Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8865 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8865 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12098 – 2019 proposto da:
NOME, in proprio e nella qualità di procuratore speciale di NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME NOMECOGNOME tutti eredi di NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE AGRIGENTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME,
rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4142018/ della CORTE D’APPELLO di PALERMO, pubblicata il 27/2/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 12 del 2010, il Tribunale di Agrigento accolse l’opposizione proposta dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento (RAGIONE_SOCIALE) avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti, in favore dell’ing. NOME COGNOME dante causa degli attuali ricorrenti, per l’importo di Euro 71.836,36, oltre accessori, a titolo di compenso per l’incarico di realizzazione di un progetto di ristrutturazione dell’ospedale Maria Santissima del Monte e l’adeguamento del Centro territoriale per la rieducazione dei soggetti in difficoltà e a rischio: revocato il decreto, dichiarò improponibile la domanda in applicazione della clausola compromissoria contenuta nell’articolo 12 del disciplinare di incarico sottoscritto dalle parti, in accoglimento dell’eccezione della A .S.P.; rigettò altresì la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per responsabilità professionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 414 del 2018, la Corte d’appello di Palermo rigettò, con diversa motivazione, l’appello degli eredi di NOME COGNOME deceduto nelle more del giudizio di primo grado, proposto invocando la nullità della clausola compromissoria per mancanza di sottoscrizione, da parte del professionista, del disciplinare di incarico; rilevò, infatti, d’ufficio la nullità dell’intero contratto posto a fondamento della pretesa dall’ingiunto per difetto della necessaria forma scritta, assorbendo
l’appello incidentale subordinato di RAGIONE_SOCIALE diretto al riesame della domanda risarcitoria.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di procuratore speciale di NOME COGNOME e NOME, NOME, NOME, NOME, NOME NOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi; l ‘Azienda Sanitaria ha resistito con controricorso, di cui i ricorrenti hanno eccepito la tardività nelle memorie depositate a illustrazione delle difese; la ARAGIONE_SOCIALE ha depositato un atto di mero richiamo alle proprie difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve prendersi atto della tardività e, in conseguenza, della inammissibilità del controricorso, perché notificato soltanto in data 14/5/2019, oltre il termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso avvenuta in data 28/3/2019 , in violazione dell’ art. 370 cod. proc. civ., nella sua formulazione applicabile ratione temporis .
Ugualmente deve precisarsi che non si pone la questione dell’ammissibilità dell’appello avverso la sentenza di primo grado perché la Corte territoriale l’ha superata in relazione al tipo di arbitrato irrituale previsto tra le parti.
Con il primo motivo, articolato in un primo profilo in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., gli eredi NOME hanno lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 16 e 17 del r. d. 2440 del 1923, per non avere la Corte considerato che il disciplinare di incarico è stato specificamente approvato e ratificato, costituendone parte integrante, con delibera n.382/2004 sottoscritta dal Direttore amministrativo, dal Direttore sanitario e dal Dirigente responsabile dell ‘ASP; con un secondo profilo, articolato in riferimento al n. 5, hanno ribadito la rilevanza di questa
circostanza di fatto proponendola come fatto decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Giova premettere che il decreto ingiuntivo che ha originato il presente giudizio è stato chiesto e ottenuto dall’ing. COGNOME dante causa degli attuali ricorrenti, a titolo di compenso dell’attività di progettazione esecutiva e direzione dei lavori per la realizzazione, nel comune di Racalmuto, del progetto di ristrutturazione e completamento dell’ex Ospedale INDIRIZZO , in particolare la parte retrostante del fabbricato e per l’adeguamento a centro territoriale per la rieducazione dei soggetti in difficoltà e a rischio, come prevista nella delibera n.382/2004 della AUSL n. 1 di Agrigento a firma del Direttore generale.
Come rappresentato dalla RAGIONE_SOCIALE l’incarico seguiva altro precedente, conferito allo stesso ingegnere con delibera n. 122/03, avente ad oggetto la parte centrale del fabbricato.
La Corte d’appello ha dichiarato la nullità del contratto di prestazione d’opera professionale , posto a fondamento della pretesa, per difetto di forma, richiamando la necessità, affermata nella giurisprudenza di legittimità, che la pattuizione risulti versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente.
La decisione è seguita alla denuncia di nullità della clausola per difetto di sottoscrizione del disciplinare da parte del professionista dante causa, come formulata in appello dagli eredi NOMECOGNOME
Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente applicato un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum , è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r. d. 18 novembre 1923, n. 2440, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma scritta ad substantiam , che diviene
espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 Cost. perché è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo. Pertanto, il contratto deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere. In conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto, rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno.
Questa Corte ha, poi, pure puntualizzato che, al fine di soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam , i contratti conclusi dalla P.A. non postulano la necessaria contestualità di proposta e accettazione, essendo sufficiente che le stesse, pur se contenute in documenti distinti, siano consacrate in un unico testo (Cass. Sez. 3, n. 32337 del 21/11/2023): con la sentenza n. 9775 del 25/03/2022, le Sezioni Unite hanno, infatti, stabilito che per la valida stipulazione dei contratti della P.A., anche diversi da quelli conclusi a trattativa privata con ditte commerciali, il requisito della forma scritta ad substantiam non richiede necessariamente la redazione di un unico documento,
sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente, che per l’amministrazione possono assumere anche la forma dell’atto amministrativo: in tal senso la delibera, sottoscritta dall’organo competente, che recepisca il disciplinare sottoscritto dal professionista, diviene l’unico atto in cui confluisce la rispettiva volontà delle parti, salvaguardando il necessario principio di forma.
