Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12677 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12677 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 8944/2020) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
Comune di FROSINONE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentato e difeso, in forza di delibera di Giunta comunale n. 78 del 18 marzo 2020, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrente –
R.G.N. 8944/20 U.P. 23/4/2025
Vendita -Preliminare -P.A. -Irreversibile trasformazione
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 727/2019, pubblicata il 1° febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del controricorrente, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentito , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 10 ottobre 2007, COGNOME Mauro conveniva, davanti al Tribunale di Frosinone, il Comune di Frosinone, chiedendo che l’ente territoriale fosse condannato previo accertamento della nullità o disapplicazione dell’accordo sottoscritto tra le parti il 23 ottobre 1996 e approvato con delibera di Giunta comunale n. 173 del 18 febbraio 1997 nonché previo accertamento incidentale della nullità o inefficacia dell’eventuale dichiarazione di pubblica utilità o disapplicazione dei provvedimenti approvativi del progetto dell’opera -alla restituzione del terreno di sua proprietà, distinto in catasto al foglio n. 60, particella n. 36, della superficie complessiva di mq. 970, occupato e trasformato mediante la realizzazione di un tratto
stradale, con la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e -in subordine -al risarcimento dei danni conseguenti all’avvenuta, illecita trasformazione del terreno, commisurato al valore venale dello stesso, oltre rivalutazione monetaria e interessi, nonché per il mancato utilizzo del bene a decorrere dalla data del suo spossessamento.
Si costituiva in giudizio il Comune di Frosinone, il quale eccepiva -in rito -il difetto di giurisdizione del G.O. e contestava -nel merito -la fondatezza, in fatto e diritto, delle domande avversarie.
Proposto dall’attore regolamento preventivo di giurisdizione, le Sezioni unite di questa Corte, con ordinanza n. 15167 del 23/06/2010, dichiaravano la giurisdizione del G.O.
Era, all’esito, riassunto il giudizio, cui seguiva la proposizione, a cura dell’Amministrazione comunale, di domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., volta ad ottenere il trasferimento giudiziale della proprietà del terreno occupato.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 365/2013, depositata il 30 aprile 2013, rilevata preliminarmente l’inammissibilità per tardività della domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del preliminare, rigettava le domande spiegate dall’attore.
2. -Con atto di citazione notificato il 13 giugno 2014, COGNOME Mauro proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) l’erronea qualificazione del verbale recante la cessione bonaria dei beni, con accettazione dell’indennità, sottoscritto dalle parti il 23 ottobre 1996, quale contratto preliminare di vendita; 2) l’erronea affermazione dell’avvenuta
ratifica, a cura del Consiglio comunale, dell’operato della Giunta, in ordine all’approvazione dell’acquisto immobiliare di specie; 3) l’erronea valorizzazione del comportamento delle parti successivo alla stipula della cessione, con particolare riferimento all’emissione del mandato di pagamento dell’80% dell’indennizzo concordato e all’impugnazione di due avvisi ICI effettuata dal D’Itri relativamente al terreno in questione; 4) l’erroneo rigetto della domanda restitutoria, fondata sull’illegittima detenzione e trasformazione del terreno di proprietà del D’Itri; 5) il difetto di alcun consenso prestato all’utilizzo e all’occupazione del bene da parte del Comune; 6) la spettanza sia della tutela restitutoria sia di quella risarcitoria, formulata in via subordinata, anche in ragione della violazione del patto di riserva del diritto di superficie o di cubatura.
