Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17268 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17268 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7460/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappre- sentante p.t. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE SALERNO, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME ed NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
e
;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1164/23, depositata il 26 settembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 5 luglio 2022, il Tribunale di Salerno accolse l’opposizione proposta dall’Azienda sanitaria locale di Salerno avverso il decreto n. 1797/21, emesso il 28 luglio 2021, con cui era stato intimato all’opponente il pagamento della somma di Euro 55.841,00, oltre interessi, a titolo di saldo del corrispettivo delle prestazioni di assistenza riabilitativa rese dal Centro di RAGIONE_SOCIALE a persone affette da disturbo dello spettro autistico nell’anno 2020, e revocò il decreto ingiuntivo, rilevando che il credito originario del CRT ammontava ad Euro 274.037,00, dando atto dell’avvenuto pagamento dell’importo complessivo di Euro 258.461,00, in parte prima della notifica del decreto ed in parte successivamente, dichiarando quindi parzialmente cessata la materia del contendere, e condannando l’Asl al pagamento della somma residua di Euro 15.576,00, oltre interessi di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. 7 ottobre 2002, n. 231.
L’impugnazione proposta dall’Asl è stata accolta dalla Corte d’appello di Salerno, che con sentenza del 26 settembre 2023 ha rigettato la domanda proposta dal CRC con il ricorso per decreto ingiuntivo.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che il credito azionato con il ricorso per decreto ingiuntivo traeva origine dalla delibera n. 594 del 10 luglio 2019, con cui il Commissario straordinario dell’Asl, al fine di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni definiti dall’art. 25 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e dello art. 3, comma primo, della legge 18 agosto 2015, n. 134 e dalle Linee guida 21 dell’ISS, che consigliavano l’utilizzazione del metodo ABA, aveva disposto, per eliminare le liste d’attesa e sopperire alla carenza di personale specializzato, l’approvazione di un percorso terapeutico assistenziale sperimentale della durata di un anno, eventualmente rinnovabile, nonché l’attivazione di due short list composte da professionisti esterni con competenze specifiche nel trattamento con il predetto metodo. Con delibera n. 29 del 9 settembre 2019, il Direttore generale aveva poi autorizzato la conclusione di un con-
tratto volto a disciplinare la fase transitoria, fino alla completa operatività della precedente deliberazione, approvandone anche lo schema, il quale prevedeva per la fase di transizione l’applicazione di una tariffa temporanea di Euro 36,00. La fase transitoria, scadente al 31 dicembre 2019, fu in seguito prorogata al 29 febbraio 2020, e con delibera n. 273 del 9 marzo 2020 il percorso terapeutico fu rinnovato fino al 31 luglio 2021. La piena attuazione del percorso subì tuttavia un ritardo, a causa dell’emergenza Covid, durante la quale le prestazioni furono sospese, ed a seguito della riattivazione delle stesse fu stabilito che la tariffa temporanea sarebbe stata prorogata fino al 31 dicembre 2020.
Tanto premesso, e ritenuto che l’obbligo di corrispondere il corrispettivo delle prestazioni potesse sorgere soltanto in favore dei centri accreditati inseriti nelle short list che avessero sottoscritto l’accordo integrativo previsto dalla delibera n. 29 del 2019, il quale costituiva il contratto scritto richiesto a pena di nullità dagli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e dallo art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, la Corte ha rilevato che il CRT non aveva dimostrato di aver sottoscritto l’accordo, ed ha pertanto escluso la sussistenza dell’obbligazione contrattuale dedotta in giudizio.
Avverso la predetta sentenza il CRC ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. L’Asl ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nello escludere la sussistenza dell’obbligazione, in virtù della mancata sottoscrizione dell’accordo integrativo, la sentenza impugnata ha travisato l’oggetto della controversia, il quale non era costituito dal pagamento delle maggiori somme dovute in base alla tariffa prevista dalla delibera n. 29 del 2019, ma di quelle residue dovute in base alla tariffa prevista dalla delibera n. 594 del 2019. Premesso che con quest’ultima delibera l’Asl aveva fissato una tariffa oraria di Euro 28,00, mentre con la prima ne aveva stabilita una di Euro 36,00, sostiene che a seguito della trasmissione delle fatture l’Asl si era di-
chiarata disponibile a pagare le prestazioni in base alla tariffa prevista dalla delibera n. 594, che non aveva alcun collegamento con l’accordo integrativo.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che, nel trascurare la circostanza fatta valere con il primo motivo, specificamente dedotta in sede di gravame, la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine a un’eccezione ritualmente proposta da esso ricorrente.
