Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8331 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8331 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 806/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMEcontroricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMEcontroricorrente- nonchè contro
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1239/2020 depositata il 06/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Napoli ha riformato la decisione del locale Tribunale che ha accolto l’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo ottenuto da Unicredit s.p.a. (incorporante Unicredit Banca di Roma s.p.a. già Banca di Roma s,p.a.) per il credito di 196.577,68 euro a titolo di residuo rimborso del finanziamento chirografario di euro 250.000 effettuato in data 2 ottobre 2007. L’opponente aveva dedotto che la scheda negoziale depositata in sede monitoria rappresentava una bozza incompleta del contratto di mutuo del quale invocava la declaratoria di nullità sia per mancanza di forma scritta (mancando la sottoscrizione della banca) sia per indeterminatezza delle condizioni pattuite che non era dato comprendere attenessero ad un tasso fisso o a un tasso variabile; inoltre né il documento di sintesi né il contratto di finanziamento indicavano l’ISC, cioè l’indicatore sintetico di costo programmato per il rapporto contrattuale comprensivo di interessi e oneri che concorrevano determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente donde l’ulteriore causa di nullità ai sensi dell’art. 117 comma 8 del s.lgs n. 385/93. Unicredit aveva chiesto il rigetto dell’opposizione.
2.- Il Tribunale ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo. Contro la sentenza Unicredit ha proposto appello cui ha resistito RAGIONE_SOCIALE, proponendo altresì appello incidentale condizionato anche perchè fosse rideterminare il saldo finale del dare/avere tra
le parti. Con comparsa di costituzione ai sensi dell’articolo 111 si è costituita RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito fatto valere da Unicredit s.p.a.
3.- La Corte d’appello ha respinto l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo osservando che:
la titolarità del credito in capo a RAGIONE_SOCIALE era provata in virtù della pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale allegata alla comparsa di costituzione;
era fondata la censura contro la statuizione di prime cure relativa alla nullità del contratto per omessa indicazione dell’ISC, con la conseguenza che gli altri motivi dell’appello principale proposto da Unicredit erano assorbiti;
era infondato il motivo di appello incidentale con il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva censurato la decisione impugnata nella parte in cui ha statuito che il documento prodotto della banca comprovava il perfezionamento dell’operazione di finanziamento, poiché, come già stabilito dal Tribunale, detto documento – oltre ad indicare chiaramente l’ammontare del prestito, gli estremi del conto corrente sul cui sarebbero state addebitate le rate, la misura del tasso di interesse e la durata del piano di ammortamento – recava su ciascun foglio il timbro e la firma della Sigit; né la nullità del contratto poteva per essere dichiarata per difetto di forma scritta stante l’assenza della sottoscrizione del funzionario della banca (secondo motivo di appello incidentale), e ciò alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite n. 898/2018 per cui il consenso della banca può desumersi da comportamenti concludenti, nella specie costituiti dal fatto che la banca aveva predisposto il contratto di finanziamento e consegnato una copia al cliente;
infondata era anche la doglianza riproposta in sede di appello incidentale in via subordinata con riguardo la necessità di rideterminare il rapporto dare/avere applicando gli interessi passivi al tasso legale o in subordine al tasso nominale minimo dei BOT, in
luogo di quello convenzionale, sul rilievo dell’indeterminatezza di quest’ultimo (se fisso al 7,55% o variabile rapportato all’Euribor), invero la Sigit non aveva specificamente censurato le condivisibili argomentazioni del primo giudice circa la chiarezza sul punto del contratto (il tasso di interesse convenzionale fisso del 7,55% risultando sin dalla prima pagina del contratto attraverso la compilazione con scrittura a penna dello spazio a tal fine destinato né alcuna aggiunta o indicazione era inserita nella parte relativa al tasso variabile; all’art. 3 del contratto era completato solo il campo relativo all’indicazione del tasso fisso, mentre veniva lasciato in bianco quello relativo al tasso variabile).
– Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha presentato ricorso affidandolo a quattro motivi di cassazione e corredandolo di memoria. Hanno resistito Unicredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE tramite la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.; in subordine violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 l. n. 130/99, 58 del d.lgs n.385/93 e 1346 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
Il motivo si articola in due parti.
1.1- La prima riguarda la nullità della decisione per motivazione apparente che, a proposito della prova della titolarità del credito, sarebbe meramente assertiva non rendendo percepibile il fondamento della decisione e non recando argomentazioni idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, avendo la ricorrente contestato che (i) l’avviso di pubblicazioni non dimostrava la cessione, ma era valle di essa; (ii) l’avviso di cessione era vago facendo riferimento ad un concetto non definito di credito deteriorato; (iii) l’avviso medesimo non indicava la disposizione della Banca d’Italia contenente la nozione di
riferimento di credito deteriorato; (iv) non era provato che il credito in tesi vantato verso RAGIONE_SOCIALE fosse tra quelli classificati a sofferenza, precondizione dichiarata in comparsa quale caratteristica essenziale per l’inclusione dei crediti nel perimetro della cartolarizzazione.
