Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7450 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 7450 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
OGGETTO:
contratto di lavoro subordinato senza indicazione di orario -eccezione del datore di lavoro di part time – difetto di prova scritta -conseguenze
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1289/2019 r.g., proposto da
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE , in persona dei soci e legali rappresentanti pro tempore , elett. dom.ti in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrenti
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
nonché
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
intimato con procura
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 711/2018 pubblicata in data 01/10/2018, n. r.g. 57/2017.
Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; Udite le conclusioni del P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO.
Udita la discussione del difensore dei ricorrenti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.COGNOME NOME aveva lavorato come operaio agricolo nella tenuta ‘Il RAGIONE_SOCIALE‘, sita nel comune di Regello.
Il rapporto di lavoro subordinato era stato formalmente sempre a termine, per periodi che andavano da febbraio-aprile fino a novembredicembre di ciascun anno, dapprima alle dipendenze di COGNOME NOME (negli anni dal 2000 al 2002), poi della figlia di questi, COGNOME NOME titolare di impresa individuale (negli anni dal 2003 al 2008) ed infine della RAGIONE_SOCIALE costituita da quest’ultima e dal di lei fratello NOME (nell’anno 2009).
Con ricorso al Tribunale di Firenze il COGNOME deduceva di aver lavorato continuativamente dal febbraio 1998 a maggio 2009 per otto ore al giorno per sei giorni alla settimana e per due ore nelle giornate di domenica (dalle 8,00 alle 12,00 e dalle 13,30 alle 17,30 dal lunedì al sabato e due ore la domenica). Aggiungeva di essere stato verbalmente licenziato nel maggio 2009 e che, a seguito di impugnazione del licenziamento, la RAGIONE_SOCIALE, con lettera del 12/06/2009, gli aveva contestato l’assenza ingiustificata dal lavoro, addebito inesistente che egli aveva contestato con nota del 15/06/2009, contestualmente rassegnando le dimissioni per giusta causa, cui aveva fatto comunque seguito un secondo licenziamento della RAGIONE_SOCIALE comunicato con lettera del 24/06/2009.
Il COGNOME adìva quindi il Tribunale per ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal febbraio 1998 al maggio 2009, dapprima alle dipendenze di COGNOME NOME, poi proseguito alle dipendenze di COGNOME NOME e poi alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, fino alla data del licenziamento, nonché la condanna di ciascuno dei convenuti per i periodi di rispettiva competenza al pagamento della somma complessiva di euro 204.984,57. Infine chiedeva, nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE, l’annullamento del licenziamento verbale del maggio 2009 e di quello scritto del 24/06/2009, con le conseguenze di cui all’art. 8 L. n. 604/1966, nonché la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento
dell’indennità sostitutiva del preavviso in conseguenza della dedotta giusta causa di dimissioni.
2.- Costituitisi in giudizio, NOME e NOME COGNOME nonché la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contestavano le domande, assumendo che il COGNOME avesse lavorato solo per i periodi indicati nei vari contratti a termine e per non più di 65 ore mensili. Eccepivano altresì la prescrizione di ogni credito retributivo anteriore al quinquennio dal ricevimento della richiesta di tentativo di conciliazione in data 20/06/2009. Infine avanzavano domanda riconvenzionale, volta ad ottenere la condanna del COGNOME al risarcimento del danno, pari alla somma di euro 463.320,00, che assumevano essere stati da lui cagionati alle colture arboree delle tenuta, di proprietà di terzi, affidate alla gestione dell’azienda RAGIONE_SOCIALE.
3.Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e assunte le prove testimoniali, il Tribunale accoglieva la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive e quella connessa di regolarizzazione previdenziale, ma rigettava sia le domande relative al licenziamento, sia quella riconvenzionale per difetto di prova del nesso causale fra le attività richieste ed eseguite dal COGNOME e gli asseriti danni alle colture arboree.
4.Disposta ed acquisita una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello, in parziale accoglimento del gravame principale proposto dagli originari convenuti, condannava COGNOME NOME a pagare al COGNOME la minor somma di euro 58.783,51 per i periodi relativi ai contratti di lavoro intercorsi fra loro, nonché la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a pagare al dipendente la somma di euro 1.539,51 per i periodi relativi ai contratti di lavoro intercorsi con la RAGIONE_SOCIALE, in entrambi i casi oltre alla regolarizzazione contributivo-previdenziale. Respingeva invece la domanda nei confronti di COGNOME NOME.
Inoltre, in accoglimento del gravame incidentale del COGNOME, la Corte territoriale condannava COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento degli interessi legali calcolati sulle somme capitali mensilmente rivalutate.
A sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la prova a carico del lavoratore era ardua, in quanto doveva dimostrare in fatto la prestazione lavorativa anche nei mesi nei quali non risultava assunto a termine e di aver lavorato con un orario anche superiore a quello ordinario contrattuale;
la prova della continuità del rapporto di lavoro non è stata raggiunta;
l’unico testimone che ha riferito circostanze precise è il teste COGNOME, ma insufficiente, perché si riferisce ad un singolo anno;
quindi il termine di prescrizione decorre dalla cessazione dei singoli contratti a termine e pertanto sono prescritti i crediti relativi a periodi anteriori al 20/06/2004, atteso che il primo atto interruttivo è la richiesta del tentativo di conciliazione, ricevuta dalle controparti in data 20/06/2009;
ciò posto, i residui crediti del lavoratore risultano astrattamente maturati in conseguenza di contratti a termine conclusi dopo la soppressione -ad opera dell’art. 46, co. 1, lett. q), d.lgs. n. 276/2003 -dell’art. 7 nel testo originario del d.lgs. 61/2000 (che per il lavoro agricolo rinviava alla contrattazione collettiva) e quindi dopo l’estensione per tal via -dell’istituto del part time anche al lavoro in agricoltura;
per il contratto part time è necessaria la forma scritta almeno a fini di prova, in quanto è necessario un accordo per la riduzione dell’orario di lavoro e quindi della retribuzione, secondo un principio imposto dalla direttiva 97/81/CE, di cui il d.lgs. n. 61/2000 rappresenta l’attuazione;
nel caso di specie i datori di lavoro neppure hanno allegato un contratto con forma scritta e neppure l’effettiva conclusione di un accordo con il COGNOME, in occasione dei contratti a termine fra loro intercorsi, diretto a ridurre l’orario di lavoro rispetto a quello ordinario previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva, essendosi limitati piuttosto ad affermare che il COGNOME avrebbe lavorato per non più di 65 ore mensili (punto 14 di pag. 8 della memoria difensiva di primo grado);
ne consegue che la retribuzione dovuta è quella per il full time ordinariamente previsto, poiché potrebbe dirsi non dovuta solo ove la mancata esecuzione della prestazione lavorativa fosse riferibile a fatto
del lavoratore oppure ad un’indisponibilità dell’organizzazione aziendale idonea a costituire impossibilità sopravvenuta non imputabile ex art. 1218 c.c., oppure vi fosse una disciplina derogatoria che invece manca;
l’art. 3 d.lgs. n. 66/2003 prevede in quaranta ore settimanali salvo diverse previsioni dei contratti collettivi -il c.d. orario normale, con la funzione di distinguerlo dal lavoro straordinario;
l’art. 16 d.lgs. n. 66/2003 prevede alcune deroghe, fra cui quelle relative alla generalità di lavori agricoli per i quali ricorrano necessità imposte da esigenze tecniche o stagionali (co. 1, lett. g)
ma nelle fattispecie derogatorie di cui all’art. 16 l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’orario normale ha la funzione di determinare il limite della prestazione ordinariamente richiedibile al lavoratore nel massimo, non a configurare un potere unilaterale del datore di lavoro di variare senza alcun limite nel minimo la durata della prestazione lavorativa, con incidenza correlativa sulla controprestazione retributiva;
in tal senso milita anche l’estensione del part time al lavoro agricolo, operata dal d.lgs. n. 276/2003, in quanto disciplina incentrata sul carattere consensuale della riduzione dell’orario di lavoro;
in tal senso nessuna rilevanza può avere il fatto che il contratto di lavoro sia a tempo determinato, atteso il principio di non discriminazione (rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato) posto dalla clausola 4.1 dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva 99/70/CE;
sui crediti del COGNOME vanno poi calcolati gli accessori ex art. 429 c.p.c., secondo i principi affermati da consolidata giurisprudenza (Cass. n. 14143/2002);
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE vanno poi condannati alla relativa regolarizzazione contributiva del lavoratore;
l’appello è infondato con riguardo alla domanda riconvenzionale, esattamente rigettata dal Tribunale;
infatti, dall’istruttoria testimoniale di primo grado è emerso che il COGNOME non era l’unico ad utilizzare nella tenuta le macchine agricole,
che, secondo la prospettazione dei datori di lavoro, avrebbero causato i danni alle colture;
inoltre è inverosimile che eventuali condotte negligenti o imperite del lavoratore non siano state mai rilevate e contestate nel corso del rapporto di lavoro e quindi per anni.
5.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
6.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
7.L’RAGIONE_SOCIALE ha solo depositato procura speciale.
8.- Le parti -escluso l’RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
9.- Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
10.Il difensore dei ricorrenti ha chiesto l’accoglimento del ricorso .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto il diritto del COGNOME ad una retribuzione per il tempo pieno in difetto di alcuna domanda in tal senso e, quindi, in violazione del contraddittorio e del principio della domanda.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. i ric orrenti lamentano la violazione dell’art. 101, co. 2, c.p.c., per non avere la Corte territoriale sollecitato il contraddittorio sulla questione poi posta a fondamento della decisione.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono manifestamente infondati.
Dal ricorso di primo grado, riportato dagli stessi ricorrenti (v. ricorso per cassazione, pp. 810) si evince che il COGNOME aveva chiesto l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e a tempo pieno. Nessuna rilevanza può avere il fatto che non avesse dedotto un vizio di forma del part time , poiché grava sul datore di lavoro -che rispetto alla domanda di full time invochi un orario ridotto -l’onere di sollevare la relativa eccezione e, poi, di darne la prova.
L’ordinanza del 14/12/2017 (riportata dai ricorrenti: v. ricorso per cassazione, pp. 56), con cui la Corte d’Appello aveva invitato le parti a prendere specifica posizione sulle conseguenze dell’art. 46, co. 1, lett. 1),
d.lgs. n. 276/2003 -che, mediante la soppressione dell’art. 7 d.lgs. n. 61/2000, aveva determinato l’estensione della ordinaria disciplina del part time anche ai rapporti di lavoro in agricoltura, in origine esclusi dal relativo ambito applicativo -non ha rappresentato alcuna violazione del principio della domanda. Infatti la Corte territoriale si è limitata a stimolare il contraddittorio su un profilo prettamente di diritto, relativo alla precisa ricostruzione della disciplina applicabile al rapporto controverso, così come era stato dedotto in fatto dal COGNOME.
Inoltre, la Corte d’Appello ha esattamente evidenziato che, in via di eccezione, gli originari convenuti avevano dedotto che la prestazione lavorativa, durante i periodi formalizzati con contratti a termine, era sempre stata di durata non superiore alle 65 ore mensili. Quindi i datori di lavoro avevano sostanzialmente eccepito un part time , sicché su di loro gravava l’onere di darne prova. In tale contesto non era affatto necessaria una domanda di accertamento della nullità del part time da parte del COGNOME, per la semplice ragione che nella sua prospettazione nessun contratto di lavoro part time risultava mai essere stato stipulato. Peraltro, tale prospettazione ha trovato coerente e specifica conferma nella linea difensiva dei convenuti, che non hanno eccepito in fatto l’avvenuta stipulazione di contratti di lavoro part time , ma si sono limitati a dedurre che la prestazione lavorativa -durante i periodi ‘coperti’ da contratti di lavoro subordinato a tempo determinato -fosse sempre durata non più di 65 ore mensili.
2.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. i ricorrenti lamentano l’omessa pronunzia sull’eccezione di inammissibilità della mutatio libelli operata in appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito o in genere di eccezioni di natura processuale (Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 25154/2018; Cass. ord. n. 1876/2018).
In ogni caso la motivazione articolata dalla Corte territoriale dimostra che quell’eccezione è stata implicitamente, ma univocamente rigettata, sicché nessuna omessa pronunzia sussiste.
3.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 8, co. 1, d.lgs. n. 61/2000 in relazione agli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto spettante la retribuzione per il tempo pieno prevista dal ccnl operai agricoli e floro vivaisti, indipendentemente da qualunque prova sull’effettiva quantità di prestazione lavorativa eseguita.
Il motivo è infondato.
In primo luogo va evidenziato che la Corte d’Appello ha accertato in fatto che fra le parti non era mai stato stipulato un contratto di lavoro subordinato part time , neppure eccepito dai datori di lavoro, i quali neppure avevano eccepito essere intervenuto un accordo, almeno informale, sulla prestazione lavorativa per 65 ore mensili.
A fronte di questo accertamento di fatto, non censurato dai ricorrenti, sarebbe inapplicabile la disciplina sul part time , la quale presuppone che un accordo, almeno informale, sia intervenuto fra le parti circa un orario di lavoro inferiore al full time .
La situazione fattuale, sulla quale la Corte territoriale (e prima ancora il Tribunale) era chiamata a decidere, è quella di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato senza alcuna clausola sull’orario di lavoro e, quindi, da presumersi full time . A fronte di questa situazione, era dunque onere dei datori di lavoro, convenuti con una domanda di pagamento di differenze retributive riferite (ovviamente) al tempo pieno, dimostrare che le prestazioni lavorative da remunerare avevano consensualmente avuto, sul piano dell’effettivo svolgimento del rapporto di lavoro, una durata giornaliera inferiore al full time .
Sotto questo profilo l’ art. 8, co. 1, d.lgs. n. 61/2000 , pone l’onere di prova con forma scritta, con l’unica eccezione di cui all’art. 2725 c.c., secondo il quale è ammissibile la prova testimoniale solo nel caso di perdita incolpevole del documento rappresentativo della scrittura privata (lo si desume dal rinvio che il co. 1 dell’art. 2725 c.c. fa all’ipotesi di cui al n. 3) dell’art. 2724 c.c. ), caso che qui non ricorre, non avendo gli originari convenuti mai eccepito che con il lavoratore fosse stato concluso un accordo sull’orario di lavoro nella forma della scrittura privata poi incolpevolmente perduta.
Neppure è utile ai ricorrenti il richiamo al terzo e al quarto periodo de ll’art. 8, co. 1, d.lgs. cit., secondo cui ‘
(Cass. 30/05/2019, n. 14797), secondo cui sussisterebbe solo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, commisurato alle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in base a un orario a tempo pieno, previa costituzione in mora del datore di lavoro ex art. 1217 c.c. mediante la messa a disposizione delle energie lavorative. Quella pronunzia, infatti, si riferiva a tutt’altra fattispecie concreta ( assunzione a tempo pieno alla quale erano seguiti diversi periodi di part time privi di forma scritta prevista ratione temporis ad substantiam e quindi a pena di nullità, ma era pacifica l’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro da full time in part time ed era pacifico che il lavoratore avesse lavorato part time , solo che mancava la forma scritta di quella trasformazione).
Nel caso qui in esame, invece, come accertato dalla Corte territoriale, vi erano stati vari contratti di lavoro subordinato a tempo determinato senza alcuna clausola sull’orario di lavoro, sicché correttamente i Giudici d’appello hanno ritenuto che quei rapporti di lavoro fossero da ritenere full time . In questa ipotesi, dunque, spettava ai datori di lavoro provare che le prestazioni lavorative fossero state inferiori al full time . Sul punto in appello -come risulta dalla sentenza della Corte territoriale -i datori di lavoro si erano limitati a dolersi del rigetto delle loro istanze istruttorie volte solo a
dimostrare l’asserita falsità delle deposizioni rese dai testimoni addotti dal lavoratore ed escussi dal Tribunale (v. sentenza d’appello, p. 3) , ma non avevano chiesto di provare (come invece sarebbe stato loro specifico onere) quale fosse stato l’effettivo orario di lavoro consensualmente stabilito in misura inferiore al full time (pari, secondo il loro assunto, a 65 ore mensili).
Per stabilire quale sia il full time nel lavoro agricolo, poi, la Corte territoriale ha utilizzato l’art. 3 d.lgs. n. 66/2003 , interpretando in un determinato modo l’esclusione dettata dall’art. 16 dello stesso d.lgs. n. 66 cit. e sostenendo comunque la necessità di un’interpretazione conforme al principio di non discriminazione di fonte europea, senza che nei confronti di entrambi questi due profili i ricorrenti abbiano sollevato censura alcuna.
4.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare in solido al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in