Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16221 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 16221 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 20336/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali chiedono di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento ai propri indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio COGNOME.
-ricorrente –
Azienda Sanitaria Locale Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata in calce al controricorso, le quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 275/2024, depositata in data 29/3/2024;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi per la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l ‘accoglimento del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE agiva con ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti dell’Asl Salerno per conseguire il pagamento di varie fatture emesse dal 23/3/2018 al 31/12/2018, per la somma complessiva di euro 349.318,82, pari al credito scaduto e non pagato per le prestazioni di radiologia, cardiologia e branche a visita rese in favore degli assistiti del servizio sanitario nazionale nell’anno 2018.
Tali prestazioni erano state eseguite in regime di accreditamento istituzionale ex art. 8quater del d.lgs. 502 del 1992, nonché in virtù del contratto ex art. 8quinquies , comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, stipulato tra le parti in data 4/3/2019, oltre interessi moratori, spese competenze del procedimento monitorio.
In particolare, la società allegava il contratto e le fatture, esponendo di aver ricevuto dalla Asl, in data 9/8/2018, una PEC riportante le date previsionali di esaurimento del limite di spesa per ciascuna delle tre branche.
Proponeva opposizione la Asl eccependo, per quel che ancora qui rileva, l’assenza di un contratto in forma scritta stipulato anteriormente all’esecuzione delle prestazioni sanitarie oggetto del decreto ingiuntivo, in quanto il contratto per l’anno 2018 era stato sottoscritto solo in data 4/3/2019.
Il tribunale di Salerno, con sentenza dell’11/10/2022, rigettava l’opposizione, evidenziando in particolare, quanto alla validità ed efficacia del contratto sottoscritto nell’anno 2019, con riferimento all’anno 2018, che solo con decreto commissariale n. 84 del 31/10/2018 erano stati fissati i tetti di spesa delle case di cura per l’esercizio 2018; ne conseguiva che la retroattività della determinazione dei tetti di spesa non poteva che comportare la retroattività anche degli effetti del contratto inerenti alle prestazioni sanitarie cui si riferivano i medesimi tetti di spesa.
Il tribunale revocava il decreto ingiuntivo e condannava la Asl al pagamento in favore della Casa di Cura Tortorella della somma di euro 335.747,75, essendo intervenuto nelle more il pagamento della somma di euro 13.871,06.
Proponeva appello la Asl sostenendo, per quel che ancora qui rileva, l’erroneità delle statuizioni del tribunale con cui era stata respinta l’eccezione di carenza di un contratto in forma scritta stipulato anteriormente all’erogazione delle prestazioni sanitarie.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 275/2024, depositata il 29/3/2024, accoglieva l’appello.
In particolare, la Corte territoriale rilevava che i limiti di spesa indicati nella PEC dell’Asl del 9/8/2018, con riferimento a ciascuna
branca delle prestazioni, erano stati confermati nel contratto stipulato ex articolo 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, in data 4/3/2019.
Chiariva che l’essenzialità del contratto scritto rispondeva al principio per cui il contratto stipulato dall’amministrazione pubblica doveva essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta, in ottemperanza al disposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, con esclusione di qualsiasi manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi.
L’obbligo di pagamento delle prestazioni poteva sorgere solo dal contratto scritto stipulato dalla regione o dalle Asl e con le strutture private, ove si indicava, tra l’altro,: il volume massimo di prestazioni di ciascuna struttura; il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate; le modalità con cui veniva garantito il rispetto del limite di remunerazione delle strutture correlate al volume di prestazioni.
Nell’anno 2018 non sussisteva alcun rapporto contrattuale tra la Asl della casa di cura, né «il contratto stipulato nell’anno successivo (a marzo del 2019) per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale già rese 2018 ».
La fondatezza del primo motivo di appello assorbiva gli altri motivi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società.
Ha resistito con controricorso la Asl Salerno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente società deduce la «violazione e/o falsa applicazione degli articoli 8bis , 8quater e 8quinquies , del d.lgs. n. 102 del 1992 e s.m.i., degli articoli
16 e 17 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, dell’articolo 2, comma 7, del d.p.r. 14/1/1997, dell’articolo 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449, dell’articolo 1322 c.c., degli articoli 3,32,41,81 e 97, Costituzione, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’asserita necessità della stipula degli accordi contrattuali tra Asl e struttura privata accreditata in data antecedente a quella di fissazione dei tetti di spesa sanitaria regionale, quale presupposto per l’erogazione di prestazioni sanitarie per conto e a carico del SSN».
La Corte d’appello ha ritenuto che il contratto sottoscritto tra le parti solo il 4/3/2019, relativamente all’anno precedente (2018), non poteva avere efficacia retroattiva.
In realtà, per la ricorrente, la questione anche successivamente all’espletamento delle prestazioni sanitarie è strettamente collegata alla determinazione dei tetti di spesa per ogni singola struttura sanitaria, che avviene con atto autoritativo regionale, «che vincola i successivi contratti da stipulare tra le Aziende Sanitarie e le singole strutture accreditate».
L’atto di determinazione dei tetti di spesa costituisce esplicazione della funzione programmatoria attribuita alle regioni in materia sanitaria e rappresenta, quindi, un dato inabdicabile, influendo sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate.
Data la complessità delle valutazioni, da compiere di regola annualmente, sarebbe del tutto fisiologico che la determinazione dei tetti di spesa sopravvenga nel corso dell’anno, quando le strutture sanitarie già hanno avviato l’erogazione del servizio per garantirne la necessaria continuità.
Ciò comporta – ad avviso della ricorrente – che gli atti di programmazione regionale abbiano un effetto retroattivo, la cui
legittimità è riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa (si cita Cons. Stato, Ad. Plen., 2/5/2006, n. 8).
Da ciò la conseguenza che la stipulazione dei contratti di budget tra la Asl e la singola struttura sanitaria accreditata «avvenga successivamente alla fissazione regionale dei tetti di spesa sanitaria ed dunque, possibilmente, anche in corso d’anno, in un momento in cui è già in corso l’attività di erogazione delle prestazioni».
Del resto, il contratto deve necessariamente indicare volumi massimi di prestazioni da acquistare, sicché la stipula non può precedere l’individuazione del tetto di spesa.
Ove si volesse opinare diversamente, nel senso della non remunerabilità delle prestazioni eseguite prima della stipula del contratto, si verificherebbe la «inevitabile paralisi del sistema sanitario, regionale e nazionale, a causa dei fisiologici ritardi dell’amministrazione sanitaria nella determinazione dei limiti di spesa annuale e nell’approvazione dei correlati schemi di contratto».
L’efficacia retroattiva dei contratti risponde proprio l’obiettivo primario della «pianificazione preventiva» della spesa sanitaria, congiunto a quello della necessità di «garantire la continuità del servizio».
Del resto, i corrispettivi delle prestazioni non sono pattuiti dalle parti, ma sono fissati anch’essi da apposito atto amministrativo.
Per la retroattività degli effetti del contratto pubblico si è già espressa la giurisprudenza di legittimità (si citano Cas. n. 27528 del 2021; Cass. n. 27997 del 2019; Cass., n. 15530).
Per la ricorrente non può trascurarsi, al fine di ravvisare l’efficacia retroattiva del contratto, «il più complesso procedimento amministrativo attraverso il quale si concretizza l’attività autoritativa della PA».
2. Il motivo è fondato.
La questione in ordine alla forma del contratto che deve essere stipulato tra la Asl e le società che effettuano le prestazioni in regime di accreditamento, definitivo o provvisorio, si intreccia strettamente – come intuito dalla società ricorrente – con l’ulteriore questione in ordine al momento della individuazione dei tetti di spesa che, generalmente e fisiologicamente, si verifica in un momento successivo a quello della stipulazione del contratto, anche oltre l’anno di riferimento.
Deve muoversi, allora, dalla necessità della forma scritta per i contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
In tal senso va richiamato l’art. 16 del regio decreto 18/11/1923, n. 2440, a mente del quale «i contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento. I processi verbali, di aggiudicazione nelle aste e nelle licitazioni private sono parimenti formati da quest’ultimo funzionario. I contratti di verbali anzidetti hanno forza di titolo autentico».
Analogamente, l’art. 17 del medesimo regio decreto n. 2440 del 1923 sancisce che «i contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione; per mezzo di obbligazione stesa appiedi del capitolato».
Tali disposizioni generali devono confrontarsi con quelle speciali di cui al d.lgs. n. 502 del 1992.
Per questa Corte (di recente Cass., sez. 1, 3/4/2024, n. 8753), infatti, in materia di appalto di opere pubbliche (ma i medesimi principi valgono anche in materia di prestazioni sanitarie), il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi, sia con riguardo al
” quantum ” della revisione, sia con riguardo alla responsabilità dell’amministrazione per interessi ed eventuale maggior danno sulla somma dovuta, sorge soltanto dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell’amministrazione; tale riconoscimento deve provenire dall’organo dell’ente pubblico abilitato a manifestarne la volontà e, per le amministrazioni comunali, non può che perfezionarsi con le forme richieste per la relativa delibera dal R.D. n. 383 dal 1934 e dalle leggi successive in materia, con la conseguenza che tale riconoscimento non può mai considerarsi pacifico tra le parti, e perciò non abbisognevole di prova, anche in mancanza di contestazione, atteso che non possono considerarsi pacifici tra le parti i fatti per i quali la legge richieda un atto scritto ad “substantiam ” o ad “probationem ” (Cass., sez. 1, 15 settembre 2000, n. 12178; Cass., sez. 3, 6 agosto 2002, n. 11765).
6. Infatti, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui i contratti con la pubblica amministrazione devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità (Cass., 4 giugno 1999, n. 5448), non essendo consentita alcuna eventuale convalida o ratifica successiva (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59; di recente Cass. n. 8753 del 2024, cit.).
Si è ritenuto, dunque, che, soprattutto in presenza di accordi specifici complessi con la pubblica amministrazione, la forma scritta sia assolutamente necessaria, «soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell’autorità tutoria» (Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, in tema di appalto pubblico; Cass., sez. 2, 30 maggio 2002, n. 7913, in tema di conferimento di incarichi a professionisti; di recente Cass., sez. 2, 27 marzo 2023, n. 8574; Cass., 3/4/2024, n. 8753).
La forma scritta, allora, va vista come strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della PA, sia
nell’interesse dei cittadini, in quanto costituisce remora ad arbitri, sia nell’interesse della stessa amministrazione, in quanto agevola l’espletamento della funzione di controllo e la concreta osservanza dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 12 luglio 2001, n. 9428; anche Cass., sez. 3, 24 giugno 2002, n. 9165; Cass., sez. 1, 3/4/2024, n. 8753).
Per tali contratti, allora, non solo deve escludersi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (Cass., sez. 3, 3 agosto 2002, n. 11649), ma deve ritenersi che, salvo le ipotesi in cui specifiche norme lo consentano, il contratto deve essere consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto. La volontà della PA di concludere il negozio deve essere manifestata alla controparte dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, che è il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di questo, e ad essere perciò munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione per la quale si obbliga (Cass. n. 59 del 2001, cit.; anche Cass., sez. 2, 6 dicembre 2001, n. 15488; Cass., sez. 1, 3/4/2024, n. 8753).
Si è precisato che «il contratto nullo non può essere nemmeno ritenuto suscettibile di convalida, perché attraverso la ratifica o sanatoria, può essere corretto il vizio di un atto annullabile» (Cass. n. 59 del 2001; anche Cass. n. 1615 del 1981). Il contratto privo della forma scritta ad substantiam è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalida o ratifica successive e non potendosi neppure ammettere la validità di manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass., sez. 3, 15 marzo 2004, n. 5234; Cass., sez. 1, 3/4/2024, n. 8753).