Resisteva all’impugnazione il Comune di Frosinone, il quale concludeva per il rigetto dell’appello, con la conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che correttamente la scrittura privata sottoscritta dalle parti il 23 ottobre 1996 era stata qualificata come contratto preliminare di compravendita, in adesione a quanto statuito dall’ordinanza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 15167/2010; b ) che, in particolare, era stato accertato nel giudizio di primo grado che il D’Itri, attraverso detta scrittura privata, si era impegnato a
sottoscrivere tutti gli atti formali per il trasferimento definitivo dell’area in questione in favore del Comune di Frosinone, avendo accettato l’indennità definitiva di vecchie lire 19.400.000, come offertagli dal Comune, a fronte della cessione del terreno, e ritenendosi espressamente vincolato a tale impegno sin dal momento della sottoscrizione, che costituiva quindi una proposta irrevocabile di vendita, con il perfezionamento del contratto preliminare nel momento in cui il Comune di Frosinone aveva emesso il successivo atto deliberativo, recante la volontà negoziale dell’ente di addivenire all’accordo, come da delibera di Giunta del 18 febbraio 1997; c ) che la dichiarazione di riserva del diritto di superficie o cubatura, nel caso di possibilità di utilizzo del bene nel contesto del sub-comprensorio interessato, non valeva a disconoscere la qualificazione come contratto preliminare di vendita, poiché tale riserva avrebbe potuto essere sciolta all’atto del contratto definitivo, in presenza dei presupposti indicati, che in realtà l’appellante non aveva mai dedotto essersi verificati, tanto è vero che non aveva svolto alcuna domanda avente ad oggetto il diritto di esercitare la riserva in questione; d ) che nessuna impugnazione era stata svolta verso la ratio decidendi con cui era stato escluso che il D’Itri fosse legittimato a far valere il vizio dell’accordo per carenza di potere della Giunta comunale, in luogo del Consiglio comunale, sicché l’impugnazione delle altre due rationes decidendi -sulla ratifica d ell’operato della Giunta e sulla natura significativa del comportamento successivo delle parti -non escludeva l’incensurabilità della prima, da sola sufficiente, argomentazione; e ) che la domanda restitutoria non poteva trovare fondamento, né sulla scorta del contratto stipulato tra le
parti, la cui validità ed efficacia dovevano considerarsi accertate, né ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovendosi desumere dal contratto e dal comportamento del COGNOME‘COGNOME, successivo alla stipula del medesimo, che lo stesso aveva certamente acconsentito all’occupazione e alla trasformazione dell’immobile; f ) che, in specie, il Tribunale aveva valorizzato: – la circostanza che le parti avevano pattuito il corrispettivo a saldo in complessive vecchie lire 19.400.000, espressamente comprensivo anche dell’indennità di occupazione; – che il promittente alienante aveva incassato, in data 11 giugno 1997, l’80% della somma; -e che l’attore, con istanza del 23 ottobre 2004, aveva impugnato l’avviso di accertamento dell’ICI in data 1° dicembre 2003, affermando che il terreno era stato espropriato e facendo espressa menzione dell’atto di cessione bonaria e, quindi, rappresentando di non avere già di fatto più la disponibilità dell’immobile, costituente il presupposto per l’applicazione dell’imposta; g ) che, inoltre, a seguito della nota del 22 agosto 2005 -con cui il Comune di Frosinone aveva comunicato che i tecnici incaricati dall’Amministrazione avrebbero provveduto il 5 settembre 2005 all’immissione in possesso e alla redazione del verbale relativo allo stato di consistenza delle aree interessate dalla cessione -, l’attore si era limitato a chiedere, con nota del 14 settembre 2005, la reintegra nel possesso, senza esercitare tempestiva azione di spoglio e lasciando, quindi, che i lavori di costruzione della strada venissero ultimati, con la conseguente irreversibile trasformazione del terreno; h ) che, pertanto, era priva di fondamento anche la domanda risarcitoria, poiché non era
riscontrabile alcuna condotta inadempiente o illecita del Comune con riferimento all’occupazione e alla trasformazione del terreno.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, COGNOME Mauro.
Ha resistito, con controricorso, l’intimato Comune di Frosinone.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, il controricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 41, 324, 386 c.p.c. nonché dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte di merito confermato la decisione del Tribunale in ordine alla qualificazione del verbale del 23 ottobre 1996 come contratto preliminare di compravendita, e alla sua validità, sulla base degli apprezzamenti e accertamenti compiuti dalle Sezioni unite di questa Corte con la decisione sulla giurisdizione n. 15167/2010, senza procedere ad un’autonoma interpretazione e qualificazione del suddetto verbale.
E ciò benché la pronuncia emessa in sede di regolamento di giurisdizione non contenesse alcuna statuizione sulla fondatezza o meno della pretesa azionata e non fosse, quindi, idonea a vincolare il giudice al quale la giurisdizione era stata attribuita sotto alcun profilo afferente al merito della domanda.
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la sentenza impugnata, con autonoma valutazione, ha condiviso le argomentazioni del Tribunale, ritenendo che correttamente la scrittura privata sottoscritta dalle parti il 23 ottobre 1996 fosse stata qualificata come contratto preliminare di compravendita, in adesione a quanto statuito dall’ordinanza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 15167/2010.
Siffatta impostazione è stata, in particolare, corroborata dal riferimento al fatto che il COGNOME‘COGNOME, attraverso detta scrittura privata, si era impegnato a sottoscrivere tutti gli atti formali per il trasferimento definitivo dell’area in questione in favore del Comune di Frosinone, avendo accettato l’indennità definitiva di vecchie lire 19.400.000, come offertagli dal Comune, a fronte della cessione del terreno.
Inoltre, questi si era considerato espressamente vincolato a tale impegno sin dal momento della sottoscrizione, che costituiva quindi una proposta irrevocabile di vendita, con il conseguente perfezionamento del contratto preliminare nel momento in cui il Comune di Frosinone aveva emesso il successivo atto deliberativo, recante la volontà negoziale dell’ente di addivenire all’accordo, come da delibera di Giunta del 18 febbraio 1997.
2. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sul profilo di censura contenuto nel primo motivo di gravame, diretto a criticare il risultato accertativo della comune intenzione dei contraenti, a cui il primo giudice era approdato senza prendere in considerazione l’espressione negoziale utilizzata
nel verbale del 23 ottobre 1996, mediante la quale il ricorrente aveva riservato a sé il diritto di superficie o di cubatura sul terreno da cedere all’Amministrazione comunale.
Per converso, ad avviso dell’istante, la sentenza impugnata si sarebbe pronunciata sul solo profilo attinente alla qualificazione della scrittura quale contratto preliminare di compravendita di diritto comune.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la questione posta dal primo motivo di gravame è stata espressamente affrontata dalla Corte d’appello, la quale ha osservato che la dichiarazione di riserva del diritto di superficie o cubatura, nel caso di possibilità di utilizzo del bene nel contesto del sub-comprensorio interessato, non valeva a disconoscere la qualificazione dell’operazione negoziale come contratto preliminare di vendita, poiché tale riserva avrebbe potuto essere sciolta all’atto del contratto definitivo, in presenza dei presupposti indicati, che in realtà l’appellante non aveva mai dedotto essersi verificati, tanto è vero che non aveva svolto alcuna domanda avente ad oggetto il diritto di esercitare la riserva in questione.
3. -Con il terzo (subordinato) motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte del gravame escluso, in presenza di un negozio stipulato da un ente pubblico, la rilevanza della cennata dichiarazione negoziale, in violazione dei criteri ermeneutici fondati rispettivamente sull’individuazione del significato delle espressioni usate e sul coordinamento e l’integ razione delle singole espressioni, omettendo di motivare -o
motivando in modo apparente -in ordine alla comune intenzione delle parti di voler concludere, malgrado l’espressione utilizzata, un contratto preliminare di mera compravendita.
Obietta l’istante che aveva dedotto la circostanza relativa all’avvenuta occupazione e all’irreversibile trasformazione del terreno, domandando la restituzione o, in subordine, il risarcimento del danno, sicché avrebbe costituito una motivazione meramente apodittica la ritenuta irrilevanza qualificante della dichiarazione stessa.
3.1. -Il motivo è infondato.
Ed invero, in primo luogo, la qualificazione in termini di preliminare di compravendita di un terreno è compatibile con la riserva, in favore del promittente venditore, contestualmente alla cessione, del diritto di proprietà superficiaria ex art. 952 c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1750 del 24/01/2018).
In secondo luogo, nella fattispecie, il giudice d’appello ha escluso -con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede -che la condizione cui era subordinata tale riserva si fosse verificata, non avendo il promittente alienante fatto valere alcuna domanda diretta a comprovare la possibilità di utilizzo del bene nel contesto del sub-comprensorio interessato.
Ora, detto accordo presentava tutti i requisiti del preliminare di vendita concluso con la P.A.
Segnatamente, per quanto anzidetto, a fronte della conclusione di un negozio (preliminare) di cessione volontaria posto in essere da un’amministrazione comunale, sono stati osservati tutti gli adempimenti richiesti dall’evidenza pubblica per le P.A., primo fra tutti il requisito della forma scritta a pena di
nullità, essendo stato redatto un documento contenente in modo diretto la volontà negoziale, redatto al fine specifico di manifestare la stessa, dal quale si desumeva la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi da ciascuna delle parti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9390 del 27/04/2011; Sez. 1, Sentenza n. 11864 del 20/09/2001; Sez. 1, Sentenza n. 59 del 03/01/2001).
4. -Con il quarto motivo il ricorrente adduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di appello, fornendo, al riguardo, una motivazione strutturata su affermazioni contraddittorie e reciprocamente escludenti quanto al contenuto di tali motivi di gravame, asseritamente diretti ad impugnare sia i capi della sentenza con cui il primo giudice aveva statuito che il Consiglio comunale aveva ratificato l’operato della Giunta e che le parti avevano riconosciuto la piena validità ed efficacia del negozio concluso, sia le rationes decidendi svolte additivamente dal Tribunale per rigettare la domanda di nullità dell’accordo approvato da un organo incompetente, cioè dalla Giunta comunale in luogo del Consiglio comunale.
Sicché, contraddittoriamente e illogicamente, la sentenza impugnata avrebbe sostenuto, per un verso, che -a fronte delle tre autonome rationes decidendi su cui si fondava la valutazione della validità dell’atto in sede di impugnazione fossero state contestate solo due di tali rationes , per sostenere poi che l’impugnazione con i suddetti motivi di appello riguardasse un ‘capo’ della sentenza.
5. -Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di gravame, con motivazione meramente apparente, reputando che le rationes decidendi additivamente svolte dal Tribunale fossero riconducibili alla statuizione di rigetto della domanda di nullità.
Con la conseguente applicazione del principio giurisprudenziale sull’onere di censurare, con l’atto d’appello, ciascuna delle plurime ragioni in base alle quali la sentenza di primo grado aveva pronunciato su una stessa domanda.
5.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono infondati.
Infatti, la Corte capitolina ha evidenziato che il rigetto della domanda di nullità dell’atto di cui al verbale del 23 ottobre 1996 era fondato su tre concorrenti e autonome ragioni, ciascuna delle quali da sola sufficiente a giustificare il rigetto.
Tali ragioni consistevano: 1) nell’esclusione della legittimazione del promittente venditore a far valere il vizio dell’accordo per carenza di potere della Giunta comunale, in luogo del Consiglio comunale; 2) nella ratifica dell’operato della Giunta a cura del Consiglio comunale; 3) nella natura significativa del comportamento successivo delle parti.
Ebbene, all’esito, la Corte ha rilevato che, con il secondo e terzo motivo di gravame, erano state contestate -come in effetti è stato -solo le due ultime argomentazioni, ma non la prima, sicché ne è stata correttamente dichiarata l’inammissibilità alla
luce del principio in forza del quale, ove la pronuncia sia basata su distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, è onere del ricorrente impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità dell’impugnazione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17182 del 14/08/2020; Sez. 3, Sentenza n. 10815 del 18/04/2019; Sez. 3, Sentenza n. 6045 del 12/03/2010; Sez. 3, Sentenza n. 21490 del 07/11/2005).
6. -Con il sesto motivo il ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di secondo grado confermato il rigetto della domanda restitutoria, limitandosi a condividere le argomentazioni del Tribunale, senza sottoporle ad alcun apprezzamento critico e senza svolgere alcuna valutazione delle censure proposte avverso le stesse, in tal modo difettando del necessario requisito motivazionale.
6.1. -Il motivo è infondato.
E tanto perché la sentenza impugnata ha debitamente argomentato in ordine alle ragioni che militavano per la conferma del rigetto della domanda di restituzione.
In specie, è stato evidenziato che detta domanda restitutoria non poteva trovare fondamento, né sulla scorta del contratto stipulato tra le parti, la cui validità ed efficacia dovevano considerarsi accertate, né ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovendosi desumere dal contratto e dal comportamento del COGNOMEItri, successivo alla stipula del medesimo, che lo stesso aveva certamente acconsentito all’occupazione e alla trasformazione dell’immobile.
In specie, sono stati ripresi dettagliatamente i rilievi del Tribunale, che aveva valorizzato le seguenti circostanze: A) che le
parti avevano pattuito il corrispettivo a saldo in complessive vecchie lire 19.400.000, espressamente comprensivo anche dell’indennità di occupazione; B) che il promittente venditore aveva incassato, in data 11 giugno 1997, l’80% della somma pattuita; C) che il promittente alienante, con istanza del 23 ottobre 2004, aveva impugnato l’avviso di accertamento dell’ICI in data 1° dicembre 2003, affermando che il terreno era stato espropriato e facendo espressa menzione dell’atto di cessione bonaria e, quindi, rappresentando di non avere già di fatto più la disponibilità dell’immobile, costituente il presupposto per l’applicazione dell’imposta; D) che, inoltre, a seguito della nota del 22 agosto 2005 -con cui il Comune di Frosinone aveva comunicato che i tecnici incaricati dall’Amministrazione avrebbero provveduto il 5 settembre 2005 all’immissione in possesso e alla redazione del verbale relativo allo stato di consistenza delle aree interessate dalla cessione -, il promittente si era limitato a chiedere, con nota del 14 settembre 2005, la reintegra nel possesso, senza esercitare tempestiva azione di spoglio e lasciando, quindi, che i lavori di costruzione della strada venissero ultimati, con la conseguente irreversibile trasformazione del terreno.
7. -Con il settimo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., della violazione degli artt. 1168 e 2043 c.c. nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte dell’impugnazione reputato infondata anche la domanda risarcitoria, in ragione dell’affermato mancato esercizio tempestivo dell’azione di spoglio da parte del D’Itri,
senza motivare o motivando apparentemente sulla presupposta natura solo possessoria dell’azione risarcitoria proposta.
7.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la sentenza impugnata, con analitica esposizione delle giustificazioni addotte, ha escluso anche la fondatezza della domanda risarcitoria sulla scorta delle argomentazioni già utilizzate per negare la fondatezza della domanda restitutoria.
E ha aggiunto che non era riscontrabile alcuna condotta inadempiente o illecita del Comune con riferimento all’occupazione e alla trasformazione del terreno.
Ebbene, il sindacato nel merito di tali ragioni, attraverso la rivalutazione delle circostanze all’uopo sviluppate, non può essere svolto in questa sede (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
8. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda