Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4400 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4400 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18188/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco e/o legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1457/2019 depositata il 21/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2006, RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE, proponendo opposizione avverso il decreto n. 1/2006, con cui il Tribunale di Nocera Inferiore le aveva ingiunto il pagamento di una fattura del 2004 relativa al noleggio di automezzi per il trasporto di rifiuti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che nessun contratto era intervenuto tra le parti, eccepiva sia il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale, deducendo l’impossibilità giuridica di commissionare il trasporto dei rifiuti, atteso che ogni attività in tal senso rientrava tra le competenze del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE quale produttore e detentore del rifiuto ai sensi dell’art. 21 D.
Lgs. 22/1977, sia la prescrizione del credito e l’errore contabile da parte della società opposta.
RAGIONE_SOCIALE chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nel merito il rigetto dell’opposizione e, nel caso di accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, domanda ex art. 20042 c.c. di ingiustificato arricchimento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 595/2014, accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto. Riteneva che non risultava provato il rapporto contrattuale tra le parti, né che la società RAGIONE_SOCIALE avesse commissionato alla RAGIONE_SOCIALE la prestazione oggetto della fattura contestata.
Il Tribunale rigettava anche la domanda proposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ritenendola inammissibile ex art. 2042 c.c. per mancanza del requisito della sussidiarietà.
La decisione veniva riformata dalla Corte d’appello di Salerno con la sentenza n. 1457/2020, depositata il 21 ottobre 2019.
La Corte territoriale premesso che l’azienda RAGIONE_SOCIALE di un Ente Territoriale non può qualificarsi Pubblica Amministrazione in senso stretto con la conseguenza che per i contratti non è imposta la forma scritta ad substantiam nè è vietata la stipula per facta concludentia o mediante esecuzione della prestazione ex art. 1327 c.c., riteneva che nel caso di specie la prestazione di servizi effettuata in favore di RAGIONE_SOCIALE era provata dai documenti depositati idonei a provare non solo l’esecuzione delle prestazioni ma anche la conclusione del contratto per facta concludentia , atteso che senza il consenso e la partecipazione dell’RAGIONE_SOCIALE, giammai la società appellante avrebbe potuto prelevare i rifiuti per provvedere poi al relativo conferimento al centro di smaltimento.
Inoltre, non risultava specificamente contestato l’importo delle prestazioni di servizi indicato nella fattura oggetto del decreto
ingiuntivo, anche considerato che in tale fattura era specificamente richiamata un’altra fattura emessa in acconto per le medesime prestazioni è regolarmente pagata dall’azienda RAGIONE_SOCIALE appellata.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Resistono con separati controricorsi la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1326 comma 4 c.c., nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 17 R.D- 2440/1923, in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto concluso un contratto con RAGIONE_SOCIALE sul presupposto di una accettazione mai resa o manifestata, né provata.
Lamenta che nel quadro probatorio acquisito agli atti non era presente alcun elemento a sostegno della configurabilità di un’accettazione da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’offerta economica, nella forma richiesta espressamente dalla proponente (restituzione a mezzo fax della copia controfirmata dell’offerta). Al contrario, la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto che l’accettazione era stata solo verbale e per telefono.
Inoltre, la Corte ha omesso di considerare che una siffatta accettazione non era idonea a determinare la conclusione del contratto, essendo stata manifestata in maniera difforme alla richiesta fatta dal proponente e non avendo quest’ultimo provato di aver dato avviso all’accettante di considerare comunque concluso il contratto, ai sensi dell’art. 1326, comma 3, c.c.
La Corte d’appello ha, poi, errato nel ritenere sussistente l’accettazione da parte di RAGIONE_SOCIALE della proposta formulata da RAGIONE_SOCIALE, benché questa non presentasse il requisito della
forma scritta ad substantiam previsto dagli artt. 16 e 17 R.D. n. 2448/1923.
Nel caso di specie, non sarebbe applicabile il principio della libertà di forma dei contratti stipulati dalle aziende speciali affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20684/2018, in quanto tale pronuncia aveva ad oggetto il rinnovo di un preesistente contratto di fornitura tra il privato e l’azienda utilizzatrice, regolarmente redatto in forma scritta, in presenza di chiare indicazioni espresse circa il significato da attribuire al ‘silenzio’ serbato dal destinatario della proposta.
Diversamente, sostiene la ricorrente, basterebbe l’esecuzione di una qualsiasi prestazione seguita dall’emissione di fattura per far sorgere un legittimo diritto di credito nei confronti dell’azienda RAGIONE_SOCIALE.
Tale interpretazione finirebbe per alterare l’ordinata gestione della finanza pubblica, cui devono essere ricondotti i bilanci delle RAGIONE_SOCIALE Speciali, atteso l’obbligo dell’ente pubblico proprietario di intervenire per risanare le eventuali perdite.
4.2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., perché la Corte d’appello ha considerato concluso il contratto tra le parti per facta concludentia in assenza della prova di tali fatti e, comunque, della loro riferibilità ad RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione della sentenza è illogica, contraddittoria e meramente apparente.
Gli elementi documentali che secondo la Corte territoriale dimostrano l’esecuzione della prestazione e la conclusione del contratto non consentono di individuare come effettivo beneficiario della prestazione l’azienda ricorrente, bensì il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Le bolle di carico recanti il timbro RAGIONE_SOCIALE afferirebbero a operazioni di trasporto svolte in date diverse rispetto a quelle oggetto della fattura in contestazione.
Inoltre, il capo della sentenza del Tribunale che aveva affermato la non riferibilità di tali bolle di carico alla fattura per cui è causa non sarebbe stato impugnato in appello e, pertanto, sarebbe coperto da giudicato. In ogni caso, i giudici di secondo grado non hanno chiarito quali sono gli elementi da cui risulta la riferibilità delle bolle di carico alla vicenda in esame.
Inoltre, non vi è alcuna prova del consenso e della partecipazione dell’azienda RAGIONE_SOCIALE alle operazioni di trasporto di rifiuti eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE.
Infine, l’RAGIONE_SOCIALE ha contestato sin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo la circostanza che la ‘precedente’ fattura pagata all’impresa era stata emessa in acconto rispetto a quella contestata e, inoltre, si sarebbe riferita a prestazioni estranee alla vicenda.
Pertanto, la qualificazione di ‘fattura di acconto’ è frutto di autonoma iniziativa della emittente e comunque sarebbe contraddetta dal contenuto dell’offerta economica formulato dall’impresa, in cui non era previsto il pagamento di acconti sulle prestazioni da eseguire.
4.3.
5.1. Occorre esaminare in primo luogo il terzo motivo di ricorso, la cui eventuale fondatezza renderebbe superflua la valutazione degli ulteriori motivi.
Tale motivo è infondato.
Infatti, la Corte Costituzionale, con la pronuncia 41/2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72, nella parte in cui, conferendo ai giudici ausiliari di appello lo status di componenti dei collegi delle sezioni della Corte d’Appello come magistrati
onorari, non limitano temporalmente tale possibilità (almeno) al 31 ottobre 2025 (data prevista completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria dall’art. 32 del D.Lgs. n. 116 del 2017).
In tal modo, la Consulta ha riconosciuto alle suddette norme, per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale, una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2, ritenendo legittima in tale periodo -anche con riguardo ai giudizi a quibus -la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni, sopra richiamate, che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario (Corte cost., 17/03/2021, n. 41, cfr. anche Cass. civ., Sez. I, 28/05/2021, n. 15045).
5.2. Anche il primo motivo di ricorso è infondato.
In tema di conclusione del contratto, la norma di cui all’art. 1326 c.c., comma 4 – secondo cui, quando il proponente richieda una forma determinata per l’accettazione, questa non ha effetto se prestata in forma diversa – è posta nell’esclusivo interesse dello stesso proponente, con la conseguenza che, in forza del principio delle disponibilità degli interessi, egli può rinunciare agli effetti della mancata accettazione per iscritto della proposta, come da lui richiesto, accontentandosi di una adesione manifestata in forma diversa. Ne consegue che il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto (Cass. civ., Sez. II, 24/05/2018, n. 13033; Cass. n. 14657 del 2007, in motiv.; Cass. n. 406 del 2004).
Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio affermato dalle Sezioni Unite in materia di forma del contratto stipulato da un’azienda RAGIONE_SOCIALE di ente pubblico territoriale (Cass. civ., Sez.
Unite, 09/08/2018, n. 20684). Infatti, le Sezioni Unite hanno affermato l’inapplicabilità a tali contratti della normativa di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 ritenendo che l’azienda RAGIONE_SOCIALE non possa essere qualificata come pubblica amministrazione in senso stretto, in ragione della natura imprenditoriale dell’attività svolta e della sua autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’ente di riferimento, senza dare alcun rilievo al fatto che, nel caso che ha dato origine alla pronuncia, si discutesse del rinnovo di un contratto originariamente concluso per iscritto.
5.3. Anche il secondo motivo risulta infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sentenza di appello è nulla per apparenza di motivazione (parificata, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante) allorquando, pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum. È stato in particolare precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 22232/2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017).
Nello specifico, la motivazione non risulta carente in relazione al percorso logico- giuridico nel quale si sostanziano le ragioni alla base del decisum di riforma della decisione di primo grado.
La Corte d’appello, infatti, ha affermato, dopo averla esaminata, la valenza probatoria della documentazione in atti. Per il resto il motivo mira esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito.
E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo a favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.600 di
cui 3.400 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza