Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23568 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23568 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11037/2021 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con domicilio digitale EMAIL
-ricorrente-
contro
COMUNE DI RAGALNA, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI CATANIA n. 1765/ 2020 depositata il 21/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dalla consigliera NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con la sentenza n. 1765/2020, la Corte d’appello di Catania ha rigettato il gravame proposto dall’ingegnere NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Catania che, in accoglimento dell’opposizione, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso in suo favore per il pagamento di tre distinti incarichi professionali conferitigli dal Comune di Ragalna, e consistenti il primo nella progettazione di una variante al PRG per la realizzazione del PIP tra le contrade INDIRIZZO e Capreria, il secondo nella progettazione del PRG per gli insediamenti produttivi, giusta determina sindacale n. 79/2003, e il terzo nella progettazione definitiva delle opere di urbanizzazione primaria del predetto PIP.
COGNOME, ritenendo di non essere stato pagato per le suddette prestazioni, aveva ottenuto, infatti, nel 2014 un decreto ingiuntivo per euro 30.292,38. Il Comune si era opposto e, in primo grado, il Tribunale di Catania aveva revocato il decreto e respinto le sue richieste.
COGNOME aveva quindi proposto appello, censurando il rigetto della domanda in relazione all’incarico per la progettazione della variante al PRG, e deducendo che, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, nel testo della delibera del Consiglio comunale di approvazione della variante del 31.12.2004 si faceva riferimento alla determina sindacale n. 79/2003, con la quale veniva conferito l’incarico per la redazione di un piano particolareggiato e relativi atti connessi, concludendo che sussisteva la prova scritta del contratto fra il professionista e l’ente; aveva eccepito, altresì, che l’incarico professionale poteva essere desunto da una serie di documenti prodotti, e aveva lamentato l’erroneità del rigetto della richiesta prova per testi. In relazione agli altri incarichi, aveva contestato l’erroneità della motivazione del primo Giudice, per aver ritenuto il difetto di potere in capo al responsabile unico del procedimento, che aveva firmato i disciplinari di incarico, evidenziando, al contrario, come gli incarichi in questione fossero stati conferiti dal Sinda-
co con la determina sindacale n. 79/2003 e come nei disciplinari di incarico fossero previsti anche le modalità e i tempi di pagamento del corrispettivo. COGNOME aveva contestato, inoltre, il rigetto della domanda di arricchimento senza causa.
3.1. L’appellante aveva censurato altresì la sentenza di primo grado per mancata applicazione dell’art. 194 del TUEL (d.lgs. n. 267/2000), in relazione alla domanda subordinata di arricchimento senza causa, per non avere cioè il primo Giudice ritenuto ammissibile la domanda nei limiti dell’utilità e dell’arricchimento derivato all’ente dai lavori eseguiti ed in misura pari ai compensi richiesti.
La Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione, richiamando gli artt. 16 e 17 del r.d. 2444 del 1993, nel consolidato orientamento giurisprudenziale che richiede la forma scritta ad substantiam , con conseguente nullità del contratto privo di detta forma ed insuscettibile di sanatoria.
4.1. Il Giudice d’appello ha evidenziato altresì come la documentazione richiamata ed i testi richiesti non potessero colmare la carenza del contratto scritto.
4.2. Parimenti, la Corte territoriale ha respinto il gravame proposto in relazione alla richiesta di pagamento per le prestazioni relative agli altri incarichi conferiti dal Comune, disattendendo le allegazioni dell’appellante secondo il quale gli incarichi in questione erano stati conferiti dal Sindaco con la determina n. 79 del 2003, dal momento che la documentazione richiamata non sostituiva il contratto scritto, necessario fondamento del preteso pagamento, né l’impegno di spesa necessario ai sensi dell’art. 191 TUEL (d.lgs. n. 267/2000).
4.3. La Corte territoriale ha, inoltre, chiarito che non si poteva ricorrere nemmeno all’azione per ingiusto arricchimento, prevista dall’art. 2041 c.c., perché nel caso in cui non vi sia un valido contratto con l’ente, la legge prevede già la responsabilità personale del funzionario che ha autorizzato la prestazione senza copertura
finanziaria (art. 191 TUEL). Ciò rende l’azione per indebito arricchimento inammissibile per difetto del requisito di sussidiarietà.
