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Contratto nullo per difetto di forma: la banca paga

La Corte d’Appello ha dichiarato un contratto bancario nullo per difetto di forma scritta. Di conseguenza, ha condannato un istituto di credito a restituire oltre 33.000 euro a due ex soci, ricalcolando il saldo del rapporto senza le spese e commissioni non validamente pattuite, in riforma della sentenza di primo grado.

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Contratto nullo per difetto di forma: la banca condannata alla restituzione

La forma scritta nei contratti bancari non è una mera formalità, ma un presidio fondamentale a tutela del cliente. Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze ribadisce questo principio, evidenziando come un contratto nullo per difetto di forma possa portare a conseguenze economiche significative per l’istituto di credito. Il caso in esame dimostra che l’assenza di un accordo scritto invalida non solo il contratto nel suo complesso, ma anche tutte le clausole relative a spese, commissioni e tassi d’interesse non legali.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dall’azione legale intrapresa da due ex soci di una società estinta contro un istituto finanziario. Gli attori contestavano la validità di due rapporti contrattuali, uno di factoring e uno di anticipi, sostenendo l’illegittima applicazione di oneri e commissioni e chiedendo la restituzione delle somme indebitamente pagate.

In primo grado, il Tribunale di Siena aveva respinto la loro domanda, motivando la decisione con la mancata produzione in giudizio dei contratti scritti da parte degli attori. Insoddisfatti della pronuncia, i due ex soci proponevano appello, lamentando, tra gli altri motivi, l’errata applicazione dei principi sull’onere della prova e la contraddittorietà della sentenza.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte di Appello di Firenze ha ribaltato completamente la decisione di primo grado. Con una sentenza non definitiva, ha accolto il motivo di appello relativo all’onere della prova e ha dichiarato la nullità dei contratti per difetto di forma scritta.

Successivamente, per determinare l’esatto ammontare del dare/avere tra le parti, la Corte ha disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU). Il quesito posto al perito era chiaro: ricalcolare il saldo dei rapporti, eliminando tutte le commissioni e le spese non oggetto di valida pattuizione scritta e sostituendo il tasso d’interesse applicato con quello legale previsto dall’art. 117 del Testo Unico Bancario (TUB).

Le conseguenze del contratto nullo per difetto di forma

Il risultato della CTU è stato determinante. L’esperto ha accertato che, una volta epurati i conti da tutti gli addebiti illegittimi (interessi debitori non pattuiti, commissioni di gestione, spese di tenuta conto e di handling), la posizione dei clienti non era debitoria, bensì creditoria. Il ricalcolo ha portato a un credito a favore degli appellanti pari a € 33.938,12.

Sulla base di queste conclusioni, ritenute corrette e ben motivate, la Corte ha emesso la sentenza definitiva, condannando l’istituto finanziario (rimasto contumace nel giudizio d’appello) a pagare la somma accertata, oltre agli interessi legali dalla data della domanda fino al saldo effettivo.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine del diritto bancario: la nullità del contratto non stipulato in forma scritta. La legge, in particolare l’art. 117 del TUB, impone tale forma a pena di nullità per proteggere il contraente più debole, ovvero il cliente. La conseguenza diretta di tale nullità è l’impossibilità per la banca di applicare condizioni peggiorative rispetto a quelle previste dalla legge.

In assenza di un valido contratto scritto, tutte le clausole relative a commissioni, spese e tassi d’interesse ultralegali sono da considerarsi come non apposte. Pertanto, il rapporto deve essere ricalcolato applicando unicamente le condizioni legali. La Corte ha riformato la decisione del Tribunale, chiarendo implicitamente che l’onere di provare l’esistenza di un valido contratto scritto grava sulla banca che intende avvalersene, e non sul cliente che ne contesta la validità.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza la centralità della forma scritta nei rapporti bancari come strumento di trasparenza e tutela del cliente. La decisione finale, che condanna l’istituto di credito non solo alla restituzione delle somme indebitamente percepite ma anche al pagamento di tutte le spese legali di entrambi i gradi di giudizio, lancia un messaggio chiaro: l’inosservanza dei requisiti formali imposti dalla legge comporta conseguenze economiche rilevanti. Per i clienti, ciò si traduce in un’importante garanzia e nel diritto a vedere ricalcolato il proprio rapporto secondo criteri di legge qualora la banca non sia in grado di produrre un contratto valido.

Cosa succede se un contratto bancario non è redatto in forma scritta?
Secondo la sentenza, un contratto bancario non redatto in forma scritta è nullo. Ciò significa che è invalido e non può produrre i suoi effetti tipici, in particolare per le clausole che stabiliscono costi e interessi a carico del cliente.

Se un contratto è dichiarato nullo, il cliente ha diritto a un rimborso?
Sì. La nullità comporta la necessità di ricalcolare l’intero rapporto dare/avere tra le parti. Tutte le commissioni, spese e interessi non previsti dalla legge vengono eliminati e, se il ricalcolo evidenzia un credito a favore del cliente, la banca è tenuta a restituire la somma corrispondente.

A chi spetta l’onere di produrre il contratto in giudizio?
La decisione della Corte d’Appello, riformando quella di primo grado, stabilisce che la conseguenza della mancata produzione del contratto ricade sulla banca. È l’istituto di credito che, per applicare le condizioni pattuite, deve provare l’esistenza di un valido accordo scritto. In sua assenza, si applicano le condizioni di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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