La motivazione della Corte territoriale non confuterebbe analiticamente dette questioni e sarebbe priva, perciò, di ogni sostanza argomentativa.
1.2- La seconda parte del motivo riguarda, in subordine, un errore di diritto in quanto colui che si afferma successore a titolo universale o particolare della parte originaria ai sensi dell’art 58 TUB ha l’onere di fornire la prova documentale della propria legittimazione, con documenti idonei. Con esso RAGIONE_SOCIALE contesta che la RAGIONE_SOCIALE non abbia fornito detta prova valendo l’avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale -in relazione al disposto dell’articolo 1264 c.c. -quale notifica della cessione onde fissare il momento a partire dal quale il pagamento fatto nelle mani del cedente non libera il debitore ceduto.
La resistente replica di aver provato la cessione del credito in parola tramite la produzione dell’estratto della Gazzetta Ufficiale dell’avviso della cessione ex art. 58 TUB, dal quale si evince che il credito controverso era compreso nel portafoglio crediti ceduto, anche in ragione dell’apposito link ivi indicato onde favorire la specifica verifica.
Unicredit -parte cedenteha, a sua volta, confermato l’avvenuta cessione in blocco ed osservato che la cessionaria aveva documentato l’intervenuta cessione del credito di cui al finanziamento per mezzo del deposito della Gazzetta Ufficiale in cui era pubblicato l’avviso di cessione, precisando che all’esito della contestazione sollevata dagli appellati, che in tale avviso v’era l’indicazione del sito Internet « ove saranno resi disponibili i dati
indicativi dei crediti nonché la conferma dell’avvenuta cessione per i debitori ceduti che ne faranno richiesta ».
1.3- Il motivo è infondato. Nella specie, il giudice del merito ha compiuto ed illustrato la formazione del proprio convincimento, enunciando l’iter logico giuridico che lo ha condotto alla decisione adottata, laddove il vizio di omessa o apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento il che si verifica anche quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13977/2019). La ratio decidendi è chiara ed è la ritenuta sufficienza della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ai fini dell’accertamento di fatto in ordine all’avvenuta cessione del credito.
Sotto il diverso profilo della dedotta violazione di legge, anzitutto è bene precisare che la questione non riguarda la legittimazione processuale, bensì la prova della titolarità del diritto che la parte « afferma » onde ottenerne la tutela in questo grado di giudizio, ovvero ad una questione di merito o di legittimazione sostanziale. Ciò precisato, la Corte ha compiuto una ricognizione di fatto del materiale probatorio e ritenuto che la cessione della titolarità del credito in questione fosse provata in ragione dell’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in ciò conformandosi all’orientamento per cui -fermo che la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma, dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta
Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi (v. Cass. n. 31118/2017, Cass. n. 15884/2019; Cass. n. 4277/2023), allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (nella fattispecie rileva la categoria «crediti deteriorati» secondo le disposizioni della banca d’Italia, che contrariamente a quanto afferma la ricorrente, è termine tecnicocontabile e non una classificazione giuridica e fa riferimento a tutti i crediti rimasti insoluti come il caso di specie: in tal senso si veda Cass.n. 5083/2024) restando, comunque devoluta al giudice di merito la valutazione dell’idoneità asseverativa, nei termini sopra indicati, del suddetto avviso, alla stregua di un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità in se non per vizio motivazionale -nei ristretti limiti in cui la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. (risultante dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012) ne consente la censura per cassazione ovvero laddove l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, (ovvero nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053): vizio motivazionale che è qui proposto invocando -infondatamente come detto- una motivazione apparente.
– Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., e violazione e falsa applicazione degli artt. 117 TUB comma 1 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. La ricorrente si duole della decisione con cui la Corte territoriale ha
respinto il secondo motivo d’appello incidentale condizionato con cui aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui sebbene il contratto non fosse sottoscritto dalla banca – aveva rigettato l’eccezione di nullità per difetto di forma scritta. La Corte d’appello: a) avrebbe respinto il motivo decidendo sulla scorta della ragione più liquida, in quanto, ha osservato che esso era infondato «anche» alla stregua di Cass. Sez. Un. n. 898/2018: la congiunzione avrebbe chiaramente alluso all’esistenza di una prima ratio decidendi respingente che, tuttavia, non avrebbe espresso, perciò la tecnica redazionale usata dal giudice non soddisferebbe il minimo costituzionale; b) sarebbe incorsa nella violazione delle norme indicate ritenendo che -in presenza di un contratto monofirma, la redazione del contratto e l’avvenuta consegna al cliente dello stesso fossero comportamenti concludenti, da cui dedursi il consenso della banca, ovvero non avrebbe fatto buon governo dell’art. 2729 c.c. poiché il ragionamento presuntivo sarebbe errato essendo assente il requisito della concordanza, non potendosi presumere l’esistenza di un consenso della banca conforme a quello manifestato per iscritto dal cliente, stanti le difformità riscontrabili tra l’operazione economica delineata nel documento sottoscritto dalla Sigit e il finanziamento erogato (indica diversità quanto al costo del finanziamento ed all’assenza della garanzia di Mediocredito Centrale s.p.a.).
2.1. – Il motivo che si articola anch’esso in due censure, è inammissibile.
2.1.1- Quanto al primo profilo la censura di apparenza della motivazione è del tutto infondata essendo chiara la ratio decidendi con cui la Corte distrettuale respinge il motivo d’appello fondato sulla nullità del contratto per assenza della sottoscrizione della banca, la quale ratio si conforma all’orientamento consolidato in punto di questa Corte a proposito della forma scritta del contratto prevista dall’art. 117 comma 1 TUB, a partire da Sezioni Unite n.
898/2018; il che rende il secondo profilo di censura, che insiste sulla nullità del contratto per carenza della sottoscrizione della banca ed invoca l’erroneità della decisione gravata per violazione di legge, altrettanto inammissibile ex art. 360 bis comma 1 c.p.c.
Invero le Sezioni Unite (con arresto reso in materia di intermediazione finanziaria, ma pacificamente riferibile anche ai rapporti bancari: da ultimo, Cass. 12 ottobre 2023, n. 28500) hanno affermato che il requisito della forma scritta previsto dall’art. 117, comma 1, T.U.B., deve essere inteso in senso funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione del cliente assunta dalla norma, potendo, pertanto, ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, da questi sottoscritta, senza che sia necessaria anche la sottoscrizione della banca, il cui consenso ben può desumersi alla stregua dei comportamenti concludenti dalla stessa tenuti (cfr. Cass. sez. un. cit.; Cass. n. 9187/2021)
Alla luce di questo principio, la Corte distrettuale ha affermato che doveva reputarsi concludente, allo scopo della manifestazione della relativa volontà negoziale, il comportamento dell’istituto bancario che pacificamente aveva redatto il contratto e ne aveva consegnata una copia al cliente, consegna che costituisce -come questa Corte ha precisato (v. Cass. n. 18230/2024) – adempimento complementare al vincolo di forma che sorge per effetto del contratto ed è finalizzato ad agevolare l’esercizio dei diritti da parte del cliente, che questa anche nella sentenza (v. anche Cass. n. 16070/2018 e n. 22640/2019, secondo la quale « il consenso della banca, ai fini della formazione dell’accordo, può desumersi da comportamenti concludenti, quali appunto la consegna del documento negoziale da essa predisposto la raccolta della firma del cliente e l’esecuzione del contratto»).
2.1.2 -Inammissibile è, d’altro canto, il profilo di censura che riguarda l’erronea applicazione dell’art. 2729 c.c. in quanto il
ragionamento decisorio circa la prova presuntiva del consenso espresso dalla banca con comportamenti concludenti difetterebbe del requisito della concordanza degli indici considerati, e ciò perché non sarebbe riscontrato corrispondenza tra l’operazione economica delineata nel documento sottoscritto dalla Sigit e il finanziamento erogato; invero la ricorrente si duole, in effetti, della ricognizione in fatto compiuta dalla Corte degli elementi probatori relativi alla individuazione del contratto e del suo contenuto negoziale, sul quale si era espresso il consenso per iscritto di Sigit e per fatti concludenti dell’istituto di credito. Sicché vanno ribaditi agli effetti del rilievo dell’inammissibilità del motivo -due principi consolidati che la censura della ricorrente intercetta:
a) il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 195/2016, confermate da innumerevoli sentenze successive, v. ex multis Cass. 13747/2018; Cass. n. 3340/2019; Cass. 31546/2019), e nella specie è evidente che la parte ricorrente lamenta la erronea applicazione dell’art 2729 c.c. in ragione della inammissibile pretesa in questa sede di legittimità di una difforme valutazione degli esiti istruttori; dunque non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n.
19881/2014), riducendo al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014);
b) la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito; sicché detto apprezzamento del giudice di merito con riguardo al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla tenuta della relativa motivazione (Cass. n. 3983/2003; Cass. n. 2431/2004; Cass. n. 9225/2005; Cass. n. 1216/2006; Cass. n. 21745/2006; Cass. n. 27284/2006; Cass. n. 5332/2007; Cass. n. 15219/2007; Cass. n. 1234/2019; Cass. n. 20553/2021; Cass. n. 27266/2023; Cass. n.32505/2023).