Se, dunque, siano del tutto assenti gli elementi essenziali, l’atto non raggiunge il livello minimo indispensabile per la sua nascita sul piano giuridico, così da non consentire il suo perfezionamento, che presuppone sempre l’esistenza di un quid che non sia solo di parvenza (Cass., 3/4/2024, n. 8753).
6.1. Tali principi non si applicano quando un ente pubblico economico conclude il contratto in regime di diritto privato, in quanto tale ente si caratterizza per il fatto di svolgere la sua attività sullo stesso piano, anche concorrenziale, dei comuni imprenditori, onde verrebbe meno l’utilità stessa della categoria se essi dovessero sottostare ad oneri di cui i privati imprenditori sono esenti (Cass., sez. 1, 24/6/1975, n. 2511; Cass., sez. 3, 2/12/2016, n. 24640).
6.2. Nell’ipotesi in cui le parti abbiano previsto la continuazione del rapporto contrattuale in mancanza di disdetta, la protrazione del negozio avviene non già in virtù della manifestazione di un nuovo consenso, ma in forza dello stesso contratto originario, cui afferisce la condizione risolutiva della disdetta, ed è da tale contratto disciplinata (Cass., sez. 3, 14/5/1981, n. 3187; Cass., sez. 3, 10/9/1999, n. 9614; Cass., sez. 1, 24/11/1999, n. 13039; Cass., sez. 3, 9/5/2017, n. 11231).
6.3. Va anche chiarito che per la valida stipulazione dei contratti della P.A., anche diversi da quelli conclusi a trattativa privata con ditte commerciali, il requisito della forma scritta ” ad substantiam ” non richiede necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente, che per l’amministrazione possono assumere anche la forma dell’atto amministrativo (Cass., Sez.U., 25 del 2022, n. 975;
per i contratti stipulati a trattativa privata vedi anche Cass., sez. 1, 27/10/2017, n 25631; Cass., sez. 2, 27/7/2022, n. 23422).
Con riferimento all’accreditamento, anche temporaneo o provvisorio, delle società che svolgono prestazioni a favore del servizio sanitario nazionale, valgono le regole di cui agli articoli 8,8bis , 8quater , e 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992.
7.1. L’art. 8bis (autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali) del d.lgs. n. 502 del 1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) stabilisce che «le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’art. 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8quater , nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
È evidente, come, ai fini del riconoscimento della remunerazione delle prestazioni, siano necessari tre requisiti: l’autorizzazione regionale (art. 8ter ); l’accreditamento (art. 8quater ); la conclusione di specifici accordi (art. 8-q uinquies ).
Ciò trova conferma nell’art. 8bis , comma 3, del d.lgs. n. 105 del 1992, laddove stabilisce che «la realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie, l’esercizio di attività sanitarie per conto del servizio sanitario nazionale e l’esercizio di attività sanitaria a carico del servizio sanitario nazionale sono subordinate, rispettivamente, al rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 8ter , dell’accreditamento istituzionale di quell’art. 8quater , nonché alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
7.2. L’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 (Accreditamento istituzionale), in vigore a decorrere dal 31 luglio 1999, prevede al
comma 1 che «l’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale ed alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati raggiunti».
Al comma 2, si chiarisce che «la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8quinquies ».
Nella norma si fa riferimento anche all’accreditamento «temporaneo» ed a quello «provvisorio».
Si prevede, dunque, al comma 6 dell’art. 8quater , del d.lgs. n. 502 del 1992 che «entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e delle altre già operanti ».
Al comma 7 dell’art. 8quater , si precisa che «nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso».
7.3. Di fondamentale rilievo è poi l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 102 del 1992 (accordi contrattuali), che prevede al comma 2 che, «in attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della
qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale ».
Va rilevato che, l’art. 8quinquies , del d.lgs. n. 502 del 1992, in vigore dal 22 agosto 2008, prevede al comma 2quinquies che «in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale interessati è sospeso».
8. Questa Corte ha chiarito che l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978, di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro, l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa (Cass. sez. 3, 5 luglio 2018, n. 17588; Cass., sez. 6-3, 3 giugno 2014, n. 12392).
Pertanto, ha trovato conferma l’indirizzo giurisprudenziale per cui nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che
riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli specifici rapporti contrattuali (Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; Cass., 19 novembre 2015, n. 23657; Cass. 3/4/2024, n. 8753).
In realtà, l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 6 della legge n. 724 del 1994, nel prevedere la necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio, comporta che non può essere posto a carico delle regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla casa di cura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi, dovendosi, in ogni caso, escludere, ai sensi dell’art. 8quinquies del citato d.lgs. n. 502 del 1992, che possono validamente concludersi accordi contrattuali per facta concludentia , atteso che, in base al disposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, tutti i contratti con la PA devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (Cass., sez. 1, 4 marzo 2024, n. 5682; Cass., sez. 1, 15 marzo 2022, n. 8383; Cass., sez. 3, 11 marzo 2020, n. 7019; Cass., sez. 1, 6 agosto 2014, n. 1771; Cass., 3 giugno 2014, n. 12392).
La nullità può, dunque, essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in fase d’appello e nel giudizio di cassazione, purché non si sia formato un giudicato interno in ordine alla validità del contratto, nei gradi precedenti (Cass., sez. 1, 22 giugno 2022, n. 20170; Cass., sez. 6-1, 15 settembre 2020, n. 19161).
Nella specie, non si è formato alcun giudicato interno, in quanto la questione della validità del contratto è stata sottoposta al vaglio giudiziario già con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo dell’Asl.
Le disposizioni, sopra richiamate, vanno coordinate con quelle che concernono la determinazione dei tetti di spesa che, come detto, vengono generalmente individuati solo successivamente alla stipulazione del contratto pubblico.
Per tale ragione, possono prospettarsi due diverse soluzioni alla questione della efficacia retroattiva di un contratto pubblico stipulato in un momento successivo, rispetto all’annualità di riferimento, quando le prestazioni sanitarie sono state già rese.
Un primo orientamento opta per la assoluta necessità che il contratto pubblico sia stipulato all’inizio dell’anno, senza la possibilità di efficacia retroattiva del contratto stipulato successivamente, dopo l’effettuazione delle prestazioni sanitarie.
In tal caso, si propende per differenziare la dinamica della stipulazione del contratto pubblico, da quella, diversa, della determinazione dei tetti di spesa, che fisiologicamente vengono individuati solo in epoca successiva, a seguito della contrattazione tra le parti, in occasione dei tavoli tecnici organizzati per discutere del tema.
La questione si intreccia con quella relativa all’individuazione del soggetto cui è attribuito l’onere di dimostrare il superamento dei tetti di spesa fissati dalla regione.
L’art. 26 della legge 23/12/1978, n. 833 (prestazioni di riabilitazione) stabilisce che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’Unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema
tipo approvato dal Ministro della Sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale».
12.1. L’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede una programmazione sanitaria, che si articola in un piano sanitario nazionale di durata triennale e di un piano sanitario regionale (art. 1 comma 9 «il piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del piano precedente. Il piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5»).
Ai sensi del comma 2 dell’art.1 del d.lgs. n. 502 del 1992, vengono in rilievo i LEA (livelli essenziali di assistenza), prevedendosi poi, che «il servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse».
Il piano sanitario regionale è disciplinato dall’art. 1 comma 13 del d.lgs. n. 502 del 1992.
12.2. Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/1992, n. 502 (Fondo sanitario nazionale) che «il fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle
regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che «le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo sanitario nazionale) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446, prevede poi «Il CIPE su proposta del Ministro della Sanità, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente».
Questa Corte, con plurime decisioni, ha ritenuto che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che richiama Cons. Stato, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass.,sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446), in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass. n. 31364 del 2024).
Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020; Cass. n. 31364 del 2024).
Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’Asl di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della Asl, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la Asl e la regione non avrebbero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019; anche Cass. n. 31364 del 2024).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il
mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., 6/12/2024, n. 31364).
Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle modalità esecutive del monitoraggio suscettibile di essere demandato ad eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del
monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire i controlli per il tramite dei tavoli tecnici perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. Stato., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023; Cass n. 31364 del 2024).
Non rileva, dunque, la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al Tavolo Tecnico.
A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
Per la tesi favorevole alla nullità del contratto stipulato al termine dell’annualità in esame, tuttavia, il fisiologico ritardo nella individuazione dei tetti di spesa, non elide l’invalidità del negozio realizzatasi.
Infatti, in base a tale orientamento, la necessità dell’accordo scritto nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, anche in caso di accreditamento, provvisorio o definitivo, non contrasta con la prassi richiamata, che si estrinseca nel sopraggiungere di nuove delibere che fissano e cambiano i tetti di spesa.
Di qui, dunque, la precisazione per cui i tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto
determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione infatti recitava così «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati («vigenti»).
In questo contesto, la Corte costituzionale – pur precisando che la nuova norma incideva sì sui contratti già stipulati, ma con decorrenza dalla sua entrata in vigore, e quindi rispetto alle prestazioni non ancora eseguite dai soggetti accreditati – osserva che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposta in corso d’anno» (richiama Cons. Stato, Ad. Plen., 12/4/2012, n. 3 e n. 4; Cons. Stato, Ad. Plen., 2/5/2006, n. 8).
È questa la ragione per cui anche questa Corte (ordinanza n. 27997 del 2019; richiamata da Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364) ha richiamato le pronunce del giudice amministrativo, in una fattispecie, però, in cui la stipula del contratto, avvenuta «soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni», non giustificata da ritardi connessi alla adozione da parte della regione degli atti di indirizzo e programmazione, «è affetta da nullità virtuale ex art. 1418, comma 3, c.c. in quanto violativa dell’esercizio dell’autonomia negoziale, impedendo alla struttura privata di autodeterminarsi nelle scelte imprenditoriali».
In tale contesto, del tutto specifico, emergeva che «il punto critico della vicenda emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, rendendo quindi problematica una programmazione di impresa in un sistema di tipo concorrenziale».
Il contratto, dunque, era già stato stipulato, mentre le delibere di fissazione dei tetti di spesa erano sopraggiunte in seguito.
15.1. La tesi della necessaria stipula del contratto con la pubblica amministrazione, prima dell’inizio dell’esecuzione del negozio, e quindi in un momento anteriore all’effettuazione delle prestazioni, con conseguente nullità del contratto redatto successivamente, trova un appiglio giurisprudenziale, sia pure non recente.
Si è affermato, infatti, che sono esclusi dalla proroga legale sancita dall’art. 2 della legge 23 maggio 1950, n.253, i contratti di locazione di immobili urbani, formalmente stipulati dopo il 1 marzo 1947, e non ha rilevanza il fatto che, trattandosi di locazione stipulata da un comune, la deliberazione del consiglio comunale con la quale viene approvata la proposta di locazione – sia stata presa e comunicata al conduttore in data precedente, e che nell’atto formale di stipulazione sia stata indicata, come inizio della locazione, altra data precedente al 1 marzo 1947 (Cass., sez. 3, 9/7/1968, n. 2383).
Pare però preferibile la diversa tesi che propende per la possibilità della stipulazione di un contratto scritto in un momento successivo all’esecuzione delle prestazioni sanitarie – nella specie anche oltre il termine dell’annualità di riferimento (nel marzo del 2019 a fronte di prestazioni sanitarie svolte nell’anno 2018) -, purché vi sia la previsione di effetti retroattivi dello stesso, sin dall’inizio dell’anno, con riferimento alle prestazioni già eseguite.
Si va dunque a valorizzare il procedimento di formazione della volontà contrattuale da parte della pubblica amministrazione che sfocia, solo da ultimo, nella stipulazione del contratto, che si colloca all’apice di tale procedimento.
In dottrina, anche con riferimento al nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023, che ha coniato, nella sua prima parte, i principi generali in materia (appalti e concessioni),
si enfatizza la natura dei contratti con la pubblica amministrazione, intesa come «contratti imposti» dalla legge.
18.1. Pertanto, la procedura di scelta del contraente si caratterizza per la presenza di due procedimenti paralleli: da un lato un procedimento diretto alla formazione della volontà contrattuale, disciplinato, salvo specifiche deroghe, da norme di diritto privato; dall’altro un procedimento amministrativo, retto da norme di diritto pubblico, attraverso il quale l’amministrazione rende note le ragioni di pubblico interesse per le quali intende concludere quel determinato contratto, nonché i motivi per i quali vuole scegliere una certa controparte.
Il procedimento pubblico, quindi, «doppia» la procedura negoziale ed è formato da provvedimenti amministrativi che garantiscono l’osservanza del pubblico interesse.
Ovviamente, l’autonomia negoziale «procedimentale» nell’ambito dei contratti pubblici si differenzia da quella prettamente contrattuale.
Vi è l’esigenza di rispettare il principio di legalità-indirizzo, per cui la PA ha l’obbligo di stipulare determinati contratti pubblici.
La PA deve poi seguire gli schemi formativi individuati da norme imperative di diritto pubblico, sicché alle parti non è consentito modificare tali schemi negoziali oppure prevederne nuovi e diversi, come accade tra privati.
Non è neppure consentita la stipulazione di contratti preparatori atipici.
Quanto poi alla autonomia negoziale «sostanziale», si è sottolineato che lo scopo da raggiungere è predeterminato dalla legge ed è rappresentato dall’esigenza di perseguire l’interesse pubblico per assicurare il risultato della realizzazione dell’intervento.
Il contenuto è quello risultante all’esito dello svolgimento della procedura di evidenza pubblica.
21. Del resto, l’art. 8 del d.lgs. n. 36 del 2023 (nuovo codice dei contratti pubblici), che si applica esclusivamente ai contratti di appalto e di concessione, ex art. 13 del medesimo d.lgs. n. 36 del 2023, inserisce tra i principi generali quello di autonomia contrattuale, prevedendo che «nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e dalle disposizione di legge». Si è codificato a livello di diritto positivo un principio ormai costantemente ribadito a livello giurisprudenziale, in base al quale la PA ha una generale e piena capacità negoziale, salvo i divieti previsti dalla legge (Cass., Sez.U., 12 maggio 2008, n. 11656).
22. Altro principio fondamentale è quello del «risultato», inserito all’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023.
Per risultato si intende l’interesse pubblico primario che stazioni appaltanti e enti concedenti devono perseguire: la rapidità di affidamento della commessa e della sua conseguente esecuzione, coordinata con il migliore rapporto possibile tra qualità realizzativa e prezzo dovuto per la realizzazione.
L’art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2023 stabilisce, poi, che «le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3».
Diventa centrale il raggiungimento del risultato cui mira il contratto e, dunque, l’interesse pubblico finale che deve essere perseguito con la massima tempestività e garantendo il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo.
È necessario dunque perseguire l’obiettivo finale, evitando che dei formalismi procedimentali, comportando rallentamenti, possano produrre effetti pregiudizievoli sull’azione amministrativa.
Si ribalta la prospettiva di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 che si basava sull’esigenza di assicurare il rispetto del principio di concorrenza.
Non v’è dubbio che tali principi generali, seppure collocati nell’ambito settoriale del codice dei contratti pubblici, nella specifica materia degli appalti pubblici e delle concessioni, possano pervadere anche la disciplina generale dei contratti con la pubblica amministrazione.
Pertanto, trattandosi di contratti «imposti», che rappresentano il risultato finale di un complesso procedimento, a formazione progressiva, il contratto conclusivo non può che essere stipulato all’esito della procedura.
Ciò comporta che le prestazioni sanitarie siano rese ed eseguite ancor prima della stipulazione del contratto, che può avvenire anche in un periodo successivo – anche all’inizio dell’anno successivo come nel caso di specie -, ma con espressa previsione della retroattività degli effetti, in modo da coprire anche le prestazioni già rese.
Anche il sopraggiungere della individuazione dei tetti di spesa, in epoca successiva, all’esito dei tavoli tecnici, si conforma alla natura prettamente procedimentale dell’attività negoziale della PA. Viene tracciato così un parallelismo tra la determinazione dei tetti di spesa, che si attua solo a seguito dell’espletamento dei tavoli tecnici, e la stipulazione del contratto con la PA, che è frutto di un procedimento complesso, caratterizzato da vincoli imposti ex lege , anche in ordine alla sussistenza stessa del contratto.
Tra l’altro, il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del
fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. Stat, sez. VI, 4/6/2024, n. 5010; Cons. Stato, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. Stato, 16/1/2013, n. 248).
24.1. Del resto, le parti non hanno alcuna possibilità di incidere sul contenuto contrattuale, che viene stabilito con l’atto amministrativo di approvazione dello schema contrattuale, sicché, effettivamente, la sottoscrizione del contratto diventa un mero requisito di completamento della fattispecie a formazione progressiva prevista dal legislatore, al fine di porre a carico dell’erario il corrispettivo delle prestazioni sanitarie erogate dei centri accreditati.
25. Per tale ragione, non si tratta di convalidare un contratto nullo, ma semplicemente di garantire che gli effetti del contratto stipulato successivamente (nella specie l’anno successivo alle prestazioni) retroagiscano, ammantando di legittimità anche le prestazioni eseguite prima della stipulazione.
27. In tal senso, va richiamato il precedente di questa Corte (si trattava del contratto di locazione stipulato con il Ministero delle Finanze, quale conduttore), per cui non sussiste nell’ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod. civ.) possono attribuire efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. Nè tale possibilità di dare effetto retroattivo al contratto può ritenersi esclusa per essersi verificata la
situazione illecita di mora prevista dall’art. 1591 cod. civ., non sussistendo nell’ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto (Cass., sez. 3, 7/12/2000, n. 15530; successivamente Cass., n. 27528 del 2021).
28. Nella specie, dunque, non rileva che le prestazioni siano state eseguite nell’anno 2018, mentre il contratto è stato stipulato solo in data 4/3/2019, trattandosi di uno scostamento temporale minimo e, dunque, ragionevole.
Tale contratto, infatti, ha valore retroattivo, andando ad ammantare di legittimità anche le prestazioni eseguite nel periodo in cui il contratto non era stata ancora stipulato.
29. Può, dunque, essere pronunciato il seguente principio di diritto: «In materia di prestazioni sanitare rese da strutture private in regime di accreditamento, la pubblica amministrazione può stipulare il contratto di cui all’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, con effetti retroattivi, anche nell’anno successivo a quello in cui sono state rese le prestazioni, trattandosi di contratti ‘imposti’ dalla legge, disciplinati da un peculiare modulo procedimentale a formazione progressiva, presidiato da norme imperative, che doppia la procedura negoziale, dovendosi anche tenere conto della determinazione dei tetti di spesa annuali che, in modo del tutto fisiologico, attraverso appositi tavoli tecnici cui partecipano i rappresentanti delle varie categorie interessate, possono sopraggiungere anche oltre l’anno di riferimento, purché in tempi ragionevoli».
30. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 giugno 2025