Con il terzo motivo, il ricorrente insiste sulla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevando che, nel rigettare la domanda avanzata nel procedimento monitorio, la sentenza impugnata è incorsa in ultrapetizione, avendo omesso di chiarire che l’accoglimento dell’appello doveva ritenersi limitato all’importo della condanna pronunciata in primo grado, senza considerare che nelle proprie conclusioni l’Asl aveva chiesto, oltre alla revoca del decreto ingiuntivo, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, concernenti l’individuazione dell’oggetto della domanda proposta dal CRC nel procedimento monitorio, così come precisato nel giudizio di appello, sono infondati.
Nel riportare le difese svolte dalle parti in sede di gravame, la sentenza impugnata ha dato puntualmente atto della precisazione compiuta dall’appellato, secondo cui la controversia non atteneva «alle maggiori somme dovute sulla base della tariffa oraria di Euro 36,00 (prevista con accordo integrativo di cui alla delibera n. 29/19), bensì al corrispettivo ancora dovuto secondo la tariffa base di Euro 28,00 di cui alla deliberazione n. 594/19, tra l’altro pacificamente riconosciuto dall’Asl»: peraltro, in quanto volta non già ad introdurre nel giudizio fatti nuovi o nuovi temi d’indagine, a sostegno della pretesa azionata nel procedimento monitorio o idonei a paralizzare le eccezioni sollevate dall’opponente, ma a meglio individuare il contenuto del diritto fatto valere, tale precisazione non era qualificabile né come una domanda, né come un’eccezione, configurandosi piuttosto come una mera argomentazione difensiva, svolta in replica ai motivi di gravame, il cui mancato o insufficiente esame non poteva comportare un’omissione di pronuncia. Per la configurabilità di tale vizio è infatti necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, e quindi che il giudice non abbia deciso su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, o abbia pronunciato soltanto nei confronti di alcune parti (cfr. Cass., Sez. VI, 3/03/2020, n. 5730; Cass., Sez. I, 18/08/2006, n. 108190; 18/02/2005, n. 3388), laddove la pretermissione di semplici questioni o argomentazioni può dar luogo al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., qualora consista nell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oppure a quello di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., qualora si traduca nella mancanza assoluta della motivazione, in una motivazione meramente apparente, perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (cfr. Cass., Sez. V, 23/10/2024, n. 27551; 5/03/2021, n. 6150).
Alla predetta precisazione la Corte di merito ha fornito risposta nell’ambito del ragionamento complessivamente svolto a giustificazione del rigetto dell’opposizione, in tal modo dimostrando di avere correttamente individuato l’oggetto della domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo: premesso infatti che la questione devoluta in appello consisteva nello stabilire se, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo dell’Asl di remunerare le prestazioni rese dalla struttura privata fossero sufficienti le delibere indicate dalle parti, le relative proroghe e l’inclusione nella short list , oppure fosse necessaria anche la sottoscrizione dell’accordo integrativo, essa è pervenuta, attraverso un’approfondita disamina della vicenda amministrativa riferita dalle parti, alla conclusione che «l’obbligo dell’Asl di remunerare le prestazioni di assistenza riabilitativa erogate nel 2020 alle persone affette da disturbo dello spettro autistico sorge solo in favore dei centri accreditati (inseriti nelle due short list approvate e pubblicate con la delibera n. 273/2020 o, prima di questa, già accreditati) che avevano sottoscritto l’accordo integrativo allegato alla delibera n. 29/2019, prorogato fino al 31 dicembre 2020», il quale «integra, per le prestazioni in oggetto, il contratto scritto ad substantiam ».
Tale conclusione, risolvendosi nella radicale negazione del diritto alla remunerazione, implica logicamente l’affermazione dell’insussistenza di tale diritto, non limitata alla maggior misura introdotta dalla delibera n. 29 del 2019 per la fase transitoria del nuovo percorso terapeutico assistenziale, ma estesa
a quella inferiore corrispondente alla tariffa base prevista dalla delibera n. 594 del 2019, che aveva delineato l’assetto organizzativo del predetto percorso. Tale interpretazione della decisione trova conferma nel richiamo della sentenza impugnata all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di prestazioni sanitarie rese da strutture private in favore degli assistiti dal Servizio sanitario nazionale, secondo cui l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio, comporta che non può essere posto a carico delle Regioni (e per esse delle Asl) alcun onere per l’erogazione di prestazioni sanitarie, in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi (cfr. Cass., Sez. III, 14/11/2024, n. 29742; 11/ 03/2020, n. 7019; Cass., Sez. VI, 3/06/2014, n. 12392).
Può quindi escludersi la sussistenza sia del vizio di motivazione lamentato con riguardo all’interpretazione della domanda, il cui contenuto è stato logicamente e coerentemente ricostruito in conformità della precisazione compiuta dall’appellato, sia del vizio di omessa pronuncia, in riferimento alla medesima domanda, non essendo tale omissione configurabile laddove, come nella specie, la decisione adottata comporti, pur in assenza di un’espressa argomentazione al riguardo, una statuizione implicita di rigetto della domanda o dell’eccezione, per essere quest’ultima incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass., Sez. II, 26/09/2024, n. 25710; 13/08/2018, n. 20718; Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24155).
E’ altresì infondato il terzo motivo, avente ad oggetto la totale riforma della sentenza di primo grado, ivi compresa la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, limitatamente alla somma pagata dall’Asl nel corso del giudizio.
Com’è noto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il cui oggetto non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto opposto, ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto
in contestazione, con riferimento alla situazione di fatto esistente non già al momento della proposizione della domanda o dell’emissione del decreto, ma a quello della decisione, il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente e per fatti sopravvenuti, un’eccezione di pagamento formulata dallo opponente, deve comunque revocare in toto il decreto opposto e pronunciare la condanna dell’opponente al pagamento della somma effettivamente dovuta, la quale si sostituisce all’ingiunzione revocata (cfr. Cass., Sez. I, 19/03/ 2007, n. 6514; Cass., III, 15/07/2005, n. 15026; Cass., Sez. II, 29/01/2004, n. 1657). La cessazione della materia del contendere presuppone invece che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice, potendo al più residuare un contrasto sulle sole spese di lite, che il giudice è chiamato a risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale (cfr. Cass., Sez. II, 29/07/2021, n. 21757; Cass., Sez. III, 8/07/2010, n. 16150; 8/06/2005, n. 11962). Tale situazione non si verifica evidentemente nel caso in cui all’avvenuto pagamento non corrisponda la totale soddisfazione del credito azionato, persistendo in tal caso un interesse alla decisione, derivante dal perdurante contrasto tra le parti in ordine alla sussistenza del residuo credito, il cui accertamento è destinato a tradursi in una pronuncia di condanna per il minore importo ancora dovuto, a meno che il creditore non vi rinunci o l’obbligato non rinunci all’accertamento dell’inesistenza del debito (cfr. Cass., Sez. III, 23/02/2021, n. 4855; 8/11/2002, n. 15705; Cass., Sez. II, 23/12/2010, n. 26005).
Alla stregua di tali principi, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pronunciando sull’appello proposto dall’Asl nei confronti della sentenza di primo grado, la quale, dato atto dei pagamenti effettuati anteriormente e successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo, aveva revocato il provvedimento e dichiarato cessata la materia del contendere, limitatamente agl’importi pagati, condannando l’opponente al pagamento del saldo, ha rilevato la persistenza del contrasto tra le parti in ordine all’esistenza del credito azionato, ed ha quindi rigettato totalmente la domanda proposta dal CRC.
6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ri-
corrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 19/02/2025