Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7252 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 7252  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: ABETE NOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 26525 – 2019 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME NOMEc.f.  CODICE_FISCALE –CODICE_FISCALE  domiciliato  in Roma, alla INDIRIZZO, presso l o studio dell’a vvocato AVV_NOTAIO che disgiuntamente e congiuntamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
RAGIONE_SOCIALE –P_IVAvP_IVAa. P_IVA -in persona del sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Salerno, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME e dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che  hanno  indicato  i  rispettivi  indirizzi  di  p.e.c.  e  che  disgiuntamente  e congiuntamente lo rappresentano e difendono in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso.
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 1051/2018 della Corte d’Appello d i Salerno, udita la relazione nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 del AVV_NOTAIO COGNOME,
RILEVATO CHE
Con atto notificato il 14.3.1997 NOME COGNOME citava a comparire dinanzi al Tribunale di Salerno il Comune di RAGIONE_SOCIALE (cfr. ricorso, pagg. 1 -2) .
Esponeva che aveva stipulato con il Comune convenuto una convenzione per la captazione delle acque del pozzo di sua proprietà e che era stato concordato il corrispettivo di lire 16.500, oltre i.v.a., per ogni ora di utilizzazione.
Esponeva che l’utilizzo del pozzo aveva avuto inizio nel 1987, giusta delibera della  Giunta  comunale  di  RAGIONE_SOCIALE  del  4.6.1987,  e  aveva  avuto  concorde prosecuzione sino all’adozione dell e delibere n. 480 del 10.6.1994 e n. 809 del 7.10.1994, con le quali l’ente territoriale aveva rideterminato unilateralmente in minor misura -ossia in lire 3.850, oltre i.v.a., con la delibera del 7.10.1994 – il corrispettivo.
Esponeva che per giunta con delibera del 13.10.1995 l’ente comunale aveva retrodatato con decorrenza dall’inizio del precedente biennio il dies a quo del minor  corrispettivo ,  sicché  si  era  assunto  suo  creditore  per  l’importo  di  lire 108.460.320.
Chiedeva, pertanto, previa declaratoria di illegittimità e di inopponibilità delle delibere dell’ente territoriale, dichiarare dovuto  il  corrispettivo  come  da convenzione inizialmente  siglata  e,  per  l’effetto,  condannare il  Comune  al relativo pagamento.
Si costituiva il Comune di RAGIONE_SOCIALE.
Instava per il rigetto dell’avversa domanda .
Espletata la c.t.u. all’uopo disposta, c on sentenza n. 221/2010 il Tribunale di Salerno rigettava la domanda (cfr. sentenza d’appello, pag. 2) .
NOME COGNOME proponeva appello.
Resisteva il Comune di RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza n. 1051/2018 della Corte d’Appello di Salerno rigettava il gravame e condannava l’appella nte alle spese del grado.
Premetteva, la Corte di Salerno, che l’iniziale convenzione era scaduta in data 30.6.1992  giusta  delibera  n.  118  del  30.1.1992  della  Giunta  municipale  del Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; altresì, che successivamente al 30.6.1992 il rapporto aveva avuto prosecuzione in via di fatto ed unicamente con la delibera n. 480 del  10.6.1994  il  Comune  aveva  stabilito  un  corrispettivo  diverso  e  minore rispetto a quello pattuito (cfr. sentenza d’appello, pag. 4) .
Indi, evidenziava, da un lato , che l’assenza di una nuova convenzione per il periodo  successivo  al  30.6.1992  precludeva all’appellante  la  possibilità  di conseguire il riconoscimento del corrispettivo pregresso; dall ‘ altro, che l ‘omessa impugnativa  entro  il  termine  utile  della  delibera  n.  480/1994  precludeva all’appellante la possibilità di far valere le incongruenze  connesse alla determinazione unilaterale del corrispettivo (cfr. sentenza d’appello, pag. 4) .