I ricorrenti hanno proprio invocato questo principio a sostegno del loro motivo di ricorso, rappresentando, con il profilo articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., che, nella specie, alla delibera n.382/2004, sarebbe stato allegato un disciplinare di incarico sottoscritto dal professionista loro dante causa e che questo fatto, non esaminato dalla Corte d’appello, sarebbe decisivo per ritenere valido il contratto professionale.
La proposizione del vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, tuttavia, presuppone innanzitutto che quel fatto non valutato sia stato effettivamente «oggetto di discussione tra le parti» e questa circostanza deve risultare evidente dalla stessa prospettazione della censura, perché il sindacato di questa Corte può avere ad oggetto soltanto la decisività di un fatto che risulti comunque acquisito al processo perché già discusso tra le parti: in tal senso, le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività ‘» ( Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Quel che invece risulta , dall’argomentazione del motivo in esame, è l’incerto comportamento processuale dei ricorrenti e la carente formulazione della censura.
Deve rilevarsi, infatti, sul punto, che , come risulta dall’impugnata sentenza, l’appello è stato fondato, dagli attuali ricorrenti, sull’invalidità della clausola compromissoria perché il disciplinare di incarico non risultava essere stato firmato dal professionista (v. parte narrativa della sentenza impugnata, pag.2) : l’unica copia acquisita agli atti, prodotta dall’Azienda, era priva di firma.
Nel presente ricorso (pag. 6 e 7), gli eredi NOME hanno quindi esplicitamente rappresentato che nel giudizio di appello è stata prodotta -tardivamente – una copia di disciplinare firmata dal loro dante causa, ma relativa ad altro e differente incarico rispetto a quello oggetto del decreto ingiuntivo (l’affermazione r isulta addirittura in carattere grassetto, sottolineato): evidentemente, questa copia non sarebbe rilevante al fine di provare l’incontro delle volontà delle parti contraenti nella delibera di affidamento del nuovo incarico perché non pertinente e, perciò stesso, non costituirebbe fatto decisivo.
Proseguendo nell’argomentazione, a pag. 7 del ricorso (quarto capoverso e ss.) e poi nella memoria illustrativa, i ricorrenti hanno all’opposto rappresentato che un disciplinare sottoscritto sarebbe stato recepito nella delibera relativa al nuovo incarico per cui è decreto e, per dimostrare la decisività dell’assunto che costituirebbe il fatto non esaminato, hanno riprodotto, virgolettandole, alcune frasi della delibera da cui risulterebbe l’avvenuta allegazione di uno «schema sottoscritto dal professionista».
È evidente, allora, che questa estrapolazione di alcune frasi non è sufficiente a integrare il «”dato”, testuale o extratestuale», da cui il fatto omesso -un disciplinare pertinente debitamente e previamente sottoscritto recepito nella delibera – «risulti esistente»: non è stato,
infatti, chiarito in ricorso quando questo fatto -che in appello era stato addotto come ancora non provato -sarebbe stato accertato incontrovertibilmente, perché i relativi documenti che lo provavano erano stati acquisiti tempestivamente agli atti.
Da questa ricostruzione della contraddittoria rappresentazione dei fatti da parte degli eredi COGNOME in appello prima e, poi, in questa sede di legittimità, la censura risulta inammissibile e ogni altro profilo è assorbito dalla mancanza dell’evidenza di una fattispecie sussumibile nel principio di diritto invocato.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4, i ricorrenti hanno prospettato la violazione del giudicato interno per avere la Corte dichiarato la nullità del contratto sebbene il primo Giudice, nel riconoscere l’operatività della clausola co mpromissoria, avesse evidentemente ritenuto la validità e la legittimità dell’intero contratto intercorso tra le parti.
2.1. Il motivo è infondato. Come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 26242 del 12/12/2014, «il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne di ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo.». La Corte d’appello, proprio in applicazione di questo principio, investita della questione di validità della clausola compromissoria in forza della quale il primo Giudice aveva ritenuto di devolvere agli arbitri lo scrutinio di fondatezza della pretesa del professionista, ha rigettato questa pretesa perché in radice fondata su un titolo di cui ha riscontrato d’ufficio la nullità per difetto di forma, pur in mancanza di un’espressa istanza di accertamento in tal senso da parte della ARAGIONE_SOCIALE
In tal senso è evidente la mancanza di un giudicato sulla validità del contratto cui la clausola accedeva, per essere stati gli stessi appellanti, attuali ricorrenti, a devolvere in appello la relativa questione.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 4, gli eredi NOME hanno denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non essere stato esaminato il motivo relativo all’eccezione di nullità della clausola compromissoria per violazione dell’articolo 241 del d.lgs. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), come modificato dall’articolo 1 comma 19 della legge 190 2012.
3.1 . Il motivo è inammissibile, atteso che la Corte d’appello ha dichiarato la nullità dell’intero contratto e non soltanto della clausola, come chiesto dagli appellanti attuali ricorrenti, ritenendo evidentemente il difetto di forma allegato dagli stessi quale causa di invalidità esterna, comune alla clausola stessa : l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. ricorre, invece, in ipotesi di omesso esame di una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della «domanda» di appello), non di argomentazioni a difesa (cfr. Sez. 2 n. 1539 del 22/01/2018).
Il ricorso è perciò, respinto.
Per l’inammissibilità del controricorso non v’è luogo a statuizione sulle spese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda