data 23 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/3/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE, struttura che erogava in regime di accreditamento provvisorio prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale nell’ambito del Servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con riferimento agli anni 2006 e 2007, si era vista applicare una decurtazione sulle tariffe unitarie, sull’assunto che essendo stato superato il tetto di spesa, si sarebbe dovuta applicare la Regressione Tariffaria Unica (RTU); in base a tale sistema, in caso di superamento del tetto di spesa massimo, il rimborso delle prestazioni effettuate oltre tale tetto, non avveniva a tariffa piena, ma a tariffa scontata di una percentuale.
Avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore della società proponeva opposizione la RAGIONE_SOCIALE, deducendo che la trattenuta in decurtazione tariffaria sarebbe stata legittima, essendosi verificato il superamento del tetto di spesa ivi previsto.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 1456 del 2012 accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, poiché vi era stato lo sforamento del tetto massimo di spesa. Sarebbe stato «onere della società ricorrente quale attore sostanziale, dimostrare
di non aver sforato il tetto di spesa individuato sulla base del fatturato degli anni 2006 e 2007».
Avverso tale sentenza proponeva appello la società evidenziando che la RAGIONE_SOCIALE non aveva assolto al proprio onere di provare l’eventuale avvenuto superamento dei tetti di spesa.
La Corte d’appello, dopo aver rimesso le parti in istruttoria, a seguito del rilievo d’ufficio della nullità del contratto, per difetto di forma scritta, con riferimento all’anno 2006 (mentre per l’anno 2007 era stato stipulato il contratto in data 31 maggio 2007), rigettava il gravame della società, non avendo fornito la prova degli elementi costitutivi del diritto e, in particolare, la prova dell’abilitazione ad erogare prestazioni per conto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Evidenziava, infatti, che «già con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di opposizione celebratosi davanti al tribunale di RAGIONE_SOCIALE» la RAGIONE_SOCIALE aveva contestato la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa creditoria, non risultando un credito certo, liquido ed è esigibile.
Inoltre, la RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi nel giudizio di appello, «sulla scia delle contestazioni già mosse in prime cure riguardo all’effettiva sussistenza dei fatti costitutivi del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE», aveva evidenziato la necessità, non solo di aver acquisito l’accreditamento, «ma anche di aver stipulato gli accordi contrattuali previsti dalla legge».
La Corte territoriale evidenziava che la società aveva l’onere probatorio di dimostrare, non solo di aver ottenuto l’accreditamento, ma anche di avere stipulato uno specifico accordo contrattuale, integrante un indispensabile presupposto costitutivo del credito vantato.
Al contrario, il superamento del tetto di spesa si atteggiava a fatto estintivo della pretesa e, dunque, doveva essere dimostrato dalla RAGIONE_SOCIALE, che aveva eccepito la circostanza.
Era, dunque, necessario, ai fini della remunerazione delle prestazioni sanitarie effettuate, la stipulazione di un accordo contrattuale di cui all’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, sicché la struttura privata che volesse operare nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva l’onere non solo di conseguire l’accreditamento, ma anche di stipulare gli accordi contrattuali.
I contratti dovevano necessariamente essere redatti per iscritto, trattandosi di rapporti con la pubblica amministrazione, non rilevando in meri comportamenti concludenti.
La Corte territoriale evidenziava, poi, che la nullità poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice anche in fase di impugnazione.
Non era applicabile il principio di non contestazione, trattandosi di contratti per i quali era prevista la forma scritta ad substantiam .
Non poteva essere ritenuto sufficiente l’accordo contrattuale sottoscritto in data 31 maggio 2007, «quantomeno per le prestazioni eseguite anteriormente, in quanto non è permesso in alcun modo convalidare ratificare a posteriori lo svolgimento di prestazioni in mancanza di un valido ed efficace rapporto contrattuale, instaurato nelle forme di legge e, ovviamente, prima della loro esecuzione».
Anche in relazione alle prestazioni erogate a decorrere dal 31 maggio 2007 non era stata fornita alcuna dimostrazione «della sussistenza di un valido ed efficace rapporto di accreditamento, con riferimento alle specifiche prestazioni per le quali, nell’arco temporale di riferimento, è stata chiesta la remunerazione».