3.Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per omessa ponderata valutazione delle prove raccolte sulla questione dell’esistenza di un comportamento concludente della banca conforme al programma negoziale sottoscritto dalla Sigit. Reputa la ricorrente che il giudice non abbia proceduto alla ricognizione di tutti gli elementi documentali acquisiti al processo alcuni dei quali avrebbe pretermesso senza specificarne le ragioni per cui ha conferito peso probatorio all’avvenuta predisposizione del contratto e non anche ad altre prove presenti in giudizio; in particolare non avrebbe ponderato altre prove raccolte che convergevano nel dimostrare che il programma negoziale non aveva trovato riscontro nell’operatività concreta della relazione negoziale, e quindi non potevano essere concludenti in senso conforme alla volontà espressa dalla Sigit, e segnatamente del fatto che la banca aveva
erogato il finanziamento in assenza della garanzia del Mediocredito Centrale s.p.a.
3.1- Il motivo è chiaramente inammissibile in quanto è tutto versato in fatto, mirando ad una revisione dell’accertamento motivatamente compiuto dal giudice di merito, riproponendo le medesime questioni di valutazione delle prove dedotte sotto il profilo della violazione di legge nel motivo appena esaminato. In disparte il fatto che la Corte d’appello ha espressamente considerato e ritenuto irrilevante il fatto che la banca si fosse avvalsa per la formalizzazione dell’accordo di un modulo prestampato destinato a regolare operazioni assistite dalla garanzia di Mediocredito Centrale s.p.a. senza che, nei fatti, tale tipo di garanzia (peraltro a favore della banca) fosse stata attivata, va ribadito anche in questo caso che, in tema di attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie, occorre distinguere l’errore di percezione, che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c. per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (che appunto vietano al giudice, rispettivamente, di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, nonché di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) -dall’errore di valutazione, che invece, investendo l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 6774/2022; Cass.1229/2019, 27033/2018, 9356/2017). Nel caso di specie la ricorrente si duole del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito il che non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. -dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 23153/2018, 11892/2016); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione (contrapponendovi le proprie) la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016).
4.1- Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 117 comma 8 TUB, della delibera CICR del 4.3.2003, delle Istruzioni di vigilanza per le banche emanate dalla Banca d’Italia del 25 luglio 2013, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale avrebbe erroneamente statuito che l’omessa rappresentazione dell’ISC non è causa di nullità del mutuo bancario; reputa che l’indicazione dell’ISC costituisca una condizione economica ed una parte obbligatoria del contenuto dei contratti di mutuo, dei contratti di anticipazione e degli altri finanziamenti, la cui omissione rileva in sé, anche se il documento contrattuale contiene gli elementi che concorrono alla determinazione del parametro.
4.1- Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha affermato l’indicatore sintetico di costo (ISC), comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo
la formula stabilita dalla Banca d’Italia, rappresenta un valore medio espresso in termini percentuali che svolge una funzione informativa, finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi e di rendere il cliente edotto dell’effettiva onerosità dell’operazione. Proprio perché svolge una mera funzione di pubblicità e trasparenza, l’ISC non costituisce un tasso di interesse, un prezzo o una condizione economica direttamente applicabile al contratto: non rientra, dunque, nelle nozioni di «tassi, prezzi e condizioni» cui esclusivamente fa riferimento l’art. 117 comma 6 TUB.
Tale impostazione giuridica è del tutto coerente con il principio di diritto -cui il Collegio intende dare continuità – enunciato da Cass. n. 39169/2021, secondo cui « In tema di contratti bancari, l’indice sintetico di costo (ISC), altrimenti detto tasso annuo effettivo globale (TAEG ), è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni, la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, tenuto conto che essa, di per sé, non determina una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo l’erronea rappresentazione del suo costo globale, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati in contratto » (v. Cass. 39169/21, conformi, Cass.n.4597/2023); d’altra parte – come osservato da Cass. n.14000/2023- la sanzione della nullità, per la mancata o non corretta indicazione dell’ISC/TAEG, è prevista nel nostro ordinamento esclusivamente per il caso del credito al consumo, nell’ambito della cui disciplina l’art. 125 bis comma 6 TUB prevede che « Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi
dell’articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall’articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto », potendo l’applicazione di condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate -nella misura in cui determina la violazione di regole di condotta della banca – dar luogo a responsabilità contrattuale o precontrattuale di quest’ultima (Cass.n. 4567/2023 cit).
5. – In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di entrambe le parti controricorrenti liquidate per ciascuna nell’importo di euro 4700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione