SENTENZA CORTE DI APPELLO DI SALERNO N. 1012 2025 – N. R.G. 00000045 2021 DEPOSITO MINUTA 23 11 2025 PUBBLICAZIONE 23 11 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI SALERNO I SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello – Prima Sezione Civile – riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente rel.
Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere
Dott. NOME COGNOME Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile d’appello iscritta al n. 452021 RG , vertente
TRA
TABLE
APPELLANTE
E
TABLE
pec.it ;
APPELLATA
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 3206/2020 del 22.12.2020 pubblicata in data 29.12.2020 dal Tribunale di Salerno;
CONCLUSIONI: come da note di trattazione scritta e atti di costituzione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo n. 3023/2017 (reso in data 16.10.2017 e notificato in data 26.10.2017) il Tribunale di Salerno, accogliendo il ricorso presentato dalla (di seguito, per brevità, solo , ingiungeva all (di seguito, per brevità, solo ) di corrispondere alla parte ricorrente la somma di € 481.138,10, oltre interessi moratori e spese della procedura monitoria, a titolo di saldo del corrispettivo, dovuto per prestazioni di ‘ Assistenza Ospedaliera ‘ erogate nell’anno 2015 nei limiti del tetto di spesa riconosciuto in € 10.014.468,10 risultante dalla sommatoria di quello iniziale pari a € 9.533.330,00 e dell’importo aggiuntivo pari a € 481.138,10, definito con Determina n. 16596 del 5.05.2017, quale ripartizione delle economie di macroarea.
Avverso il provvedimento monitorio l proponeva opposizione (cfr. atto notificato in data 30.11.2017), eccependo: il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; il difetto di legittimazione attivatitolarità del rapporto per avere l’opposta ceduto il proprio credito alla ; l’insussistenza delle condizioni richieste ex art. 633 c.p.c.; l’inesistenza del contratto; l’illegittimità del frazionamento del credito; l’infondatezza della pretesa creditoria nel
merito.
Instauratosi il contraddittorio in primo grado, si costituiva l’opposta resistendo alla opposizione, deducendo l’infondatezza di difese ed eccezioni della opponente e concludendo per il rigetto della opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo, con vittoria di spese di lite con attribuzione in favore del proRAGIONE_SOCIALEtore antistatario.
Di seguito, la causa, riservata in decisione all’udienza del 26.05.2020 con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., era decisa con la sentenza qui impugnata (cfr. sentenza n. 3206/2020 emessa in data 22.12.2020 e pubblicata in data 29.12.2020, mai notificata), con cui il Tribunale di Salerno così provvedeva: .
In particolare, il giudice dell’opposizione, superata l’eccezione di difetto di giurisdizione, riteneva meritevole di accoglimento l’opposizione formulata dall in ragione dell’assenza di un espresso provvedimento, proveniente dal Commissario ad acta o dalla Giunta Regionale, contenente la rideterminazione in aumento del tetto di spesa in origine previsto nel contratto intercorso tra le parti ex art. 8-quinquies, co. 2 d.lgs. n. 502/1992 secondo quanto previsto dall’art. 4 dello stesso, escludendo pertanto la fondatezza della pretesa creditoria dell’opposta, con assorbimento di ogni altra questione agitata dalle parti.
Con l’impugnazione in esame, la censurava la sentenza di primo grado in relazione a un asserito errore logico-giuridico commesso dal giudice di prime cure, rilevabile dal confronto tra domanda monitoria e motivi che hanno condotto all’accoglimento dell’opposizione.
Segnatamente, l’appellante deduceva che, contrariamente a quanto ritenuto, l’art. 4 del contratto intercorso tra e disciplinava una fattispecie diversa rispetto alla ripartizione dei sottoutilizzi di macroarea, riconducibile più correttamente alla distinta ipotesi dell’eventuale incremento in corso d’anno dei volumi prestazionali a seguito di ‘ modificazioni dei valori unitari dei tariffari regionali ‘.
Sulla base di queste premesse, indicava quale base contrattuale ‘ a copertura ‘ del dedotto incremento di tetto di spesa l’accordo, stipulato tra e RAGIONE_SOCIALE del 5.12.2016, preceduto dall’accordo del
15.05.2015 tra Regione Campania e l e dal DCA n. 47 del 25.05.2015, pubblicato su BURC n. 34 dell’1.06.2015.
Deduceva altresì che, con nota n. 2520/C del Commissario ad acta allegata al DCA 8/2016, pubblicata con il DCA su BURC n. 12/2016, si era puntualizzato che: ‘ Un recente accordo con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha previsto che, dal 2015, eventuali economie per mancato raggiungimento del tetto da parte delle RAGIONE_SOCIALE Cura restino all’interno del settore ‘.
All’accordo avrebbe poi fatto seguito la Determina Dirigenziale n. 16596 del 5.05.5017 con la quale veniva liquidato alla l’importo di € 481.138,10 per la ripartizione delle economie di macroarea in aggiunta all’originario tetto di spesa relativo all’anno 2015.
Per tali ragioni, chiedeva a questa Corte di Appello una decisione nel merito, previa declaratoria di insussistenza del frazionamento del credito, sia per le argomentazioni contenute negli scritti difensivi del primo grado che per il giudicato esterno formatosi sulla sentenza del Tribunale di Salerno n. 4147/2018 resa tra le stesse parti in altro giudizio.
Deduceva altresì la sussistenza della propria legittimazione attiva tenuto conto che, nonostante l’intervenuta cessione del credito a favore dell’RAGIONE_SOCIALE, la aveva comunque mantenuto, in virtù di espressa previsione contrattuale, la facoltà di agire in giudizio, anche autonomamente, per il recupero del credito ceduto.
In ultimo, superava l’eccepita inesigibilità a causa della mancata emissione di nota di credito a storno, richiamando la ‘prudenziale’ emissione della nota di credito n. 2 del 7.02.2018 per l’importo di € 1.873.640,32 depositata telematicamente in data 7.03.2018 in fascicolo di parte del primo grado.
Quindi, l’odierna appellante così concludeva: .
Instauratosi il contraddittorio, si costituiva l , chiedendo il rigetto dell’appello e, per l’effetto, la conferma della sentenza n. 3206/2020 con condanna dell’appellante a spese e competenze di lite.
In particolare, l deduceva l’infondatezza della pretesa creditoria per: a) la mancanza di contratto scritto ‘ ad substantiam ‘ antecedente e/o coevo alle prestazioni erogate; b) l’inesigibilità della somma ingiunta per mancata tempestiva emissione della relativa nota di credito; c) lo sforamento del tetto di spesa annuale.
L’appellata reiterava altresì l’eccezione di frazionamento del credito.
In ultimo, per l’ipotesi di accoglimento della pretesa dell’appellante, escludeva la debenza degli interessi moratori ex d.lgs. 231/2002 . In subordine, deduceva comunque la natura ‘ querable ‘ delle obbligazioni vantate nei confronti delle con necessità di costituzione in mora per la maturazione degli interessi ex art. 1219, co. 1 c.c.
Disposta la trattazione scritta, la Corte, letti gli atti e i documenti di causa e tenuto conto delle argomentazioni e delle richieste formulate, ha riservato la decisione con la concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Ciò premesso, ritiene la Corte che l’appello in esame sia infondato e vada, pertanto, respinto per le motivazioni che di seguito si esporranno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A. Sulla efficacia retroattiva del contratto ex art. 8-quinquies d.lgs. 502/1992
Come è noto, al fine di ottenere la remunerazione di prestazioni effettuate per conto ed a carico del , è necessario non solo aver ottenuto l’accreditamento, ma anche avere stipulato, nelle forme stabilite dalla legge, uno specifico accordo contrattuale tale da delineare compiutamente il contenuto vincolante del rapporto instaurato dalle parti, integrante, in uno al summenzionato accreditamento, un indispensabile presupposto costitutivo del credito vantato.
A decorrere dal passaggio dal sistema di convenzionamento a quello di accreditamento, in seguito al quale, per gli anni 1995 e 1996, è stato introdotto l’accreditamento transitorio delle strutture già convenzionate che avessero accettato il sistema di remunerazione a prestazione (cfr., in ordine all’accreditamento transitorio, alla luce dell’interpretazione da dare all’articolo 6, comma sesto, della legge numero 724 del 1994, ed alla sua ratio , finalizzata ad evitare soluzioni di continuità nel passaggio dall’uno all’altro regime, Cass. civ. n. 24258/10), l’accreditamento deve necessariamente risultare nell’ottica di individuare la tipologia, la qualità, la quantità ed i corrispettivi delle prestazioni erogabili da un provvedimento di competenza regionale, all’esito dei procedimenti amministrativi all’uopo previsti dalla legge (cfr., Cass. n. 17711/14). Peraltro, è irrilevante che, in mancanza dell’instaurazione di un valido ed efficace rapporto di accreditamento, le strutture private abbiano erogato prestazioni in relazione a convenzioni, predisposte anteriormente al passaggio dal sistema di convenzionamento a quello di accreditamento, da reputarsi del tutto caducate, ferma restando la necessità, per l’autorità giudiziaria adita, di verificare l’esistenza o meno di tutti i presupposti necessari all’instaurazione del rapporto di accreditamento e di accordi contrattuali integrativi o attuativi di esso, indispensabili al fine di delineare la tipologia, la qualità, la quantità ed i corrispettivi delle prestazioni erogabili e, quindi, remunerabili (cfr. Cass. n. 23657/15).
Il passaggio dal regime di convenzionamento a quello di accreditamento, del resto, non ha determinato un mutamento della natura del rapporto intercorrente tra la pubblica amministrazione e le strutture private, che era e resta di natura sostanzialmente concessoria, fermo ed incondizionato, in ogni caso, sia il potere di programmazione delle regioni, sia il potere di vigilanza e di controllo ad esse riservato sull’espletamento delle attività demandate alle strutture private (cfr., Cass. n. 14335/05), poteri che attengono non solo alle concrete modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie oggetto del rapporto, ma anche alla valutazione, correlata all’esercizio del potere di programmazione, dell’effettivo bisogno di esse da parte degli assistiti dal RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’impossibilità, da parte delle strutture pubbliche, di fornirle direttamente (cfr. Cons. Stato n. 454/10).
E, in questa prospettiva, l’articolo 6, comma sesto, della legge numero 724 del 1994 ha sì riconosciuto alle strutture private in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e che avessero accettato il sistema di remunerazione a prestazione il diritto all’accreditamento, ma non certo a prescindere da qualsivoglia provvedimento amministrativo, atteso che la scelta delle strutture private legittimate ad erogare prestazioni sanitarie non può che avvenire in seguito ad un ponderato scrutinio della sussistenza dei requisiti qualitativi previamente stabiliti dalle regioni, ai sensi dell’articolo 8, commi quarto e settimo, del decreto legislativo numero 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché nel rispetto dei limiti quantitativi determinati sulla base delle risorse finanziarie e del fabbisogno territoriale di assistenza sanitaria.
L’esigenza di contemperare gli obiettivi di liberalizzazione con la necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica nel settore sanitario ha trovato ulteriore conferma nel disposto dell’articolo 2, comma settimo, del decreto del Presidente della Repubblica numero 37 del 1997, a mente del quale l’obbligo della pubblica amministrazione di versare i corrispettivi dovuti per le prestazioni erogate non può essere meramente ricondotto alla natura di soggetto accreditato -in via definitiva, provvisoria o transitoriadella struttura privata che li richieda, essendo necessaria anche l’instaurazione dei rapporti di cui all’articolo 8, commi quinto e settimo, del decreto legislativo numero 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, nell’ambito dei livelli di spesa periodicamente prestabiliti.
Quindi, nessuna erogazione di prestazioni sanitarie finanziariamente riconducibili al RAGIONE_SOCIALE è possibile qualora non sia dimostrato il rapporto di accreditamento -unitamente ai presupposti che lo rendono operante – della struttura privata che ne invochi la remunerazione ed al di fuori di uno specifico accordo contrattuale instaurato con la pubblica amministrazione (cfr., in ordine all’impossibilità di riconoscere il diritto della struttura privata alla remunerazione per le prestazioni eseguite qualora non sia emersa la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge, tra cui gli atti ed i provvedimenti amministrativi sottesi al rapporto di accreditamento e gli accordi contrattuali che ne delimitano il contenuto, anche al fine di individuare esattamente la tipologia, la qualità, la quantità ed i corrispettivi delle prestazioni sanitarie che la struttura privata è legittimata specificamente ad erogare, Cass. civ. n. 26689/14).
L’articolo 8 quater del decreto legislativo numero 502 del 1992, d’altronde, ha rimarcato il principio in virtù del quale la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del a corrispondere la remunerazione delle prestazioni sanitarie effettuate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8 quinquies del decreto legislativo numero 502 del 1992, mentre l’articolo 8 bis dello stesso decreto ha precisato che l’espletamento di prestazioni sanitarie per conto ed a carico del RAGIONE_SOCIALE è subordinato non solo all’autorizzazione per la realizzazione e l’esercizio della struttura privata ed al suo accreditamento, ma anche alla stipula degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8 quinquies del decreto legislativo numero 502 del 1992.
Pertanto, l’acquisto di prestazioni sanitarie da parte della pubblica amministrazione presuppone, tra l’altro, la conclusione di tali accordi contrattuali, in mancanza dei quali l’attività sanitaria non può essere esercitata per conto ed a carico del , e, conseguentemente, la struttura privata che voglia operare nell’ambito di esso ha l’onere non solo di conseguire l’accreditamento, ma anche di addivenire alla stipula dei prefati accordi contrattuali (cfr. Cass. n. 17588/18).
Inoltre, tali accordi contrattuali, necessari, come si è detto, anche ai fini dell’esatta individuazione delle prestazioni erogabili, devono essere – al pari, ovviamente, dei provvedimenti amministrativi di accreditamento – redatti per iscritto, come solitamente avviene nei casi in cui si intrattengano rapporti con la pubblica amministrazione: i rapporti instaurati dalla pubblica amministrazione, infatti, devono essere consacrati in forma scritta ad substantiam , che è richiesta al fine di individuare esattamente le obbligazioni assunte ed il preciso contenuto regolamentare dei negozi, nella prospettiva della concreta osservanza dei principi di imparzialità e di buon andamento che informano, o dovrebbero informare, l’attività che è chiamata a svolgere la pubblica amministrazione (cfr. Cass. n. 9165/02).
La volontà di obbligarsi della pubblica amministrazione non può desumersi implicitamente da fatti o atti, ma deve essere manifestata nelle forme richieste dalla legge e deve promanare dall’organo legittimato ad esprimere all’esterno tale volontà e, pertanto, non ha alcun rilievo, nell’ottica di ritenere validamente sorto un rapporto vincolante per la pubblica amministrazione, un mero comportamento concludente, nemmeno se protrattosi per un periodo di tempo piuttosto lungo (cfr. Cass. n. 11649/02, Cass. n. 8621/06, Cass. n. 13886/11; Cass. n. 13628/01, secondo la quale perfino gli atti prenegoziali della pubblica amministrazione devono essere riconducibili a manifestazioni formali di volontà e non, nella prospettiva in esame del perfezionamento di un contratto valido, a comportamenti concludenti o, comunque, meramente attuativi, inidonei, come si è detto, a vincolare la pubblica amministrazione).
Tanto premesso in diritto, nel caso di specie, l appellata ha eccepito nella comparsa di costituzione e risposta in appello che il contratto ex art. 8-quinquies d.lgs. n. 502/1992 per l’anno 2015 prodotto dall’appellante è stato sottoscritto dalle parti soltanto in data 24.01.2017, mancando pertanto un contratto che rivesta la forma scritta ‘ ad substantiam ‘ coevo e/o anteriore alla erogazione delle prestazioni.
La questione che riguarda non già il difetto assoluto dell’accordo contrattuale (la cui presenza è indefettibile per le ragioni sopra richiamate), ma il suo perfezionamento a posteriori , cioè in un momento temporale successivo alla erogazione delle prestazioni da parte della struttura sanitaria, è stata recentemente scrutinata dalla Suprema Corte di Cassazione.