Non era sufficiente neppure il documento costituito da un mero «attestato» rilasciato dalla RAGIONE_SOCIALE, inerente al provvisorio
accreditamento di cui sarebbe stata titolare la società appellante, essendo «sommamente generico».
L’attestato, peraltro, recava la data del 31 luglio 2008, epoca di gran lunga successiva a quella in cui erano state eseguite prestazioni controverse.
Tra l’altro, la prova «non è stata fornita neanche dopo che la causa è stata rimessa sul ruolo, proprio al fine di permettere alla RAGIONE_SOCIALE di interloquire in maniera più dettagliata sulle argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale dell’RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva ribadito che, per ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate dalle strutture private, è necessario dimostrare sia la sussistenza dell’accreditamento, che la stipula degli accordi contrattuali previsti dalla legge».
Non era possibile dare corso, del resto, neppure alle «istanze istruttorie formulate dalla RAGIONE_SOCIALE nella comparsa conclusionale depositata dopo che la causa era stata rimessa sul ruolo e riassegnata sentenza, ai sensi degli articoli 210 e 213 del codice di procedura civile, da reputare inammissibili per la loro genericità».
La domanda di ingiustificato arricchimento non era stata poi proposta nel corso del giudizio di primo grado e neppure in grado d’appello, «ma solamente con gli scritti conclusionali depositati nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 343 c.p.c., art. 2697 e 2909 c.c., violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.».
In particolare, la sentenza sarebbe stata adottata in violazione delle norme suindicate, affermando un preteso mancato assolvimento dell’onere probatorio di elementi costitutivi della domanda.
In realtà, tale accertamento sarebbe avvenuto in prime cure, con la statuizione non contestata con l’atto di appello e quindi «coperta da giudicato».
Il giudice di primo grado avrebbe accertato che la RAGIONE_SOCIALE era un centro automaticamente accreditato.
La RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto afferma la Corte d’appello, «non ha mai messo in discussione l’esistenza in radice di titoli abilitativi avendo del resto riconosciuto e pagato le prestazioni in parola».
Con il secondo motivo di impugnazione la società deduce «in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione dell’art. 2909 c.c. Violazione articoli 116 c.p.c. e art. 1362 c.c. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 8-bis, 8-quater e 8-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 6, comma 6, della legge n. 724 del 1994, del regolamento regionale n. 1 del 2007, della legge regionale campagna n. 4 del 2011, dell’art. 1, comma 796, lettera t) della legge n. 296 del 2006 modificato dalla legge 23 dicembre 2009, n. 191».
La Corte d’appello ha ritenuto che il contratto stipulato il 31/5/2007, prodotto in giudizio, non era sufficiente a «convalidare o ratificare a posteriori» l’attività pregressa e, quanto a quella erogata successivamente a tale data, «permaneva comunque la mancata dimostrazione di un valido rapporto di accreditamento, perché anche l’attestato sulle branche accreditate provvisoriamente depositato da
RAGIONE_SOCIALE risultava generico quanto al provvedimento di accreditamento».
In realtà, nello stesso accordo del 31/5/2007 si chiariva che «le spettanze per l’anno 2007 deriveranno dall’applicazione integrale dei principi, dei criteri e delle procedure di cui al protocollo di intesa sottoscritto in data 14/5/2007 tra la RAGIONE_SOCIALE e le associazioni RAGIONE_SOCIALE che quivi allegato costituisce parte integrante ed inderogabile di questo accordo». Si richiamava, tra i vari provvedimenti prodromici, quello di cui alla delibera della giunta regionale n. 517 del 2007.
Non poteva ritenersi che il contratto concluso tra le parti nel maggio 2007 non potesse riguardare l’attività sino ad allora espletata.
La sussistenza del rapporto di accreditamento originava poi dalla circostanza che «solo i soggetti in possesso di accreditamento devono accettarne il contenuto con la sottoscrizione».
L’accordo contrattuale depositato in giudizio era sufficiente a dimostrare l’accettazione delle condizioni e dei limiti posti dalla regione dalla RAGIONE_SOCIALE.
Con il terzo motivo di impugnazione la società deduce la «violazione articoli 24 e 111 Costituzione, violazione art. 88,115,166,153 e 294 c.p.c.».
La domanda di RAGIONE_SOCIALE, formulata in via subordinata necessariamente con la comparsa conclusionale, e volta ad ottenere una condanna della RAGIONE_SOCIALE per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., era fondata.
Solo con la comparsa conclusionale in grado d’appello la RAGIONE_SOCIALE aveva eccepito la mancata dimostrazione del contratto e l’assenza dell’accreditamento, con la conseguente loro nullità, sicché con la memoria di replica e con l’ulteriore comparsa conclusionale dell’11/9/2019 aveva chiesto che il giudice avrebbe dovuto consentire anche la modifica delle domande iniziali.
4. Il primo motivo è inammissibile, non avendo neppure riportato il testo della sentenza del giudice di prime cure che avrebbe affrontato espressamente la questione sulla validità del contratto e sulla esistenza dei titoli abilitativi in capo alla società (ivi compreso l’accreditamento provvisorio), in violazione del principio di autosufficienza.
La Corte d’appello ha rilevato l’ufficio la nullità del contratto stipulato tra le parti il 31 maggio 2007, con riferimento alla sua efficacia retroattiva a valere per tutto l’anno 2007, sin dal 1 ° gennaio 2007.
Per questa Corte, infatti, allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validità ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che né le parti abbiano discusso né lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validità ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa – poiché tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta dal primo giudice vi è il contratto -, implichi che la questione della sua nullità sia soggetta al potere di rilevazione d’ufficio del giudice, integrando un’eccezione in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado (Cass. Sez.U., 22 marzo 2017, n. 7294; in tal senso anche Cass., sez. 2, 17 ottobre 2019, n. 26495; Cass., sez. 6-3, 19 luglio 2018, n. 19251; Cass., sez. 6-2, 5 aprile 2017, n. 8841; Cass., Sez.U., nn. 26242 e 26243 del 2014).
Ciò del resto risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’art. 345 c.p.c., succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette al rilievo ufficioso (Cass. Sez. U., 22 marzo 2017, n. 7294).
Dopo il rilievo d’ufficio della nullità del contratto, in sede d’appello, le parti sono state rimesse in istruttoria per le necessarie produzioni documentali.
Nulla è stato però aggiunto da parte della società.
Nel motivo di ricorso la ricorrente si è limitata a riportare uno stralcio minimo della sentenza del giudice di prime cure che avrebbe affrontato espressamente, in base alla sua ricostruzione, la questione sulla validità del contratto stipulato il 31 maggio 2007.
Con tale riproduzione, in forma assolutamente sintetica, di un minimo passaggio della motivazione del giudice di prime cure, non emerge in alcun modo che la questione sulla validità del contratto sia stata effettivamente prospettata dalle parti ed esaminata dal giudice. Si afferma, dunque, l’esistenza del contratto, ma non si prende posizione sulla validità dello stesso.
4.1. Pertanto, ben poteva la Corte d’appello, in assenza di formazione di un giudicato implicito sulla questione di validità del contratto, sollevarla d’ufficio.
Deve, poi, essere rigettato il secondo motivo di impugnazione.
5.1. Infatti, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui i contratti con la pubblica amministrazione devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (Cass., 4 giugno 1999, n. 5448), non essendo consentita alcuna eventuale convalida o ratifica successiva (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59).
Si è ritenuto, dunque, che, soprattutto in presenza di accordi specifici complessi con la pubblica amministrazione, la forma scritta sia assolutamente necessaria, «soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell’autorità tutoria» (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, in tema di appalto pubblico; Cass., sez. 2, 30 maggio 2002, n. 7913, in tema di conferimento di incarichi a professionista; di recente Cass., sez. 2, 27 marzo 2023, n. 8574).
La forma scritta, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della PA, sia nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9428; anche Cass., sez. 3, 24 giugno 2002, n. 9165).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. 3, 3 agosto 2002, n. 11649), ma deve ritenersi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti rapporto. La volontà della PA di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione per la quale si obbliga (Cass. n. 59 del 2001, cit.; anche Cass., sez. 2, 6 dicembre 2001, n. 15488).
Si è precisato che «il contratto nullo non può essere nemmeno ritenuto suscettibile di convalida, perché attraverso la ratifica o sanatoria, può essere corretto il vizio di un atto annullabile» (Cass. n. 59 del 2001; anche Cass. n. 1615 del 1981). Il contratto privo della forma scritta ad substantiam è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalida o ratifica successive e non potendosi neppure ammettere la validità di manifestazioni di
volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. 3, 15 marzo 2004, n. 5234).
Se, dunque, siano del tutto assenti gli elementi essenziali, l’atto non raggiunge il livello minimo indispensabile per la sua nascita sul piano giuridico, così da non consentire il suo perfezionamento, che presuppone sempre l’esistenza di un quid che non sia solo di parvenza.
Con riferimento all’accreditamento, anche temporaneo o provvisorio, delle società che svolgono prestazioni a favore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, valgono le regole di cui agli articoli 8,8bis , 8quater , e 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992.
6.1. L’art. 8bis (autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali) del d.lgs. n. 502 del 1992 (Riordino della disciplina in materia RAGIONE_SOCIALE, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) stabilisce che «le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’art. 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende RAGIONE_SOCIALE sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8quater , nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
È evidente, come, ai fini del riconoscimento della remunerazione delle prestazioni, siano necessari tre requisiti: l’autorizzazione regionale (art. 8ter ); l’accreditamento (art. 8quater ); la conclusione di specifici accordi (art. 8-q uinquies ).
Ciò trova conferma nell’art. 8bis , comma 3, del d.lgs. n. 105 del 1992, laddove stabilisce che «la realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie, esercizio di attività sanitarie per conto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’esercizio di attività RAGIONE_SOCIALE carico del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono subordinate, rispettivamente, al
rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 8-ter, dell’accreditamento istituzionale di quell’art. 8quater , nonché alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
6.2. L’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 (Accreditamento istituzionale), in vigore a decorrere dal 31 luglio 1999, prevede al comma 1 che «l’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati raggiunti».
Al comma 2, si chiarisce che «la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
Nella norma si fa riferimento anche all’accreditamento «temporaneo» ed a quello «provvisorio».
Si prevede, dunque, al comma 6 dell’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 che «entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e delle altre già operanti ».
Al comma 7 dell’art. 8quater , si precisa che «nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati.
L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso».
6.3. Di fondamentale rilievo e poi l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 102 del 1992 (accordi contrattuali), che prevede al comma 2 che, «in attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le RAGIONE_SOCIALE sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale ».
Va rilevato che, l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992, in vigore dal 22 agosto 2008, prevede al comma 2quinquies che «in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del RAGIONE_SOCIALE interessati è sospeso».
7. Questa Corte ha chiarito che l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro, l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa
(Cass. sez. 3, 5 luglio 2018, n. 17588; Cass., sez. 6-3, 3 giugno 2014, n. 12392).
Pertanto, ha trovato conferma l’indirizzo giurisprudenziale per cui nessuna erogazione di prestazione RAGIONE_SOCIALE finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli specifici rapporti contrattuali (Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; Cass., 19 novembre 2015, n. 23657).
Il principio regolatore dell’attività svolta in regime «transitorio», al pari di quella svolta «a regime», è fondato infatti sulla remunerabilità delle prestazioni rese dal soggetto accreditato, che è però condizionata alla necessaria sottoscrizione di specifici accordi, anche nella fase dell’accreditamento provvisorio (o transitorio), per cui, a maggior ragione, è essenziale un esplicito intervento dell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE per modificare la situazione già oggetto di confezionamento, al fine dell’inserimento nella programmazione RAGIONE_SOCIALE regionale e conseguente incidenza sul fondo RAGIONE_SOCIALE regionale (Cass., n. 17588 del 2018).
Si è ulteriormente chiarito che non può essere condivisa la tesi per cui, in mancanza degli atti amministrativi necessari a rendere effettivo il passaggio dal regime delle convenzioni a quello dell’accreditamento della regione Campania, si sarebbe instaurata una prassi basata sulla prosecuzione del fatto del regime di accreditamento provvisorio sulla conclusione di accordi contrattuali per facta concludentia .
In realtà, l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del RAGIONE_SOCIALE, comporta che non può essere
posto a carico delle regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca la sicura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del RAGIONE_SOCIALE e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8-quinquies del citato d.lgs. n. 502 del 1992, che possono validamente concludersi accordi contrattuali per facta concludentia , atteso che, in base al disposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, tutti i contratti con la PA devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (Cass., sez. 1, 4 marzo 2024, n. 5682; Cass., sez. 1, 15 marzo 2022, n. 8383; Cass., sez. 3, 11 marzo 2020, n. 7019; Cass., sez. 1, 6 agosto 2014, n. 1771; Cass., 3 giugno 2014, n. 12392; Cass., sez. 1, 26 marzo 2009, n. 7297;Cass., sez. 3, 12 aprile 2006, n. 8621), non rilevando comportamenti concludenti anche protrattisi per anni (Cass., sez. 63, 23 giugno 2011, n. 13886).
7.1. La necessità dell’accordo scritto nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, anche in caso di accreditamento, provvisorio o definitivo, non contrasta con la prassi sola richiamata, che si estrinseca nel sopraggiungere di nuove delibere che fissano e cambiano i tetti di spesa.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del RAGIONE_SOCIALE, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle
somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa RAGIONE_SOCIALE effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
Ciò, però, non vuol dire che i contratti con la pubblica amministrazione possono essere stipulati anche nel corso dell’anno e con efficacia retroattiva, in quanto la prassi sopra menzionata, attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, numero 95, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione infatti recitava così «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’articolo 8quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati.
In questo contesto, la Corte costituzionale osserva che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del RAGIONE_SOCIALE ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposta in corso d’anno».
È questa la ragione per cui anche questa Corte (ordinanza n. 27997 del 2019) ha richiamato le pronuncia del giudice amministrativo, in una fattispecie, però, in cui la stipula del contratto, assicurato «soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni», non giustificata da ritardi connessi alla adozione da parte della regione degli atti di indirizzo e programmazione, «è affetta da nullità virtuale ex articolo 1418, comma 3, c.c. in quanto violativa dell’esercizio dell’autonomia negoziale, impedendo la struttura privata di autodeterminarsi nelle scelte imprenditoriali».
In tale contesto, del tutto specifico, emergeva che «il punto critico della vicenda emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del RAGIONE_SOCIALE, rendendo quindi problematica una programmazione di impresa in un sistema di tipo concorrenziale».
È evidente, dunque, la divergenza di prospettiva rispetto al caso in esame.
8. La nullità può, dunque, essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in fase d’appello e nel giudizio di cassazione, purché non si sia formato un giudicato espresso in ordine alla validità del contratto, nei gradi precedenti (Cass., sez. 1, 22 giugno 2022, n. 20170; Cass., sez. 6-1, 15 settembre 2020, n. 19161).
La Corte d’appello, dunque, ben può rilevare d’ufficio, in base alle risultanze ritualmente acquisiti al processo, la inesistenza di un provvedimento amministrativo di accreditamento e/o la mancanza di specifici rapporti contrattuali, integrativi o attuativi di detto provvedimento (Cass., sez. 3, 19 novembre 2015, n. 23657).
La questione di nullità del contratto dovrebbe appartenere alle questioni miste, di fatto e di diritto, che richiedono l’obbligo di instaurazione del contraddittorio tra le parti.
Si è ritenuto che, nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall'” error iuris in iudicando ” ovvero dall'” error in iudicando de iure procedendi “, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio (Cass., Sez.U., 30 settembre 2009, n. 20935).
Tuttavia, per questa Corte (Cass., sez. 3, 5 settembre 2023, n. 25849), che si è pronunciata proprio in materia di accreditamento di strutture private, ha errato la Corte d’appello nel sollevare d’ufficio la nullità del contratto stipulato tra la società privata e la RAGIONE_SOCIALE, per assenza di forma scritta.
La Corte territoriale, dunque, muovendo da un assunto esatto, relativo alla indispensabilità della forma scritta nei contratti della PA, ha rispettato gli insegnamenti della sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 26242 del 12 dicembre 2014, che ha sancito « l’obbligo del giudice di provocare il contraddittorio» sulla questione posta a fondamento dell’eccezione (Cass. n. 25849, cit.).
Tale obbligo implica la facoltà delle parti di «spiegare la conseguente attività probatoria», tale essendo l’unico possibile significato da attribuire al sintagma ‘memorie contenenti osservazioni sulle questioni’, di cui all’art. 101, c.p.c.
Se, infatti, il contenuto di tali memorie si dovesse limitare ad un’attività assertiva, si tornerebbe, in buona sostanza, alle sentenze della «terza via», e ciò in quanto quelle osservazioni non risulterebbero in alcun modo funzionali a coniugare il diritto di difesa delle parti con quelle esigenze di economia processuale che costituiscono, invece, la ratio dell’art. 101, 2º comma, c.p.c. (Cass., 30 settembre 2020, n. 20870; Cass. Sez.U., n. 26242 del 2014).
Pertanto, le parti possono spiegare un’attività probatoria in deroga al sistema delle preclusioni istruttorie, allorché il giudice abbia proceduto al rilievo ufficioso della nullità.
Pertanto, il giudice d’appello, pur avendo correttamente superato la barriera preclusiva di cui all’art. 345 c.p.c., derivante dalla tardività dell’eccezione di nullità, per difetto di forma scritta, del contratto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la società, «avrebbe dovuto nel contempo sollecitare il contraddittorio delle parti in ordine alla
assenza di allegazione prova relativamente all’effettiva esistenza (o meno) di tale accordo scritto, consentendo, al riguardo, lo svolgimento di attività assertiva e probatoria» (Cass., n. 25849 del 2023, cit.; in termini anche Cass., sez. 2, 30 settembre 2020, n. 20870).
9.1.Pare trovare conferma l’orientamento più rigoroso di questa Corte che svincola la violazione del contraddittorio dal concreto pregiudizio subito dalle parti.
Si è infatti ritenuto che la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (Cass., Sez.u., 25 novembre 2021, n. 36596).
Non trova applicazione, infatti, il nuovo articolo 101, secondo comma, c.p.c., in base al quale «il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni».
In dottrina, si è ravvisato nella disposizione nuova un non trascurabile dato testuale a sostegno del principio del pregiudizio effettivo e dei suoi corollari.
10. Nella specie, la Corte d’appello ha provveduto a rimettere le parti in istruttoria, dopo aver rilevato la nullità del contratto d’ufficio, senza che però la RAGIONE_SOCIALE provvedesse alla produzione della necessaria documentazione.
Quanto al contratto stipulato in data 31 maggio 2007, la Corte d’appello, in coerenza con la giurisprudenza sopra citata, ha ritenuto che tale accordo non potesse «convalidare o ratificare a posteriori» le prestazioni precedenti, in mancanza di un valido ed efficace rapporto contrattuale, instaurato nelle forme di legge ed è, ovviamente, prima della loro esecuzione.
Inoltre, con giudizio pienamente di merito, il giudice d’appello ha chiarito che con riferimento alle prestazioni erogate successivamente al 31 maggio 2007, non fosse stata fornita alcuna dimostrazione della sussistenza di un valido ed efficace rapporto di accreditamento «con riferimento alle specifiche prestazioni per le quali, nell’arco temporale di riferimento, è stata chiesta la remunerazione».
Sempre con pieno giudizio di merito, la Corte territoriale ha ritenuto che l’attestato rilasciato dall’RAGIONE_SOCIALE fosse «sommamente generico, soprattutto nella parte in cui accenna al fatto che risulterebbe – sulla scorta di circostanze non meglio specificate e, quindi, tali da precludere qualsivoglia verifica all’autorità giudiziaria dita-la sussistenza di un rapporto di accreditamento tra la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
La Corte d’appello anche precisato che l’attestato era datato 31 luglio 2008, attenendo dunque ad un’epoca di gran lunga successiva a quella in cui erano state eseguite le prestazioni controverse, ossia al biennio 2006-2007.
11. Il terzo motivo è infondato.
Infatti, per questa Corte, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, manifesta implicitamente la sua contrarietà ad una spesa superiore, ovvero a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite. Pertanto, l’arricchimento che la PA consegue dall’esecuzione delle prestazioni ‘extra budget’ assume un carattere imposto che precludere esperibili da nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (Cass., sez. 1, 22 febbraio 2024, n. 4757).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 marzo 2024