4.4. Infine, il tentativo di Borzì di invocare l’art. 194 TUEL sul riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio è stato respinto dalla Corte d’appello perché esso spetta esclusivamente al Consiglio comunale, e non muta la conclusione di inammissibilità dell’azione per insussistenza del requisito della sussidiarietà ex art. 2042 cod. civ.
La Corte d’appello ha così confermato la nullità degli incarichi conferiti, ha rigettato tutte le richieste del COGNOME e lo ha condannato a pagare le spese legali del Comune.
La cassazione della suddetta pronuncia, pubblicata il 21. 10.2020, è chiesta dal COGNOME con ricorso notificato il 19.4.2021 ed affidato a sei motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il Comune di Ragalna.
RITENUTO CHE:
Con il primo motivo si deduce (in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3-5 cod. proc. civ.) la violazione degli artt. 2041-2042 c.c. e 112 e 132 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale da un lato rigettato il primo motivo di appello, affermando che per i lavori relativi al Progetto in variante del PRG per un importo di euro 20.112,70 era corretta la decisione di primo grado, atteso che difettava qualsivoglia contratto scritto tra le parti e che alcun rapporto si era costituito con alcuno, e dall’altro rigettato il terzo motivo di appello, laddove si formulava domanda subordinata di ingiusto arricchimento in relazione a tutte le somme di cui al decreto ingiuntivo, assumendo che detta domanda non era ammissibile siccome non avente natura residuale e sussidiaria, atteso che il rapporto si era costituito con il funzionario.
7.1. La censura è inammissibile, avendo la Corte territoriale deciso in conformità al consolidato orientamento della Corte di le-
gittimità, secondo cui il contratto d’opera professionale con la Pubblica Amministrazione deve rivestire la forma scritta ad substantiam , la cui osservanza richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonché l’indicazione dell’oggetto della prestazione e dell’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi dalla delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, in quanto si tratta di un atto di rilevanza interna di natura autorizzatoria (Cass. 11465/2020; id. 8574/2023; Sez. Un. 13849/2023).
7.2. La Corte d’appello ha confermato la decisione di prime cure, facendo corretta applicazione del suddetto principio, e non vengono allegate ragioni per un mutamento interpretativo ex art. 360-bis, n. 3, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115, 116 e 132 co. 2, n 4 cod. proc. civ., nonché per omesso esame dei documenti, omessa pronuncia e motivazione apparente, contraddittoria, perplessa, laddove la Corte etnea ha rigettato il secondo motivo di appello, che censurava la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato la richiesta di pagamento delle prestazioni professionali relative agli incarichi di cui ai disciplinari del 24.12.2013 per euro 8.910,78 e per euro 1.268,80, sul presupposto del difetto di potere in capo al RUP.
8.1. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non si è pronunciata sulla censura, rigettando il motivo di gravame sulla base del richiamo alle argomentazioni svolte per rigettare il primo motivo di appello, senza considerare che gli incarichi in questione, diversamente dal primo, erano stati conferiti con contratto sottoscritto dal Sindaco ed era stato pattuito e indicato il relativo corri-
spettivo, mentre il primo Giudice aveva rigettato la domanda ritenendo che detti disciplinari e contratti fossero stati sottoscritti dal responsabile unico del procedimento e, quindi, non idonei ad impegnare l’ente.
8.2. La censura è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi , avendo la Corte territoriale osservato che detti disciplinari, pur prodromici all’affidamento dell’incarico al professionista e riflettenti alcune problematiche esecutive, non erano comunque idonei a costituire il contratto scritto caratterizzato dai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla normativa in materia. La Corte territoriale ha inoltre affermato che la determina sindacale n. 79/2003 non configurava un contratto, ed al riguardo il motivo difetta di specificità, non essendo neppure descritto il contenuto della delibera, al fine di sostanziare la critica rivolta alla statuizione impugnata.
Con il terzo motivo si impugna “il secondo motivo di rigetto del gravame, unitamente al motivo di rigetto del terzo motivo di gravame pure respinto, anche sotto il profilo della violazione degli art. 360 co. 1 n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2041 cod. civ. ed agli artt. 112 e 116 ed all’art. 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ.”. Si afferma che, non avendo la Corte, per rigettare il secondo motivo di appello, affermato che il rapporto si era costituito con il Sindaco in proprio, avrebbe dovuto accogliere, ritenendola residuale, la domanda subordinata di ingiusto arricchimento svolta nel terzo motivo di appello, che invece è stata rigettata sul presupposto della natura non residuale di tale domanda subordinata.
9.1. La censura appare inammissibile, perché formulata in termini meramente ipotetici, senza motivatamente censurare le argomentazioni con cui la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità della domanda subordinata ex art. 2041 cod. civ. per insussistenza della sussidiarietà.
10. Con il quarto motivo si impugna anche il capo di sentenza che ha rigettato il terzo motivo di gravame, anche unitamente al primo ed al secondo motivo di appello, per violazione degli art. 360 co. 1 n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2041 cod. civ., all’art. 1424 cod. civ. ed agli artt. 112, 116 e 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ. Il ricorrente censura la sentenza della Corte catanese per non avere esaminato la domanda di arricchimento senza causa in funzione delle distinte fattispecie fatte oggetto di richiesta del decreto ingiuntivo, quella relativa all’incarico di progettazione della variante per gli insediamenti produttivi, quella relativa all’incarico per la progettazione del piano regolatore particolareggiato, giusta determina sindacale n. 79/2003, così come quella relativa alle connesse opere di urbanizzazione.
10.1. La censura appare inammissibile, perché non si raccorda con la motivazione della decisione assunta dalla Corte territoriale, e sopra richiamata, in relazione alla terza doglianza prospettata dall’appellante.
11. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4, 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 194 TUEL e degli artt. 112, 116 e 132 cod. proc. civ., in relazione al rigetto del quarto motivo di appello, unitamente al rigetto dei motivi di appello primo, secondo e terzo.
12. Con il sesto motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4, 5 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2041 e 2697 cod. civ. e degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., in relazione al rigetto della ragioni di gravame di cui ai punti III-IV, riguardanti l’insussistenza di altra azione verso i funzionari e l’intervenuta prescrizione del diritto verso i medesimi.
12.1. Il ricorrente, in buona sostanza, censura l’assunto della Corte d’appello secondo cui, difettando la copertura finanziaria, l’obbligazione sarebbe sorta con il funzionario e non con l’Ente.
12.2. Il quinto e sesto motivo, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili ex art. 360-bis, n.1, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale deciso la questione di diritto in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’incarico professionale che sia stato svolto, in favore di un ente locale, in mancanza di una formale delibera di assunzione di impegno contabile ex art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) comporta l’instaurazione del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, non risultando esperibile nei confronti dell’ente l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. civ., per difetto del requisito della sussidiarietà, salvo che esso non riconosca a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. predetto (cfr. Cass. 12608/2017).
12.3. E’ stato infatti chiarito che, in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni siano state assunte senza un previo contratto e senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, al di fuori delle norme c.d. ad evidenza pubblica, insorge un rapporto obbligatorio direttamente tra chi abbia fornito la prestazione e l’amministratore o il funzionario inadempiente che l’abbia consentita. Ne consegue che, potendo il terzo interessato agire nei confronti del funzionario, per la mancanza dell’elemento della sussidiarietà, non è ammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente locale il quale può soltanto riconoscere a posteriori , ex art. 194 d. lgs. n. 267 del 2000 – nei limiti dell’utilità dell’arricchimento puntualmente dedotto e dimostrato – il debito fuori bilancio. Tale riconoscimento deve avvenire espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto dal mero comportamento degli organi rappresentativi dell’ente, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione
economico-finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative (cfr. Cass. 30109/2018; Cass. 12943/2025)
12.4. La Corte territoriale ha pronunciato in conformità, e il ricorrente non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, dopo aver rigettato la domanda di pagamento del corrispettivo, in virtù della rilevata mancanza del contratto scritto per tutti e tre gl’incarichi, ha ritenuto inammissibile quella ex art. 2041 cod. civ., ritenendo che i disciplinari relativi al secondo ed al terzo incarico, prodotti in giudizio, non costituissero un valido impegno di spesa, ed affermando quindi che, ai sensi dell’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, il rapporto obbligatorio intercorreva con l’amministratore o i funzionari, con il conseguente difetto di sussidiarietà.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
In applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente, liquidate in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre 15 % per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo uni-
ficato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025.