All’esito di un complesso percorso argomentativo, i giudici di legittimità hanno chiarito che, nel settore sanitario, la stipula del contratto costituisce l’atto finale di un complesso procedimento amministrativo e che il ritardo, dovuto alla tardiva fissazione dei tetti di spesa, è da ritenersi un fatto ‘ fisiologico ‘. In questo senso, un contratto firmato post-prestazione può legittimamente avere efficacia retroattiva, a copertura delle prestazioni già eseguite.
Pur dando atto della sussistenza di una tesi differente, la quale vorrebbe la stipula del contratto prima della erogazione delle prestazioni sanitarie, la Cassazione ha ritenuto preferibile la diversa tesi, secondo cui: ‘In materia di prestazioni sanitarie rese da strutture private in regime di accreditamento, la pubblica amministrazione può stipulare il contratto di cui all’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, con effetti retroattivi, anche nell’anno successivo a quello in cui sono state rese le prestazioni, trattandosi di contratti “imposti” dalla legge, disciplinati da un peculiare modulo procedimentale a formazione progressiva, presidiato da norme imperative, che doppia la procedura negoziale, dovendosi anche tenere conto che la determinazione dei tetti di spesa annuali, attraverso appositi tavoli tecnici cui partecipano i rappresentanti delle varie categorie interessate, può sopraggiungere, in modo del tutto fisiologico, anche oltre l’anno di riferimento, purché in tempi ragionevoli’ ‘Tra l’altro, il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. Stat, sez. VI, 4/6/2024, n. 5010; Cons. Stato, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. Stato, 16/1/2013, n. 248). 24.1. Del resto, le parti non hanno alcuna possibilità di incidere sul contenuto contrattuale, che viene stabilito con l’atto amministrativo di approvazione dello schema contrattuale, sicché, effettivamente, la sottoscrizione del contratto diventa un mero requisito di completamento della fattispecie a formazione progressiva prevista dal legislatore, al fine di porre a carico dell’erario il corrispettivo delle prestazioni sanitarie erogate dei centri accreditati’ (Cassazione Civile, Sent. Sez. 1 n. 16221/2025).
Applicando siffatte coordinate ermeneutiche al caso di specie, questa Corte ritiene che il contratto ex art. 8-quinques d.lgs. n. 502/1992 – stipulato tra le parti in causa e attinente alle prestazioni erogate nell’anno 2015 – sia valido ed efficace, poiché stipulato in data 24.01.2017 e, cioè, decorso un lasso temporale ragionevolmente breve dalla fissazione dei tetti di struttura delle RAGIONE_SOCIALE di Cura con decreto commissariale n. 8 del 16.02.2016.
Di talché, superata l’eccezione della , in adesione al richiamato orientamento della Cassazione civile, questa Corte ritiene di procedere oltre nella disamina delle ulteriori questioni dibattute dalle parti, a cominciare da quella inerente all’applicabilità o meno, nel caso di specie, della previsione ex art.4 del regolamento contrattuale.
B. Sulla ripartizione delle economie di macroarea
In via di necessaria premessa, è opportuno sottolineare che le correzioni in aumento del tetto di spesa, fissato ab origine, non possono prescindere dalla necessaria copertura contrattuale ex art. 8-quinquies, non rilevando, in contrario, l’avvenuta ammissione, da parte dell del richiamato aumento del tetto di spesa assegnato alla singola struttura.
Secondo la il giudice di prime cure è incorso in un errore interpretativo nella parte in cui, a supporto delle proprie argomentazioni, ha richiamato l’art. 4 del contratto, il quale prevede che: ‘ La remunerazione delle prestazioni avverrà sulla base delle tariffe regionali previste dal vigente nomenclatore tariffario – fatti salvi eventuali adeguamenti tariffari che, tuttavia, non potranno comportare un aumento del limite di spesa di cui all’art. 3 (co. 1 ) Ai sensi dell’art. 8-quinquies, comma 2, lettera e-bis) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e del punto 18 della delibera della Giunta Regionale n. 800 del 16 giugno 2006, si conviene che in caso di incremento a seguito di modificazioni, comunque intervenute nel corso dell’anno, dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni sanitarie oggetto del presente contratto, il volume massimo di prestazioni erogabili nel 2015 di cui al precedente art. 3 si intende rideterminato nella misura necessaria al mantenimento del limite di spesa fissato nel medesimo art. 3. In ogni caso, al fine inderogabile di rispettare l’equilibrio economico finanziario programmato, non è ammissibile uno sforamento del limite di spesa, a meno che non sia intervenuto anche un espresso provvedimento (decreto del Commissario ad acta o delibera della Giunta Regionale), che individui i risparmi compensativi e/o le necessarie ed ulteriori coperture finanziarie aggiuntive. Pertanto, i maggiori costi conseguenti ad eventuali aumenti delle tariffe dovranno comunque essere assorbiti dall’incremento della regressione tariffaria derivanti dall’applicazione del tetto di spesa e/o dalla riduzione dei volumi delle prestazioni sanitarie meno appropriate (co. 3)’ .
L’assunto coglie nel segno.
E invero, la disposizione attiene alla ipotesi di modifica nel corso dell’anno di riferimento ‘ dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni sanitarie ‘ tale da incidere sul volume massimo di prestazioni erogabili, tenuto conto della necessità a monte di osservare il tetto di spesa stabilito ex contractu . Lo sforamento del tetto di spesa è consentito soltanto in presenza di un espresso provvedimento sub specie di decreto di Commissario AVV_NOTAIO o Delibera della Giunta Regionale.
A questo Collegio appare evidente che la richiamata disposizione, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, disciplini una fattispecie differente da quella di cui si discute la quale, invece, riguarda la ripartizione, tra le strutture sanitarie che abbiano erogato prestazioni in eccesso rispetto al tetto di spesa loro riferibile, di un ‘ saldo aggiuntivo ‘ in ragione delle cd. economie di macroarea (per tali intendendosi il risparmio ottenuto su altre strutture sanitarie operanti nello stesso ambito che, per quello stesso anno, si siano collocate al di sotto del tetto di spesa).
Nondimeno, dalla lettura e interpretazione del contratto sottoscritto dalle parti in causa e relativo alle prestazioni erogate nell’anno 2015 non è dato rinvenire alcun richiamo al ‘ meccanismo ‘ di ripartizione delle economie di macroarea previo aumento del tetto di spesa convenzionalmente fissato.
In altri termini, sulla base del tenore letterale dell’accordo, deve ritenersi che le parti non abbiano ‘ contrattualizzato ‘ tale componente, limitandosi alla regolamentazione di altri aspetti del loro rapporto e richiamando il decreto commissariale n. 8 del 16.02.2016 ai soli fini della determinazione dei tetti di struttura della RAGIONE_SOCIALE per l’esercizio 2015.
Come già ampiamente chiarito, in assenza della forma richiesta ad substantiam e, pertanto, di una espressa previsione, non è possibile attribuire alcuna efficacia ad eventuali atti ricognitivi compiuti
dalle parti, dovendo questo Giudice attestarsi su quanto previsto nel contratto che ha forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.).
In conclusione , per le motivazioni sin qui esposte, l’appello va rigettato, sia pure con la diversa motivazione sopra esposta.
Resta assorbita ogni altra questione agitata dalle parti.
C. Spese processuali.
Tenuto conto del rigetto dell’eccezione, sollevata dalla relativa alla retroattività dell’accordo contrattuale e della fondatezza di alcune doglianze poste a fondamento del gravame, che hanno condotto alla modifica della motivazione della sentenza di primo grado, si ritiene sussistano fondate ragioni per compensare per la metà le spese del presente grado di giudizio, ponendo la restante metà a carico della in ragione della soccombenza.
Va dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 co. 1 quater del D.P .R. n. 1152002 per il versamento da parte dell’appellante principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
PQM
La Corte d’Appello di Salerno, prima sezione civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto
dalla nei confronti dell , ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, rigettata e assorbita, così
provvede:
1. RIGETTA l’appello;
DETERMINA le spese di lite del giudizio dell’appello in € 8.500,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA E CPA, se dovuti, come per legge e le dichiara compensate in ragione della metà, CONDANNANDO la società appellante, al pagamento, in favore dell della restante metà;
DA’ ATTO della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del D.P .R. n. 115/2002 (comma introdotto dalla legge n. 228/2012) per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la proposta impugnazione.
Così deciso in Salerno, lì 5 novembre 2025
Il Presidente rel.
– Dott.ssa NOME COGNOME –