Evidenziava più esattamente, la corte, che il rapporto intercorso tra le parti era  da  qualificare  di  natura  privatistica  sino  al  giugno  del  1992;  era  da qualificare di ‘mero fatto’ nel periodo compreso tra giugno 1992 e giugno del 1994; era da qualificare in guisa di nuovo rapporto a decorrere dal giugno 1994
per effetto della delibera n. 480/1994, la cui legittimità era fuor di discussione per l’intervenuta acquiescenza (cfr. sentenza d’appello, pag. 5) .
Evidenziava  dunque  che  in  questo  quadro  non  vi  era  margine  per  il riconos cimento dell’azionata pretesa (cfr. sentenza d’appello, pag. 5 ) .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi il ricorso con il favore delle spese di lite.
NOME COGNOME ha depositato memoria.
Del pari il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione del l’art. 5 legge n . 1034/1971, dell’art. 140, 1° co., lett. c), r.d. n. 1775/1933 e dell’art. 3 legge n. 537/1993.
Deduce che , contrariamente all’assunto dell a Corte di Salerno, la delibera n. 480 del 10.6.1994 del Comune RAGIONE_SOCIALE – con cui è stato rideterminato in diminuzione il corrispettivo – non gli era opponibile, siccome le controversie relative ai corrispettivi dovuti al proprietario per la captazione delle acque di un pozzo di proprietà privata erano e sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, eventualmente alla competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche (cfr. ricorso, pag. 8) .
Deduce  di  conseguenza  che  non  si  prefigurava  la  necessità  di  impugnare dinanzi al giudice amministrativo la delibera n. 480/1994, siccome la RAGIONE_SOCIALE non
aveva né la facoltà né il diritto di incidere unilateralmente su di un rapporto privatistico (cfr. ricorso, pag. 8) .
Deduce,  d’altra  parte,  che  in  dipendenza  del  mancato  espletamento  de lla procedura  necessaria  onde  addivenire  alla  stipula  di  un  nuovo  contratto  il Comune aveva l’obbligo di recedere dal contratto al fine di ‘liberarlo’ dal vincolo negoziale (cfr. ricorso, pag. 9) .
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.  3,  cod.  proc.  civ.  la  violazione  e  falsa  applicazione  del l’art.  6  legge  n. 537/1993, degli artt . 4 e 11 legge n. 241/1990 e dell’art. 340 cod. pen.
Deduce che il rapporto intercorso con il Comune di RAGIONE_SOCIALE, anche in epoca successiva al 30.6.1992, in dipendenza della sua natura privatistica – natura privatistica coperta da giudicato ‘interno’ ed in assenza di un atto di recesso della  P.A.,  ha  continuato,  in  regime  di  proroga,  ad  esplicare  i  suoi  effetti conformemente alle intese negoziali in precedenza siglate pur in relazione al quantum del corrispettivo dapprima pattuito (cfr. ricorso, pagg. 13 – 14) .
Deduce altresì che a norma dell’art. 6 della legge n. 537/1993 il Comune non avrebbe avuto la possibilità di proseguire nell’utilizzazione del pozzo, qualora il rapporto non fosse stato consensualmente rinnovato (cfr. ricorso, pagg. 14 15) .
Deduce , d’altra parte, che l’ente territoriale non ha fatto leva sull’art. 11 della legge n. 241/1990, che contempla, peraltro, la facoltà di recesso unilaterale dall’accordo  con  obbligo  di  provvedere  alla  liquidazione  di  un  indennizzo  in relazione ai pregiudizi sofferti dal privato (cfr. ricorso, pag. 16) .
10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi.
Deduce – qualora si opinasse per la opponibilità della delibera n. 480/1994 -che il Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto imporre l’ operatività del nuovo e minor corrispettivo solo a decorrere dal dì del consolidarsi in via definitiva della delibera n. 480/1994 e non già retroattivamente (cfr. ricorso, pag. 17) .
Deduce che il retroattivo abnorme uso dello strumento deliberativo ha sortito inolt re  e  sostanzialmente  l’effetto  di  cancellare  il  debito  che  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva maturato nei suoi confronti (cfr. ricorso, pag. 18) .
I  motivi  di  ricorso  sono  all’evidenza  connessi;  il  che  ne giustifica  la disamina contestuale; i medesimi  motivi, comunque,  sono  destituiti di fondamento e da respingere.
Vanno disaminate dapprima le doglianze veicolate dal secondo mezzo. Ed al riguardo va ribadito il duplice rilievo cui la corte d ‘appello ha fatto luogo. Ovvero che l’iniziale convenzione per la captazione delle acque del pozzo era,
giusta delibera n. 118 del 30.1.1992 della Giunta municipale del Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, venuta a scadenza il 30.6.1992.
Ovvero che successivamente al 30.6.1992 il rapporto aveva avuto prosecuzione ‘ in via di fatto ‘ .
Su tale  scorta  sovviene  l’elaborazione  di  questa  Corte  secondo  cui  la volontà di obbligarsi della PRAGIONE_SOCIALE non può dedursi, per implicito, da singoli atti, dovendo, viceversa, manifestarsi nelle forme, necessariamente rigide, richieste dalla legge, e ciò anch e in caso di rinnovo o proroga dell’originaria convenzione negoziale,  con  la  conseguenza  che  l ‘ istituto  della  rinnovazione  tacita  del
contratto non è compatibile con le regole dettate in tema di forma per gli atti stipulati dagli enti pubblici (cfr. Cass. 12.7.2000, n. 9246) .
14. In verità, questa Corte ha altresì puntualizzato che i contratti assoggettati al requisito della forma scritta ad substantiam , una volta cessati, non possono essere ripristinati per fatti concludenti, essendo, invece, ben possibile che essi si rinnovino tacitamente, per una durata predeterminata, in presenza di espressa pattuizione delle parti in tal senso per il caso di mancata disdetta entro un termine prestabilito, e ciò anche nel caso in cui una delle parti sia una P.A., non risultando frustrata la necessità della forma scritta e quella, ad essa connessa, di consentire il controllo sugli impegni di spesa pubblica (cfr. Cass. (ord.) 6.9.2023, n. 26026) .
E tuttavia nella specie il ricorrente non ha addotto, né in forme specifiche né in forme ‘autosufficienti’, mercé riproduzione del testo dell’originaria convenzione, che  l’ iniziale pattuizione,  venuta  a  scadenza  il  30.6.1992, contenesse un’espressa p refigurazione volta al suo rinnovo tacito in ipotesi di mancata disdetta entro un termine prestabilito.
In  ogni  caso,  la  circostanza  per  cui  la  Giunta  municipale  del  Comune  di RAGIONE_SOCIALE abbia con la delibera n. 118 del 30.1.1992 disposto la cessazione del rapporto  convenzionale  alla  data  del  30.6.1992,  induce  ad  escludere  che  la disdetta -eventualmente necessaria – sia stata omessa.
15. Le sezioni unite di questa Corte , con l’ordinanza n. 7641 dell’1.4.2020 -seppur ai fini dell’affermazione della gi urisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda proposta da una società privata nei confronti di un Comune ed avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo nonché il rimborso dei costi
sostenuti per l ‘ erogazione di acqua, da un pozzo privato in gestione, agli abitanti di una località situata nel territorio comunale, erogazione operata, dapprima, su richiesta espressa dell ‘ ente locale e sulla base dell ‘ impegno assunto dallo stesso di farsi carico dell ‘ approvvigionamento idrico e, successivamente, operata in esecuzione di un ‘ ordinanza contingibile e urgente del Comune medesimo -hanno puntualizzato che la giurisdizione dell’A.G.O. sussiste , in quanto il rapporto giuridico instaurato prima della predetta ordinanza può essere inquadrato nell ‘ ambito della ‘ negotiorum gestio ‘ (stante l ‘ impedimento dell ‘ ente pubblico all ‘ esercizio delle proprie competenze e il vantaggio conseguito all ‘ attività posta in essere dal privato) , mentre, per il periodo successivo, la domanda non trova fondamento nell ‘ impugnazione del provvedimento d ‘ urgenza ma nelle conseguenze economiche derivate dalla sua esecuzione, sicché, per entrambe le scansioni temporali, l ‘ oggetto della controversia è costituito da pretese patrimoniali conseguenti ad un rapporto contrattuale instaurato di fatto.
Nel solco del suindicato insegnamento , contrariamente all’assunto della Corte di Salerno, di certo non ha valenza la mancata impugnativa della delibera n. 480/1994.
In parte qua la motivazione dell’impugnato dictum va, dunque, emendata.
Ciò  nondimeno,  per  il  periodo  successivo  al  30.6.1992,  dì  di  scadenza dell’originaria convenzione, la presente controversia verte senza dubbio e senza possibilità di ulteriori differenziazioni correlate alla delibera n. 480/1994 -e, ben vero, a prescindere dalle forme, necessariamente rigide, cui soggiace la
volontà di obbligarsi della RAGIONE_SOCIALE. – in ordine alle pretese patrimoniali conseguenti ad un rapporto sviluppatosi ‘in via di fatto’ .
17. In tale prospettiva non possono che formularsi i seguenti rilievi.
NOME COGNOME avrebbe dovuto senz’altro esperire azione ex art.  2041  cod. civ., per l’indennizzo per indebito arricchimento.
Invero, questa Corte spiega che l’azione di indebito oggettivo ha carattere restitutorio, cosicché la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole previste dagli artt. 2033 e ss. cod. civ. (e cioè quando abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa determinata) , operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento senza causa p revista dall’art. 2041 cod. civ., che assolve alla funzione, in base ad una valutazione obbiettiva, di reintegrazione dell’equilibrio economico (cfr. in tal senso Cass. 21.3.2014, n. 6747) .
E tuttavia l’ azione ex art. 2041 cod. civ. non è stata esperita (cfr. ricorso, pag. 2, ove sono riprodotte le conclusioni di cui a ll’iniziale citazione : ‘previa declaratoria di illegittimità ed inopponibilità delle delibere (…) dichiarare dovuto il pagamento dei corrispettivi sulla base dei patti convenzionali intervenuti e per l’effetto sentirsi condannare al pagamento degli stessi (…)’ ; cfr. sentenza d’appello, pagg. 2 3, ove si riferiscono le deduzioni formulate in appello da NOME COGNOME) .
In  tal  guisa  non  rivestono  valenza  alcuna  le  prospettazioni  del  ricorrente, secondo  cui  era  impossibilitato  al  recesso  dal  rapporto,  siccome  si  sarebbe determinata l’interruzione di un pubblico servizio con conseguente
responsabilità penale a suo carico (cfr. ricorso, pag. 13) , e secondo cui non vi era la effettiva possibilità di far cessare il rapporto ‘alla luce della funzione di servizio essenziale per la cittadinanza’ (cfr. memoria del ricorrente, pag. 6) , appaiono s icuramente volte a censurare l’affermata ‘in fatto’ – acquiescenza.
Evidentemente, nella cornice di un rapporto sviluppatosi ‘in via di fatto’ , in  dipendenza  de lla  mancata  proposizione  dell’azione ex art.  2041  cod.  civ., svilisce la doglianza -veicolata dal terzo mezzo per cui ‘giammai l’Ente locale avrebbe potuto disporre un retroattivo calcolo di quanto stabilito’ (così ricorso, pag. 17) .
Ciò tanto più che le doglianze esperite con il terzo motivo risultano prefigurate in rigorosa connessione con l’eventualità che si fosse assunta come imprescindibile l’impugnativa della delibera n. 480/1994 (‘ove dovesse essere comunque ritenut[o] (…) il consolidarsi dell’effetto preclusivo determinato dalla mancata opposizione’: così ricorso, pag. 17) .
Im prescindibilità dell’impugnativa della delibera, tuttavia, che questa Corte -lo  si  è  detto -ha  escluso,  benché all’esclusione  dell’impugnativa non sia da attribuir rilevanza ai fini del riconoscimento delle ragioni invocate dal l’iniziale attore.
Le peculiarità della vicenda, correlate pur allo sviluppo ‘in via di fatto’ del  rapporto,  giustificano  l’integrale  compensazione  delle  spese  del  presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso;
compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità;
a i  sensi  dell’art.  13,  1°  co. quater ,  d.P.R.  n.  115/2002  dà  atto  della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis , d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sez. civ. della Corte
P.Q.M.